27 ottobre 2006

 

Evviva il mercato, come no, ma che c’entra con le montagne, i boschi o i liberi uccelli che volano?

Guarda combinazione, ora che è mancato Matteucci, chi è il più acceso divulgatore delle tesi dei liberisti austriaci? Proprio il giovane e brillante economista Novello Papafava che in un suo libro recente, a suo modo, ha "scoperto" l'ecologia. Se ricordo bene, da letture giovanili gobettiane, il nonno, Novello Papafava dei Carraresi, fu un grande liberale collaboratore di Gobetti alla "Rivoluzione liberale". Era destino. Quindi non posso che partire con un pregiudizio favorevole. Ma purtroppo, se i figli non seguono in tutto i padri, figuriamoci se i nipoti seguono i nonni.

Il bravo Papafava junior oggi va per la maggiore, ed è stato anche benedetto da Benedetto Della Vedova in un’intervista a Radio Radicale. A proposito, caro Benedetto, sei un nostro idolo per l’economia liberale, ma un po’ di natura ed ecologia mastichiamo, e ti assicuriamo che l'ambiente ha specificità tali che lo rendono poco o nulla assimilabile sic et simpliciter all'economia, come del resto pochi altri beni solo apparentemente materiali.

Il bravo Papafava jr, dunque, ha scritto un intelligente ma discutibile libro in cui si teorizza di ecologia liberale come pura "ecologia di mercato". Ipotesi teorica, da scuola, innovativa e anticonformista.

Posso capire, perciò, che questa tesi di “ecologia privatistica” possa entusiasmare molti liberali ignari di Natura o insofferenti, non senza motivo, dei tanti errori nei decenni passati dei miei amici Verdi, per troppo tempo Rosso-Verdi, e in particolare affascinare un accademico nato come Della Vedova. Ma le adesioni possono nascondere una superficiale conoscenza dei caratteristici “beni” di cui si occupa la tutale ambientale, assai poco assimilabili ai veri beni economici.

La natura, però, rifiuta, o perlomeno è riluttante a questa acquisizione forzosa al regno dell'economia.

Con tutta la nostra buona volontà di compagni di strada liberali e liberisti doc (però, diversamente da loro, amanti della natura ed esperti di ambiente), la ventilata "riduzione dell'ecologia sotto il concetto dell'economia" – mi piace parafrasare Croce – si scontra con le particolarità uniche, ripeto, esclusive, di una materia che entrerebbe con difficoltà enormi nei bilanci aziendali, fatta com’è di botanica e zoologia, di uccelli e fauna selvatica, foreste millenarie, vette montane e ruscelli, clima e inquinamento, caccia e antropizzazione del territorio. E mal si adatta perfino al problema energetico “ecologico”, che è il campo più compatibile con l’economia, anzi, che già ne fa parte, visto che le energie alternative vivono di concetti e di eccezioni proprie, come dimostra l'assurdo dell'eolico, chimicamente "pulito", che però "inquina" esteticamente e distrugge il paesaggio italiano con le sue torri fuori scala, prima ancora di distruggere i bilanci dello Stato, che deve provvedere a incentivi fuori mercato ai privati che vogliono speculare su questa forma di energia, dimostratasi discontinua e poco o nulla redditizia, e perfino strumento di facili truffe. E se questa è la “economicità” privatistica del più economico degli aspetti dell’ambiente, figuriamoci gli altri!

Insomma, i nostri amici liberali e liberisti sbagliano per gli stessi motivi per cui un tempo sbagliava la Sinistra (oggi l'errore è opposto: anch’essa è diventata – Cina docet – liberista più che liberale, e fa politica e business con la Natura, vedi Legambiente).

Il problema dei problemi è che la Natura è un bene di tutti, e non si è comunisti nel ricordarlo. Anzi, la Destra liberista compie su questo punto l’errore uguale e speculare a quello della Sinistra comunista, sempre a causa dell'ideologia. Il voler applicare la propria ideologia o visione del mondo a tutto, Natura compresa, perché "tutto è economia". E proporre questo in modo apodittico, come se fosse naturale svendere la Natura. Che è un bene unico, irriproducibile nel suo equilibrio incerto e delicato. Distrutto un bosco non è più possibile ripristinarlo. Ma, paradossalmente, sia per i marxisti anti-liberisti, sia per i liberisti ultras, su tutto deve poter mettere le mani il capitalista onnipotente. Di Stato o privato, non conta.

Ma si può vendere il Paesaggio, quello che Benedetto Croce presentando la prima legge di tutela ambientale in Italia (v. citazione sul colonnino a fianco) considerava il nostro patrimonio culturale, l’immagine stessa della Nazione e quindi della Patria? Tanto più, hanno confermato i nostri economisti in tempi di crisi, se scopriamo che proprio la Natura e il patrimonio storico-artistico sono la nostra principale ricchezza. Ricchezza, certo, ma virtuale, molto più virtuale dell’oro della Banca d’Italia.

I vecchi liberali dell'Italietta, magari industriali o commercianti, mai avrebbero venduto la medaglia d'oro conquistata all'Esposizione Universale di Torino: perché era per loro un simbolo unico della loro operosità, della loro identità, perché per loro quei 3 o 6 grammi di metallo giallo valevano molto di più della loro quotazione sul mercato. Perché erano un "valore", un simbolo. Senza quella medaglietta, "inutile" perché non sarebbe mai apparsa sui loro libri mastri, loro non sarebbero stati nulla, gente senza passato e senza futuro, senza cultura e senza personalità. Insomma, dei pirla, dei bugianen qualunque. E così noi, uomini d'oggi, non saremmo nulla senza il patrimonio della Natura, le nostre uniche vere radici.

Perciò, a parte la coerenza ideologica, c'è il sospetto che tutti questi "mercatisti" dell'ambiente - con tutte le privatizzazioni di enti economici e società di Stato da proporre - abbiano preso di mira la Natura perché non la amano e non la frequentano. Sono professori e politici vissuti per decenni in studi professionali o accademici senza aria e senza vita, dove gli unici animali, oltre a loro stessi, sono i "pesciolini argentati" della carta, Lepisma saccharina, che come loro odiano la luce. Questo sanno della natura e dell'ecologia certi economisti che ora vorrebbero privatizzare, che so, le Torri del Vajolet, il Parco dell'Uccellina o le Gole di Celano. Riproporre, ma su vasta scala e sul versante ambientale, quello che non era riuscito ad un altro liberale nell'arte e nella cultura, il ministro Urbani (mentre stava quasi riuscendo al ministro non liberale Matteoli, già "premio Attila", sui Parchi e la caccia).

E che ignorino tutto delle basi biologiche dell'ecologia, lo si vede dagli esempi che fanno più spesso, come l'ormai famosa, ridicola, privatizzazione del "bosco tagliato periodicamente per farne cellulosa", o la storiella del "prato adibito a pascolo che il pastore uniproprietario mantiene, mentre la collettività, no". Ignorano che quei terreni nella realtà sono artificiali, super-coltivati, arci-antropizzati, ubicati spesso tra uno svincolo autostradale e un capannone, già di per sé beni super-economici come un frutteto intensivo, non hanno cioè nulla a che fare con l'ambiente naturale intatto o da proteggere, dove non si può neanche "ripulire il prato dalle pietre" o eliminare un tronco caduto da sé, perché marcendo è utilissimo all'ambiente.

E perciò, siamo d'accordo con gli amici liberisti che il prato suburbano adibito a pascolo, l’appezzamento a coltura intensiva di betulle o pioppi per l’industria cartaria o chimica, potranno essere "privatizzati". Ma a quale strano privato si potrebbe indirizzare un bene non economico ma di grande valore come una vasta e plurisecolare faggeta o addirittura il Gran Sasso o le dune selvagge di lentisco, fillirea, corbezzolo e pinastro che ancora rimangono dietro la costa toscana o laziale a ricordarci gli inizi della Civiltà italiana, o anche il corso d’un banale torrente di montagna? Il povero privato potrebbe solo ammirarli, neanche potrebbe "pulire" sotto gli alberi. E, vista la carenza in Italia d’un turismo ecologico di massa (gli italiani sono pigri e per immergersi nella natura occorre camminare a lungo e velocemente), neanche con biglietti d’ingresso a 500 euro potrebbe mai rientrare nelle spese. Di quale "mercato" si parla, allora? Non è che si tratta di una provocazione intellettuale tipica di accademici?

L’unica privatizzazione possibile, in quanto ai parchi, è quella delle piccole "oasi" naturalistiche, sull’esempio delle tante già acquistate o prese in affitto dal Wwf in Italia e altrove, e delle aree storico-paesaggistiche acquistate e protette da enti privati. Ma, mi dispiace per von Mises e Papafava, questi beni naturali privati hanno fini tipici dei grandi mecenati, cioè solo conservativi ed educativi, per niente remunerativi. E questa non è certo una novità, il mecenatismo è addirittura pre-capitalistico: quante dimore storiche, ville, parchi, castelli, riserve di caccia nobiliari o comunque privati esistono al mondo? Perfino in Italia, il benemerito FAI, Fondo per l’ambiente italiano, percorre questa strada.

Tutto qui, o quasi, il famoso "mercato" nell’ecologia? Se la risposta è sì, e ne siamo convinti, allora abbiamo ragione noi di "Ecologia liberale", quella vera. Si tratta di una bolla di sapone.

Ben altro che il semplice mercato, come recita il nostro Manifesto, deve essere il liberalismo nell’ecologia, come abbiamo stilato in sintesi nel Manifesto, appunto, di una vera “Ecologia Liberale” (v. articolo e sintesi nel colonnino).

Insomma, evviva il libero mercato, ma che c’entra con i boschi eterni, le vette, e i liberi uccelli che volano? E visto che i Governi non vogliono o non riescono a privatizzare neanche la Rai-Tv, e che una vera concorrenza liberale non esiste ancora in Italia neanche nei commerci e nei trasporti, nelle professioni e nell'industria, non si capisce perché mai dovremmo cominciare proprio dalla Natura. Forse perché è la più indifesa?

IMMAGINI. Germani reali in volo (Internet): Muschi e faggeta invernale sui Monti Lepini (Corsetti).

AGGIORNATO IL 21 NOVEMBRE 2014

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La Natura e l’ambiente ridotti al concetto di economia di mercato

La tesi di base di "Ecologia Liberale" è che non il puro esercizio del libero mercato, ma le scienze della natura e tutto il complesso dei diritti di libertà, cioè l’intero liberalismo, debbano caratterizzare di sé un’ecologia finalmente razionale e neutrale, perciò davvero liberale, depurata da qualsiasi tipo di opzioni politiche.
Ma questa tesi non va giù, diciamo, agli iper-liberisti che affollano i blog della catena Tocque-ville e sono presenti anche nell'ala destra dei Radicali.
"Libertarian" sembra l'alfiere di questo esercito molto agguerrito, seguace in modo quasi maniacale dei dettami della "scuola austriaca" di economia, per intenderci, Hayek, Mises & C. e, in Italia, l’ "austriacante" Bruno Leoni).
Come abbiamo condensato nel nostro Manifesto e nella proposta di Patto (v. colonnino a sinistra), noi pur essendo liberali, liberisti e libertari, poiché conosciamo la Natura e siamo anche super-ecologisti, riteniamo percorribile solo di rado e in casi eccezionali lo strumento delle privatizzazioni e del mercato in quel complesso di beni unici o rarissimi che è patromonio di tutta l'Umanità. Ad ogni modo riportiamo qui, ristretto per quanto possibile con fedeltà giornalistica, il lungo articolo di dissenso, leggibile in originale nel sito di Libertarian. Al quale farà subito seguito una prima risposta di "Ecologia liberale" (Nico Valerio):
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"Sgembo e Valerio hanno scritto cose interessanti, sul blog di Sgembo. Spero che sia l'occasione per iniziare una discussione costruttiva su un ambito politicamente interessante, e in cui la teoria economica è fondamentale, come vedremo: l'ecologia. Perché tutto è economia, anche un povero che vende i gioielli della nonna. Insomma, c’è analogia stretta tra questione ecologica e indagine economica. "Economica", cioè soggetta anch’essa - e quella ecologica lo è per antonomasia – a vincoli di scarsità. L'ecologia liberale dimostra come moltissimi problemi ecologici sono economici e/o giuridici. Del resto, "inquinare" significa rovinare qualcosa, e se quel "qualcosa" è di qualcun altro, l'economia e il diritto hanno qualcosa da ridire. L'errore concettuale in cui si rischia di cadere ad eliminare la teoria del valore ("economico") dalla trattazione dei problemi ecologici è quello di pensare che la Natura sia un bene assoluto. Se così è, allora già Romolo che fonda Roma con l'aratro è da criminalizzare.
Insomma, stringi stringi, anche la protezione dell’ambiente si riduce a mercato. Facciamo un esempio da scuola. Se esistono 1000 zone naturali intatte e 0 ambientalisti, queste 1000 zone intatte avranno valore nullo (nessuno è ecologista per definizione) e quindi verranno certamente trasformate. Se per mantenere 1 zona intatta servono 1000 ambientalisti, allora la domanda di mercato di zone intatte sarà proporzionale al successo ideologico del protezionismo ambientale, e potrebbe benissimo essere sufficiente a tenere 10, 100, 1000 o 2000 zone fuori dal mercato (come i gioielli della nonna). Se il numero di ambientalisti è insufficiente a fare un mercato (con donazioni, vincoli volontari come nel caso del nucleo originario del Parco d'Abruzzo, turismo ecologico...) da 1000 scenderà, poniamo a 900. Ma questo farà aumentare il valore marginale delle zone intatte, e diminuire quello delle zone trasformate... Il numero degli ambientalisti scenderà ancora fino all'equilibrio. Alla fine (sistema in equilibrio), ci sarà un numero tot di zone mantenute intatte da turisti, benefattori, proprietari. Il numero varierà da 0 a 300.000 kmq (in Italia) a seconda di quanti ecologisti ci sono. Cioè, di quanta domanda di mercato del bene "natura incontaminata" possono creare.
Dal che si deduce che il mercato non ha nulla a che fare con la commerciabilità. Se per ipotesi un milione di italiani volesse conservare la natura, potrebbero comprare ciascuno 5.000 kmq di territorio nazionale (in media). Il problema attuale è quindi che questo non si può fare: problema creato dallo Stato. Per riassumere, in sostanza: La teoria economica vale anche per beni non commerciabili La maggior parte dei problemi ecologici è risolvibile tramite i principi del liberalismo lockiano (privatizzando...) Non ci sono difficoltà a concepire una domanda di "beni naturali incontaminati" sul mercato libero (e l'esempio del Parco d’Abruzzo dimostra che la mia idea non è aria fritta). E’ la politica, semmai, che impedisce l'equilibrio domanda/offerta, creando un conflitto non necessario tra mercato ed ecologia.
L'unica cosa su cui non posso assentire è il valore apodittico del "Natura bene assoluto" dell'ecologismo estremista: questa mentalità è secondo me incompatibile con il liberalismo, totalitaria e intrinsecamente anti-umana".
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Nella foto l'economista austriaco Ludwig von Mises

 

Governi d'Italia: lo scandalo dei soldi alle finte energie alternative

Lo diciamo subito: Italia Nostra, la benemerita associazione protezionista fondata nel 1955 da Umberto Zanotti Bianco, allievo di Croce e nobile figura di liberale, e dalla figlia stessa del filosofo, Elena, sarà spesso presente sulle pagine di "Ecologia Liberale". Anche perché con la nuova presidenza di Carlo Ripa di Meana, Italia Nostra pare avviata a dimenticare le politicizzazioni ultra-sinistresi dell’èra della "zarina rossa" Desideria Pasolini Dall’Onda, per tornare ad una severa, più scientifica, ma non politica difesa del paesaggio e delle bellezze d’Italia. Senza quelle compromissioni con i partiti e col business finto-verde che invece hanno toccato altri club ambientalisti, come la ex rossa Legambiente.
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E’ appena uscito un bel numero monografico del bollettino di Italia Nostra dedicato ad una inchiesta a più voci sulle opportunità ambientali e sulla convenienza delle energie alternative e-o rinnovabili, in particolare l’eolico, il fotovoltaico e il nucleare.
Tra i tanti articoli interessanti, su cui torneremo, un caustico articolo di Leonardo Libero dimostra che sono stati proprio l’Enel e i vari Governi italiani a boicottare in tanti modi le energie rinnovabili, spesso facendo mostra di incentivarle, come si addice ad un Paese levantino.
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"I Governi dell'inizio degli anni Novanta – scrive Libero – con la Legge 9/91 e la delibera 6/92 del Comitato Interministeriale Prezzi - detta "Cip6" - hanno istituito i sovrapprezzi elettrici "A3", dichiarandoli a sostegno delle fonti rinnovabili. Peccato però che, nella legge e nella delibera, alla parola "rinnovabili" essi abbiano aggiunto "e assimilate", senza fissare criteri chiari per spiegare il significato della "assimilabilità" di una fonte alle rinnovabili. Per cui fra le "assimilate" è poi stato fatto passare di tutto e soprattutto scarti di raffineria petrolifera e rifiuti non biodegradabili E sono le aziende che li usano per produrre elettricità a percepire la maggior parte dell'enorme gettito di quei balzelli.
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Una sostanziale distrazione di fondi pubblici – continua Libero – stimata in una cifra complessiva pari a 60.000 miliardi di lire (equivalente a 2,5 casi Parmalat) dalla X Commissione della Camera, il cui Presidente, Bruno Tabacci, ha definito quei sovrapprezzi "Una tassa occulta in favore dei petrolieri".
"Si consideri ad esempio che solo nel 2004 per superpagare elettricità Cip6 di fonte "assimilata", cioè "sporca", lo Stato ha sborsato 3.511,4 milioni di euro "Cip6". Con i quali si sarebbero potuti acquistare al prezzo di 7.000 euro per kW (cioè carissimi per un tale quantitativo) ben (3.511.400.000: 7.000) = circa 500mila impianti FV da 1 kW connessi a rete, regalarli a chiunque li volesse e portare così in un solo anno l'Italia - che a fine 2003 aveva appena 26 MegaWatt di potenza installata FV - al terzo posto nel mondo a quel riguardo (a fine 2004, il Giappone ne aveva poco più di un milione di MegaWatt, 'la Germania 794mila, gli USA 365mila).
Per fortuna - e per obiettivo merito di Governo e Parlamento - l'articolo 15, n. l, lettera f) della Legge 62 - 18 aprile 2005 esclude ogni possibilità di rinnovo delle convenzioni per "assimilate Cip6". Le quali però hanno ampiezza temporale di 15 anni, per lo più stipulate nel 1992 e scadranno quindi non prima del 2007. Perciò solo a partire da tale anno lo Stato disporrà di fondi adeguati a sostenere seriamente l'utilizzo delle fonti rinnovabili anche nel nostro paese".

25 ottobre 2006

 

"Ecologia liberale per evitare la dittatura del socialismo ecologico"

La posizione di Ecologia Liberale, tendente a dimostrare che contro la politicizzazione dell’ambiente (ieri solo a Sinistra, ora anche a Destra) l’unica soluzione per il futuro del nostro Pianeta è il ritorno alla neutralità, ma anche alla severità delle scienze della natura, ha sollevato tra i blog della catena di Tocque-ville qualche critica, qualche posizione interlocutoria, e anche qualche convergenza
"Il problema dell'ecologia in politica oggi mi sembra evidente – scrive il blogger Sgembo, che con Jim Momo e pochi altri è interprete d’un liberalismo libertario acuto e anticonformista.
"Esiste un monopolio "verde" che in realtà è un monopolio rosso, che utilizza l'ambiente come strumento di propaganda contro il capitalismo e il libero mercato.
"Contemporaneamente esiste un oggettivo problema ambientale, con risorse ambientali sempre più esigue in tutto il mondo, anche per causa dell'esplosivo sviluppo industriale di interi continenti che fino a pochi anni fa si potevano considerare a "impatto ambientale zero".
"Che fare? Lasciare l'economia in mano ai socialisti significa, nel medio lungo periodo, lasciare ai socialisti il controllo della maggior parte dei Paesi. In prospettiva, infatti, sarà sempre più difficile nascondere il degrado ambientale che ci circonda. E' sempre più urgente che l'ecologia diventi anche un valore di chi socialista non è, se non altro perché più ambiente per i socialisti significa più statalismo.
"Purtroppo anche in questa battaglia i conservatori hanno posizioni sostanzialmente identiche ai socialisti (è quasi impossibile ormai capire la differenza tra conservatori di sinistra e socialisti di destra). E' necessario quindi che l'ecologia torni ad essere un valore liberale visto che, come Valerio testimonia, i primi ambientalisti sono stati proprio i liberali".
Così l’ottimo Sgembo.
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Però, il negazionismo degli economisti liberisti (ricordo il duro saggio-requisitoria di Lottieri sull’ecologismo, su cui tornerò con un apposito articolo) sembra fatto apposta per confermare i Rosso-verdi in questo loro pregiudizio anticapitalista. Come sempre, gli opposti in politica si danno una mano.
D’altra parte, per noi liberali che amiamo il mercato - laddove il mercato è adatto e salutare, cioè "quasi" ovunque - che bisogno c’è di proporlo anche nell’unico caso in cui non si adatta o si adatta poco alla natura delle cose, come nelle cose della Natura? Non si danneggia così, oltre all’ambiente, anche lo stessa immagine del mercato libero?

24 ottobre 2006

 

Allarme Wwf: le risorse stanno per finire. Ridicolo, dice il liberista IBL

Mi dichiaro amico della natura e del Wwf , il primo e più puro club ecologico in Italia (e guai a chi me lo tocca), sono un superecologista, insomma, anzi di più, un naturista della prima ora. Fin da tempi non sospetti: 1975, molto prima dei politici Verdi. E sono anche, dall’adolescenza, liberale e liberista convinto. Tanto che ho imparato dalla Storia che è dal mercato libero che derivano le libertà politiche, non il contrario.
Contrasto? Macché. A me parve la cosa più ovvia, istintiva, naturale. La natura non è il massimo della libertà?
Ma oggi, i miei amici iperliberisti d’attacco dell’Istituto Bruno Leoni strapazzano brutalmente i miei amici ecologisti d’attacco del Wwf, che non solo si dichiarano anti-liberisti, ma oggi hanno diffuso un allarmante rapporto sullo stato della Terra, il Living Planet Report 2006. Lo hanno significativamente presentato in Cina, potenza emergente anche nei rifiuti e nell’inquinamento. Se il mondo continua a consumare così, soprattutto se i Paesi poveri copiano non solo le cose buone, ma anche i vizi di noi occidentali, come sta già accadendo, le risorse della Terra non basteranno e l’inquinamento sarà insostenibile, dice il Wwf. Tanto che già nel 2050, se continua lo spreco di acqua, terreni coltivati, animali e foreste, ci servirebbe in più – per dare un’idea della vastità del disastro – un’altro intero pianeta Terra.
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"Ridicolo", scrive a commento del Rapporto un comunicato dell’IBL facendo parlare l’esperto economista Carlo Stagnaro. Siamo all’allarmismo puro. Anzi, proprio questo è il tipo di previsioni che già in passato si è dimostrato fallace. "Nel 1980 il presidente Usa Carter, basandosi su uno studio che aveva commissionato, assicurò che nel 2000 si sarebbero esaurite le risorse alimentari del pianeta. Nel 1987 una commissione dell'Onu certificava un grave pericolo per la vita sul pianeta. Prima ancora, Theodore Roosevelt nel 1905 aveva annunciato che in qualche decennio si sarebbero esaurite le riserve mondiali di legname. Nel 1972 il Club di Roma affermò che l'oro sarebbe finito entro il 1981, lo zinco entro il 1990, il petrolio entro il 1992, il piombo, il rame e il metano entro il 1993".
Non solo la Natura, ma l’uomo si è sempre adeguato alle situazioni di crisi ambientale. La sua fantasia, unita al libero gioco delle forze concorrenti, sia nel mercato sia nella scienza, hanno sempre risolto problemi del genere e trovato nuovi equilibri. Fonti carenti? Ne troveremo altre, dicono all’Istituto Bruno Leoni. Dopotutto lo stesso petrolio è una fonte energetica recente.
Il Wwf e l’IBL hanno entrambi ragione e torto. Ma questi sono distribuiti in modo diverso tra i due contendenti. Il Wwf ha ragione da vendere sulla proiezione scientifica. Non possiamo sapere quello che la scienza di domani escogiterà. Ma, oggi, con le attuali conoscenze, una proiezione di dati sul medio periodo è davvero allarmante per la Terra e l’Uomo. Allarmismo? Sì, forse, un poco. Ma solo nei toni. Ed è un peccato veniale: serve ad attirare l’attenzione prima dei giornalisti, poi del largo pubblico, sempre distratti. E’ un dolus bonus. Diverso quando qualche ecologista si mette a criticare il liberismo economico o il mercato in sé: in tal caso il suo errore è speculare a quello degli economisti liberisti anti-ambiente.

L’errore ideologico degli amici dell’IBL è che si occupano di ciò che non gli compete, e prendono l’ecologia come una branca dell’economia. Ma chi l’ha detto? Il nostro caro mercato libero, il liberismo che io e voi amiamo tanto come motore di creatività del mondo, non c’entra niente con l’ambiente. Non deve neanche sfiorarlo concettualmente. Il libero mercato, come dice il nome, non può applicarsi ai beni indisponibili e incommerciabili per eccellenza perché rari, delicati e di tutti: l’acqua da bere, l’aria pulita, il delicato equilibrio tra le specie vegetali e animali, la magnifica libertà dell’uomo (sì, un fondamentale "diritto di libertà") di immergersi in un lago non inquinato, di camminare tra boschi e montagne incontaminati, di osservare piante e animali selvatici, di vivere in modo naturale la Wilderness, il mondo selvaggio, che è così utile – assicurano perfino gli psicologi – al nostro equilibrio psico-fisico.
Che c’entra il mercato con questi gioielli di famiglia della specie Uomo, che tramandano la nostra natura e la nostra identità? Forse che il commerciante mette in vendita anche tutto ciò che ha in casa? Per caso i bravi amici liberisti, solo perché tali, dovrebbero per "coerenza ideologica" vendersi la fede nuziale, la foto con la dedica della persona amata, il cagnolino prediletto, addirittura la moglie e i figli? No di certo. E allora?
Ecco, il mercato si arresta, deve arrestarsi deferente, di fronte alla Natura e all’ambiente. Anche perché non avrebbe titoli, trattandosi di beni di tutto il Genere umano, compresi tutti gli uomini passati e futuri, e non solo di alcuni operatori di Borsa, produttori o politici. Senza contare che ormai, anche sul piano teorico, il mercato liberale è sempre meno mercato di produttori e sempre più mercato di consumatori.
Insomma, l’accusa che faccio a entrambi è quella di invasione di campo, di mischiare la scienza con la politica.
In altre parole, gli ecologisti parlando male del liberismo e i liberisti screditando l’ecologismo fanno entrambi, abusivamente, politica anziché scienza. Perché, è vero che banalmente "tutto è collegato", ma sul piano pratico la curiosa vicinanza etimologica tra l’ecologia ("scienza della casa") e l’economia ("legge della casa") è solo frutto della scarsa fantasia dei nomenclatori, perché l’ecologia e l’economia sono nei propri ambiti indipendenti e sovrane.
Quindi i miei amati ecologisti e liberisti, quando parlano rispettivamente di economia e di ecologia, fanno del dilettantismo, diventano poco credibili, come esagitati avventori di caffè offuscati dal tifo politico.
E allora, amici a vostro modo "liberali", vogliamo farla questa pace? Gli amanti delle libertà, sia la libertà di vivere in una Terra sana e non inquinata, cioè di vivere, sia la libertà di produrre, intraprendere e acquistare, cioè anche in questo caso di vivere, devono prima o poi andare d’accordo tra loro.
Stipulino un patto virtuoso. Gli amici liberisti non facciano più gli ambientalisti, e cessino di mettere il naso nella natura, tra piante, animali, montagne, aria, suolo e sottosuolo. Dal canto loro, gli amici ecologisti non facciano più politica, e smettano di prendersela col liberismo, col mercato, col liberalismo e con l’Occidente. Anche perché l'Occidente liberale, almeno, ha inventato l'autocritica, la coscienza ecologista.
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Foto: Un eccello colpito dall'inquinamento marino da idrocarburi, bambini con maschera anti-smog, terreno desertificato per la siccità.

 

La questione del clima da Lomborg a Gore. "Noi, scettici ecologisti radicali"

Luca Pardi, ha scritto su Notizie Radicali di ieri un articolo dichiaratamente problematico e interlocutorio, dal titolo "Scetticismo contro scetticismo". Le certezze assolute, si sa, non appartengono al mondo dei laici, ma ai "fideisti religionari", per dirla col liberale Bertrand Russell. Ci piace riportare qui l'articolo, come contributo alla discussione che il nostro sito "Ecologia Liberale" vuole affrontare. Siamo sempre lieti che dal mondo liberale vengano apporti interessanti al problema dell'ambiente. Per completezza, aggiungiamo che l'associazione radicale "Rientro Dolce", si occupa soprattutto del grave problema del sovraffollamento della popolazione mondiale.
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"Fa piacere vedere che in casa radicale si riparla finalmente di ambiente senza peli sulla lingua. Il botta e risposta fra Antonio Bacchi e Valter Vecellio sulla questione "Al Gore si-Al Gore no", mostra, ancora una volta, la grande capacità di dibattito presente fra i radicali. Mi permetto di inserirmi anche io. Siccome si è accennato alla questione climatica partiamo da questa, in seguito, e prima del congresso, mi propongo di dare contributi per altri, e forse più rilevanti aspetti, dei vari problemi posti dall’impetuosa crescita del numero e dei consumi della nostra specie su questo pianeta.
Parliamo di anidride carbonica. Negli ultimi 600 mila anni, e fino al periodo precedente la rivoluzione industriale, il livello di anidride carbonica ha oscillato fra 200 e 300 ppm o parti per milione (*). Oggi dopo due secoli di uso dei combustibili fossili: carbone, petrolio e gas, il livello è di 380 ppm. Un 27 per cento in più rispetto al livello massimo in assenza di emissioni umane. [Neanche tanto, se si pensa a tutte le attività della rivoluzione industriale, descritte abitualmente come "distruttive" e inquinanti. Vero è che gli Antichi inquinavano moltissimo, ma erano davvero pochi. Il che è insieme confortante o allarmante per il nostro futuro: vuol dire che nel fenomeno la Natura ha un ruolo determinante. Nota di Nico Valerio].
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La situazione è simile a quella che si presenta ad un individuo con un parametro fuori norma nelle analisi del sangue. A seconda del parametro è giusto preoccuparsi. La CO2 è un parametro importante per il clima. Non è un male in se, ma osservando la tendenza, che nessuno nega, all’aumento della temperatura media, è naturale chiedersi quanto di questo aumento sia dovuto all’azione dell’uomo e quanti problemi possa porre. Di fronte a questo gli scienziati hanno gia dato una risposta forse non unanime ma larghissimamente maggioritaria. La realtà della forzante umana è un fatto condiviso dalla stragrande maggioranza dei climatologi. Non ci si deve vergognare ad ammettere che anche la scienza, a volte, volta pagina. E’ successo, in grande, con Copernico, succede adesso in tanti altri campi. Il presunto dibattito sulla ‘forzante umana’ sul clima, somiglia a quello sulla teoria dell’evoluzione, la quasi totalità dei biologi si dichiara evoluzionista mentre tre o quattro eccentrici fanno un po’ di polemica negandola, presentando i diversi punti di vista degli evoluzionisti come altrettante prove delle falsità del darwinismo.
Potremmo anche convenire, al limite, che il macchinario normativo del protocollo di Kyoto sia quantomeno insufficiente per affrontare il problema dei cambiamenti climatici, ma da qui a stabilire che l’allarme lanciato da più parti sia il solito ‘al lupo al lupo’ ci corre. La verità è che il lupo è ben visibile, non è più da tempo un’ombra, e va affrontato. Il lupo del global warming si sta mangiando i ghiacci perenni dei poli e dei ghiacciai alpini. Ha fatto aumentare i fenomeni atmosferici estremi, ha ridotto la produttività dei suoli agricoli (in combinazione con le pratiche dell’agricoltura industriale), sta determinando fenomeni di portata preoccupante. Se poi essere preoccupati deve essere immediatamente bollato come atteggiamento ideologico, va bene, sopporteremo anche questo fardello.
Oltre alle giuste questioni sollevate da Vecellio vale la pena di ricordare inoltre che non solo Gore, ma anche Tony Blair, uno della ‘nostra’ triade, si è differenziato dalle posizioni dell’amministrazione americana sulla questione climatica e, con il governatore della California Arnold Schwarzenegger, ha lanciato nel luglio scorso un progetto per la riduzione delle emissioni di gas alteranti del clima. Sarà forse che anche Tony diventa un demagogo quando parla di clima?
Veniamo a Lomborg. Non so quanti di noi abbiano letto per intero l’ambientalista scettico. Personalmente, vincendo la noia mortale che suscita quell’opera, l’ho fatto. In alcune parti del libro, quelle sulle quali mi riconosco assolutamente incompetente, ho anche creduto di imparare qualcosa. Nelle parti in cui mi considero tecnicamente preparato, invece, ho rilevato una metodologia sospetta: si riporta tutti i dati favorevoli alla tesi precostituita della sostanziale natura demagogica degli allarmi ambientalisti, e si dimentica tutti quelli che la avvalorano.
Lo scetticismo non è appannaggio dei negazionisti. Anche noi ecologisti di area radicale siamo scettici su molte cose. Per esempio, pur essendo favorevoli al libero mercato, siamo scettici sul fatto che le regole del libero mercato (ammesso che esso esista e non sia un’astrazione buona per le lezioni della Professoressa Fiorella Kostoris Padoa Schioppa) siano in grado di regolare tutti i problemi determinati dall’attività umana, o che, un sostituto del petrolio debba necessariamente prodursi in virtù del meccanismo dei prezzi. Pur essendo dei fautori delle nuove tecnologie siamo scettici sulla possibilità di risolvere tutti i problemi grazie a qualche soluzione tecnologica. Ad esempio, a noi il sequestro dell’anidride carbonica in formazioni geologiche profonde appare altrettanto improbabile della colonizzazione dei pianeti extraterrestri. Siamo scettici sull’economia all’idrogeno. Siamo scettici sull’entità delle riserve petrolifere e di uranio dichiarate. Siamo scettici sulla possibilità di continuare a consumare terreno agricolo per far posto a villettopoli, centri commerciali, autostrade e zone industriali. Siamo scettici sulla capacità degli ecosistemi terrestri di assorbire indefinitamente i cascami del metabolismo socio-economico di 6, 7 ,10 miliardi di persone in continua crescita materiale. Siamo scettici sull’attesa messianica della ‘naturale’ riduzione del tasso di crescita demografica indotta dal benessere. E siamo scettici sulla ‘naturale’ dematerializzazione dell’economia. Insomma siamo ambientalisti scettici anche noi. Scetticismo contro scetticismo, pari e patta".
LUCA PARDI
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[*] Unità di misura usata per indicare livelli relativamente bassi di concentrazione di un dato composto o elemento. Dire che la concentrazione di CO2 in atmosfera è di 320 ppm in volume significa dire che, in media, in un litro della miscela di gas che compongono l’atmosfera, (prevalentemente azoto e ossigeno) 320 milionesimi di litro sono costituiti da CO2.

21 ottobre 2006

 

Ai radicali di “Rientro Dolce” che coniugano ambiente e demografia

Banner di RientroDolceCari amici di "Rientro Dolce"(*), non sono tra voi solo perché da buon naturista pratico dedico le domeniche a camminare tra boschi e montagne. Dove non ho mai incontrato alcun "ecologista" o "verde" noto o impegnato. Da questo capirete che non credo più, ormai, in Italia, alla "parola parlata", cioè alla politica politichese, ai riti avvocateschi. Un po', da scrittore e giornalista, credo ancora alla "parola scritta".

Complimenti per il vostro sito, molti auguri e molta solidarietà da parte di chi, fin da adolescente è sempre stato contemporaneamente un liberale deciso, un radicale e un ambientalista severo. Caso unico in Italia. Un ultrà liberale che… fonda il primo club ecologista, nove anni prima dei Verdi: incredibile. Che inventa il no alla caccia, il mangiar sano, teorico (in vari libri) perfino della terapia con gli alimenti, del vegetarismo e del nudismo. E sono addirittura un "anti-marca", un "no logo": vi dirò un’altra volta perché questa è – nonostante che l’abbiano fatta propria i cretini snob e figli di papà della Sinistra antagonista – una posizione tipicamente liberale e liberista. Di mercato, addirittura. Insomma, una normale, razionale strategia di autotutela dei cittadini consumatori.

Ma, se ci pensiamo bene, un liberale-ecologista (con un Croce che ha promosso il primo Parco nazionale in Italia, i liberali Zanotti Bianco ed Elena Croce che hanno fondato Italia Nostra, i liberali che fondarono il Wwf internazionale, e in Italia i vari ministri liberali dell'ecologia) è meno incredibile di quanto la vulgata rosso-verde a Sinistra e l’ottusità della Destra vogliono far credere (come dico più avanti). Perché l’ecologia, anzi l’ecologismo, è liberale. Direbbe Croce, è liberale o non è. Dirò di più: a parte la sua origine liberale, l’ecologia con i suoi nuovi diritti di libertà riguardo all'ambiente, e soprattutto con la sua teoria dei limiti, è una metafora perfetta della teoria dei limiti dei diritti di libertà tipica del liberalismo.

Con l’occasione del vostro meeting ho aperto un sito, che è anche vostro, intitolato a "Ecologia liberale". Che dovrebbe approfondire la questione teorica del curioso legame tra liberalismo e Natura. E che nel primo articolo introduce appunto il tema dell'origine liberale dell'ambientalismo.

Solo sulla demografia c'è qualche differenza. Voi arrivate all’ecologia dalla demografia malthusiana. Però voi e il mio carissimo amico "Gigi" De Marchi fate un discorso ideologico, di demografia in generale, senza mai distinguere tra Asia ed Europa. Sull’Asia sono con voi, sull’Europa e l’Italia no. Ad un popolo (troppo numeroso, è vero, ma da tanto tempo) di anziani, di nonni, in cui anche i più giovani non fanno più figli, tanto che si è costretti ad importare manodopera legale e illegale, come gli si può dire "limitate le nascite"? E’ perfino ridicolo. Anzi, avete visto la vicenda di Maria, la bambina bielorussa, lo scandalo delle migliaia di adozioni ed affidi? Un popolo viziato e pauroso che non fa più figli (perché è cosa fastidiosa o antieconomica…), ma preferisce comprarli all’estero quando sono già grandicelli. Costano di meno. Una "delocalizzazione genetica" che ha del cinico. A questa gente voi dite di ridurre le nascite? concentriamoci, piuttosto su Cina e India, sull’Africa e il Sud-America. Anche se da buon naturista, so che la Natura, prima o poi si autoregola. E infatti l’incremento di natalità sta diminuendo in Asia, non in modo "dolce", ma anche "per colpa" delle brutali repressioni degli Stati.

Mi concentro, perciò, sulla questione ambientale. Ho messo in alto a sinistra, nel sito Ecologia Liberale, queste poche righe schematiche di programma-manifesto: "L'ecologia è una scienza. Severa e poco accomodante come tutte le scienze. Ma anche l'ecologismo deve tornare ad essere razionale, secondo le leggi della natura e le libertà dell'uomo, che sono fondate sui limiti, cioè sulla ragione. E deve essere il più neutrale possibile, non un altro mezzo con cui fare lotta politica contro gli avversari di classe. L'ecologia, perciò, è liberale, o non è. Perché è super partes. Perché solo dove sono rispettati diritti e doveri è possibile rispettare l'ambiente, perché liberali sono stati i primi ecologi ed ecologisti, e perché natura e ambiente configurano il primo dei diritti di libertà, quello di vivere secondo natura, anzi, di vivere". Il resto lo potrete leggere negli articoli (spero che ci sia anche qualcuno mandato da voi) su questo sito. Auguri.
Nico Valerio
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(*) "Rientro Dolce", che ha sede a Firenze, è un’associazione radicale che si occupa di sovrappopolazione e ambiente. L’apertura del sito "Liberali Italiani" ha coinciso con un convegno di RD. Di qui il saluto agli amici, liberal-radicali e in senso lato ambientalisti. Era il 6 ottobre e il sito "Ecologia liberale" si apriva con un riuscito articolo, scritto di getto direttamente sul blog, che riandata alla fondazione del primo club ecologista italiana, avvenuta in casa radicale nel lontano 1975. Purtroppo, per un errore l'articolo fu cancellato. Dopo questa falsa partenza aspettai una settimana per riaprire il sito.

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20 ottobre 2006

 

Basta con l'approccio "emozionale": l'ecologismo segua la scienza

Non tutto è perduto nella difesa della Natura in Italia. Pur nell'incomprensione del mondo politico, tra gli errori ideologici, le strumentalizzazioni e l'irrazionalità della Sinistra, da un lato, e l'ostilità ottusa e sottoculturale all'ambientalismo stesso da parte della Destra, dall'altro, il movimento ecologico ed ecologista italiano ha ancora delle teste pensanti. Un esempio è Francesco Mezzatesta, che ricordo impegnato nella conservazione della natura fin dagli anni Settanta, ben prima che nascessero i Verdi, e perciò - come me e pochi altri - sempre con molti nemici, molti problemi e pochi riconoscimenti ufficiali. Come mai, tanto per dire un nome (ma penso anche a Gilberto De Angelis), non è direttore d'uno dei tanti Parchi, che oggi sono diretti invece da illustri sconosciuti, oppure da oscuri amministratori?
Comunque, è stato Mezzatesta a coordinare di recente un importante Gruppo di studio sui principi che dovrebbero informare la conservazione della natura, e la tutela della biodiversità e delle aree protette (*). Purtroppo, nonostante la levatura e la coerenza cristallina dei membri del comitato, la Federazione dei Verdi non ha tenuto in minimo conto le raccomandazioni di questo comitato sorto al suo interno. Conosciamo bene, per averla sperimentata sulla nostra pelle, la diffidenza e sufficienza dei "politici", rossi, gialli, neri e perfino verdi, verso i "naturalisti Doc", quasi che essere esperti e difensori veri della natura volesse dire essere fanatici o anti-politici. Speriamo che questo riconoscimento, questo ravvedimento, da parte dei politici verdi, prima o poi ci sia. Intanto, ai bravi e coraggiosi naturalisti Mezzatesta, Borlenghi ed altri, va la solidarietà piena mia e del mio sito. (Nico Valerio)
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"UN APPROCCIO SCIENTIFICO, NON EMOZIONALE
Il movimento ambientalista in Italia ha spesso sofferto di un approccio emozionale alle problematiche della conservazione e gestione delle risorse naturali. Ciò probabilmente per una comprensibile polarizzazione delle posizioni che nasceva dalla necessità di rispondere attivamente a una componente "avversa" (venatoria, industriale, ecc.), che comunque mostrava un assoluto dispregio delle istanze ambientaliste come anche, spesso, delle stesse leggi nazionali e internazionali.
L’approccio emozionale ha portato, come conseguenza negativa, una scarsa abitudine culturale del movimento ambientalista italiano a basare le proprie istanze su criteri oggettivi, che partissero da dati scientifici inoppugnabili. E’evidente che la conservazione della natura quale scienza applicata non può che basarsi su di un approccio scientifico solido. La possibilità di avere accesso a dati scientifici è quindi requisito indispensabile per pianificare priorità e strategie di intervento, fino all’adozione di iniziative politiche conseguenti.
Conoscere quindi per conservare; descrivere oggettivamente i problemi, verificare scientificamente le possibili strategie per mitigare gli effetti di situazioni negative per l’ambiente, acquisire dati inoppugnabili per evitare il rischio di un arroccamento su posizioni emozionali che risultino semplicemente contrapposte alle altre, senza riuscire a marcare quella differenza culturale profonda che deve essere la forza del movimento ambientalista di domani".
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(*)..Gruppo e Documento a cura di Francesco Mezzatesta. Con i contributi di: Alessandro Alessandrini, Giuseppe Bogliani, Giuseppe Notarbartolo di Sciara, Almo Farina, Stefano Allavena, Franca Zanichelli , Gioacchino Pedrazzoli, Franco Ferroni, Ariel Brunnel, Patrizia Rossi, Giuseppe Tarallo, Maurizio Fraissinet, Fabio Borlenghi.

18 ottobre 2006

 

"Siamo per il mercato? Allora vendiamoci mogli, figlie e sorelle"

Gli Stati Uniti sono ritenuti uno dei Paesi maggiormente liberisti e fautori dell'iniziativa privata al mondo. Eppure, hanno una presenza di organizzazioni pubbliche e servizi inquisitorii e repressivi di grande efficienza e severità: dalle varie polizie alle Tv, dalle scuole agli enti pubblici tecnici (come la temibile FDA sui cibi e i farmaci), per finire con i tanti parchi e zone protette, inventate proprio negli Usa. Se, Dio non voglia, un sedicente "liberista" snob nostrano che si atteggia a innamorato perso dell'anarco-libertarismo yankee, fosse sorpreso dalle autorità di Stato americane a fumare, bere, cacciare, pescare, tagliare legna, vendere, guidare o importare illegalmente, diventerebbe sicuramente più anti-americano dei Comunisti italiani... Perché dove ci sono tutte le libertà, si sa, ci sono anche tutti i limiti possibili. Anzi, ad ogni libertà corrispondono dei limiti molto severi.
Dico questo perché in questi ultimi giorni ho preso molto a cuore la questione della cosiddetta "Ecologia liberale" o addirittura "Ecologia di mercato", come apertamente viene definita da alcuni improvvisati teorici ultra-liberisti che tra Vesuvio e Madunina si divertono a scimmiottare un Ronald Reagan forse intravisto al cinema.
Ma non sanno di prendere fischi per fiaschi. Forse da neofiti, assumono come dogma per tutti gli usi il mercato libero, dimenticando però che nel liberalismo vero - non quello di Ceccano o Cernusco sul Naviglio, ma quello di New York - il mercato libero è accompagnato e temperato, in un tutt'uno razionale, da una lunga serie di elementi altrettanto fondamentali per il liberalismo (regole, limiti, obblighi, libertà, metodologie, eccezioni ecc), senza i quali non si parlerebbe di diritti di tutti, ma di privilegi di pochi, insomma di prepotenze. Sono le forme, le regole, i diritti, insomma i famosi "limiti liberali", che trasformano l'anarchismo barbarico dei nostri progenitori nel raffinato liberalismo di oggi. Compreso il mercato liberale.
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E invece, che accade in Italia, quando la Destra sottoculturale da corporativa vuole diventare "liberista" per far vedere di essere moderna? Prende tutto alla lettera, comprese le argute provocazioni intellettuali. Per esempio, sta avendo un notevole seguito nel Centro-destra, che - si badi - in cinque anni di Governo Berlusconi, con 100 voti di maggioranza alla Camera, non ha fatto neanche una privatizzazione né ha favorito la concorrenza, un forte pamphlet di Novello Papafava in cui si teorizza che la cosa più efficace per la conservazione della natura sarebbe semplicemente... privatizzarla. Cioè, quelle privatizzazioni che i nostri Governi non riescono a fare neanche per gli Enti inutili o per i monopoli dell'informazione di Regime (Rai-Tv), la vorrebbero fare per il Parco dell'Adamello, la Costa dell'Uccellina e il Gran Sasso? Una pazzia, se non fosse una semplice provocazione colta, un amabile quanto inutile paradosso elitario. Ne parleremo in un articolo apposito.
Fatto sta che giornalisti economici dell'Istituto Bruno Leoni, come gli influenti Stagnaro e Lottieri, senza contare l'aggressivo ed efficace Bianco, diffondono sulla stampa di Centro-destra (Libero, Foglio, Giornale), su internet, spingendosi fino alle aree della Sinistra liberal e del Riformista, argomenti del genere, preceduti sempre da una critica feroce quanto banale e piena di pecche filosofico-ideologico-scientifiche all'ambientalismo tout court. Anzi, ogni anti-ambientalismo loro lo chiamano "liberale" o "liberista". Solo che, credendo nella furia di menare i Rosso-verdi (che, a dire il vero, qualche schiaffetto se lo meriterebbero), i neocatecumeni mercatisti all'ultimo sangue se la prendono con l'ambiente, cioè con le nostre radici culturali, quella Natura che insieme con l'Arte rappresenta la nostra vera, unica, immagine di popolo, la nostra inimitabile identità.
Fondai nel '75, al Congresso radicale di Bologna, il primo club "ecologista" in Italia, la Lega Naturista, che aveva in programma tutti i temi ambientali e salutistici. Proposi e presentai il I Referendum anticaccia. Per questo, quando più tardi vidi cose che non andavano, criticai duramente il finto ecologismo, in realtà lotta politica con altro nome, di certi Rosso-verdi.
Ma oggi, da ecologista della prima ora, ritengo che un pericolo forse più grave, perché non genera anticorpi come certo stalinismo rosso-verde dei decenni passati, venga dalla Destra, con questa subdola invenzione della ecologia di mercato.
Che "suona bene", pare moderna e tecnocratica ai travet di provincia che siedono alla Camera e al Senato, e tra uno sfondone di grammatica e una discordanza sintattica potrebbero trovare allettante, plausibile, che so, affittare ai privati le dune ancora incontaminate, la macchia mediterranea, le Alpi e gli Appennini. Senza contare un bel contratto di leasing per il Colosseo o il duomo di Siena. Ma una "ecologia liberale" così concepita non sta in cielo né in terra.
E deve offendere profondamente sia i liberali, sia gli ecologisti. Figuratevi chi è, per pura sfortuna, entrambe le cose...
E già, perché oltre che di ambiente (nel quale ho sempre assunto posizioni molto severe e rigorosamente protezioniste, tanto da definirmi un ecologista coerente perfino nella vita privata, cioè un naturista) sono fautore ed esperto di liberalismo (liberismo compreso, certo)fino dall'adolescenza.
Ebbene, vi posso assicurare che la vulgata recente della Destra sedicente "di mercato", in realtà solo anti-ambientalista, secondo cui il liberale dovrebbe svendere laghi, monti e parchi, e magari - perché no? - mogli, madri e figlie, se ancora in buono stato, con la scusa del liberismo e del mercato, è di un'inconsistenza, una volgarità, una superficialità concettuale unica. Non da ecologista, ma da liberale vero protesto scandalizzato per un infantilismo del genere.
Perfino negli aridi manuali di diritto privato si parla dei beni non economici ma di grande valore storico o naturalistico o affettivo o religioso, a significare che per una società - soprattutto se liberale, cioè evoluta - non tutto è commerciabile, non tutto è vendibile e acquistabile. Non ho mai letto in nessun testo di liberalismo che il libero mercato debba brutalmente riguardare in modo indiscriminato la natura, il paesaggio, le bellezze ambientali, i monumenti, o il patrimonio artistico dello Stato.
E chiunque di noi conosca qualche vecchio signore liberale, sa quanto sarebbe assurda per lui qualunque idea di svendere, di cedere, di alienare la ricchezza insostituibile, quella che - appunto - non ha prezzo.
Eppoi un po' di storia del protezionismo. I primi conservazionisti furono tutti liberali. Fu Croce a patrocinare il Parco d'Abruzzo, dopo che un parente aveva avuto l'idea guardando all'estero (Usa e Germania). E lì, anzi, avvenne l'opposto di quello che auspicano i mercatisti non liberali di oggi: il Parco nacque come privato per poi diventare pubblico. Un gruppo di volenterosi mecenati prese in affitto dai Comuni, privatamente, un terzo dell'attuale Parco, che poi fu ingrandito ed eretto a Ente pubblico. Del resto, perfino in Italia Nostra furono i liberali Zanotti Bianco e la figlia di Croce tra i fondatori.
Insomma, bisogna confutare queste tesi cretine che possono far presa su una classe politica di basso livello, sia nel Centro-destra che nel Centro-sinistra. Per questo ho aperto il nuovo sito. Dove voglio approfondire questa questione e rintuzzare falsità e leggende metropolitane che, dove la cultura è carente - specie a Destra - attecchiscono più facilmente. Insomma, vorrei fare opera di controinformazione, chiarendo nel frattempo a me stesso e agli altri molti concetti e intuizioni che oggi sulla grande stampa appaiono esposti in modo confuso.
Per ora ne è venuto fuori, come avete visto, una bozza di Manifesto della vera ecologia liberale. Da migliorare e integrare. Anzi, si accettano suggerimenti, vista l'assoluta novità dell'argomento. Manifesto che potremo usare per rintuzzare le furberie anti-ambientaliste che prendono come scusante l'incolpevole mercato e l'ancor meno colpevole liberalismo.

05 ottobre 2006

 

Ecologia liberale? Sì, ma non solo l’ambiente come diritti di libertà e scienza, anche un po’ di storia.

Spiaggia e scoglio (piccola)(NV) Come ecologisti, anzi - di più - come coerenti "naturisti" della prima ora, vediamo con simpatia l'attuale tendenza a rivalutare le origini e i contenuti liberali dell'ecologia, sia a Destra che a Sinistra. E ora, di nuovo tra gli amici Radicali. Anche perché, liberali fin dalla adolescenza, abbiamo fondato il "primo club ecologista in Italia" nel lontano 1975, in quel porto di mare che era allora la casa radicale (e dove, se no?), quando nessuno nel mondo politico, neanche tra i Radicali, parlava di ecologia o mostrava la minima simpatia verso l'ambiente. Nel '75, pensate un po', l'argomento non veniva considerato "politico" dai soliti politici di professione. Nè a Destra, né a Sinistra, e neanche da alcuni dirigenti radicali. E, visto quello che poi è accaduto, con la politicizzazione sinistrese dell'ambiente, mi chiedo: che avessero ragione?
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Nel '75, nel corso d'un congresso radicale a Bologna, fondai la Lega Naturista, che ebbe grande successo tra la base radicale, allora aperta ad ogni novità e in anticipo sui tempi, a differenza di oggi. Il primo ad aderire fu Carlo Consiglio, futuro fondatore della Lega per l'Abolizione della Caccia, anch'egli presente al Congresso, col quale presentai una mozione e un manifesto programmatico. Avemmo subito centinaia di iscritti, tutti radicali, tanto da suscitare la curiosità un po' gelosa e infastidita di alcuni dirigenti radicali, timorosi che temi così "leggeri" e "altri" da quelli usuali potessero distrarre o sviare i militanti dai più "seri" obiettivi di partito. Ma nel partito delle doppie e triple tessere questo non era davvero un problema: allora i radicali di base (bei tempi, erano tutti giovani) partecipavano a tutte le iniziative contemporaneamente.
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Inaugurammo l'attività con un'azione di strada "alla radicale": noi ragazzi-sandwich con cartelli e slogan durissimi contestammo per prima cosa lo zoo di Roma [forse oggi non lo rifarei: NdA]. Ne parlarono tutti i giornali, perfino Annabella. Grande era la novità, e i nomi allora, grazie ai nostri corretti comunicati, erano giusti: "Naturisti contestano lo zoo", "Naturisti mettono in fuga i cacciatori". Bei tempi: Eravamo riusciti a far capire ai giornalisti (informazioni stampa ogni giorno) che cosa è il Naturismo e che i nudisti si devono chiamare solo nudisti (a meno che non siano anche naturisti). Non come oggi, con i nudisti che si vergognano del nome e si nascondono dietro la foglia di fico d'una parola ("naturista") più grande di loro. Ci eravamo riusciti così bene che la società di elettrodomestici Girmi produsse in nostro onore l'estrattore-centrifuga di succhi di frutta e verdura "Girmi il Naturista", che restò in produzione oltre 10 anni, fino a tutti gli anni 80.
 
La Lega Naturista si occupava - caso unico in Europa - di tutti gli aspetti del rapporto Uomo-Natura (alimentazione naturale,
prevenzione e medicine naturali, agricoltura naturale, tutela di piante, animali e ambiente, energie alternative, risparmio energetico e autosufficienza, esercizio fisico e comunione con la Natura (ginnastica herbertiana all'aperto, escursionismo), corporeità, riforma del vestiario e nudismo), come appunto vuole la Zeit Reform o "riforma della vita" che è il Naturismo, che mette tutto in collegamento circolare perché tutto è ispirato alla filosofia-scienza della vita "secondo natura" che deriva da Ippocrate, fondatore della medicina scientifica (cfr. "medicina ippocratica" e "il cibo sia la tua medicina"). Visione coerente e vastissima: basti pensare che l'ecologia, che pure ci sembra vasta, è solo una piccola parte del Naturismo, da cui deriva (la conoscenza-tutela del rapporto piante-animali-ambiente, secondo Haeckel, 1846).
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Così, con la propaganda in casa radicale e all'esterno, insinuammo a poco a poco nell'opinione pubblica italiana e nei giornali i primi concetti base: l'alimentazione sana e naturale, le medicine naturali, il risparmio di energia e le energie pulite, il no alla caccia, la tutela delle piante e degli animali.
Qualcuno capì subito, come i cacciatori, altri capirono molto più tardi. La rivista dei cacciatori, Diana, pubblicò (1978) in copertina la foto di Nico Valerio [e ci piacerebbe tanto averlo, quel fascicolo...] mentre nella sede del Partito Radicale in via Torre Argentina illustrava le finalità del referendum. Col risultato che, pochi giorni dopo, un cassiere di banca, cacciatore, si rifiutò di pagargli un assegno. Il Wwf di Roma (diretto allora da Fulco Pratesi) scrisse su un manifesto che l'abolizione della caccia era eccessiva e troppo "radicale": meglio regolamentarla, limitarla. Mentre l'antimilitarista radicale Rosa Filippini sbottava nei corridoi del Partito Radicale: "Nico, ma vuoi capire che la macrobiotica e gli uccellini non sono politica?". Pochi anni dopo, il Wwf diverrà il portabandiera del II Referendum anti-caccia, mentre la Filippini, abbandonato l'antimilitarismo, fonderà con Mario Signorino la sezione italiana dei Friends of Earth, gli Amici della Terra. Che ebbero subito, a differenza della anticipatrice Lega Naturista, grande appoggio dal Partito Radicale.
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Comunque, dai e ridai, in tre anni influenzammo a tal punto la base e la dirigenza radicale, e poi anche il timido mondo delle associazioni naturalistiche d'allora, da poter promuovere il I Referendum anti-caccia, presentato nel 1978 dalla Lac fondata da Carlo Consiglio (socio della mia Lega Naturista) e dal Partito Radicale, che nel frattempo aveva capito il forte potere dirompente e politico d'un referendum non-violento contro la violenza della caccia. Un'altra nostra iscritta, Laura Girardello, fondò la Lega per i Diritti degli Animali, che diffuse anche in Italia la Dichiarazione dei Diritti.
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Dunque, evviva se vari Liberali e i Radicali oggi, con grande ritardo, si riappropriano dell'ambiente. E' un ritorno. Solo, temiamo le semplificazioni sbagliate, magari per reazione ad un sinistrismo che ha distrutto l'ecologia, come il voler ridurre abusivamente l'ecologia a tecnocrazia, oppure al puro mercato o al mero concetto di proprietà privata, come sembra auspicare l'originale e provocatorio pamphlet di Papafava, "Introduzione all'ecologia liberale", edito da Liberilibri. Ne riparleremo.
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Come liberali dalla prima adolescenza, quando "liberale" era una parolaccia, gli anticonformisti e gli individualisti ci piacciono. Purché vogliano le libertà per tutti, non solo per sé come gli autoritari. E solo se perseguono tutte le libertà, non solo alcune (p.es., solo quella di mercato), soprattutto quelle degli altri (come fa Pannella, in modo esemplare), e anche quelle nuove, i tanti sedicenti "liberali" possono essere considerati liberali veri.
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E tra le tante nuove libertà c'è oggi anche quella di usare e godere - in modo non distruttivo, ma con le cautele e l'amore del bonus pater familias - la Natura, l'ambiente, le piante, gli animali, il paesaggio, l'arte, le bellezze e le risorse naturali, perfino il territorio urbano intorno a noi. Lo riconobbe anche il filosofo liberale Benedetto Croce, quando si fece promotore del primo Parco protetto in Italia, quello d'Abruzzo, proposto dal naturalista Alessandro Ghigi e realizzato poi da un comitato privato creato dalla Pro Montis et Sylvis nel 1921, visto che lo Stato non ne voleva sapere, prendendo "in affitto" privatamente (un incipit eloquente) i primi 12 mila ettari dai vari Comuni. Lo sapevano benissimo anche la figlia Elena Croce e l'umanista liberale Umberto Zanotti Bianco, fondatori di Italia Nostra nel 1955. E di idee insieme protezioniste, scientiste e liberali erano nel 1961 anche i fondatori del Wwf internazionale, primo tra tutti lo zoologo Julian Huxley. Senza parlare, poi, in Italia, dei vari ministri liberali dell'ambiente che, prima dei Verdi, hanno ricoperto con dignità il loro ruolo.
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Insomma, i rosso-verdi ci hanno fatto dimenticare che l'ecologia nasce liberale. E non poteva che essere così, se ci pensiamo bene. Solo i liberali e in Occidente potevano avvalersi delle libertà, dei modelli esistenti e dell'iniziativa privata necessaria per delineare e teorizzare le "nuove libertà" sull'ambiente e la Natura selvaggia (Wilderness), ben conoscendo - visto che li avevano sotto gli occhi ogni giorno - i limiti obiettivi dello sviluppo tumultuoso e caotico d'una società industriale avanzata. L'ecologia, perciò, nasce come "coscienza critica", "autoregolazione" liberale del modello capitalistico. Da società dei produttori (il liberale di sinistra Gobetti) a società dei consumatori. Laddove per consumatori s'intendono i cittadini critici, "elettori" di questo o quel prodotto-partito (Schumpeter). E se vogliono, possono astenersi, non votare, non acquistare. Buon segno: vuol dire che il sistema sociale ed economico dell'Occidente trova in se stesso, con tutti i suoi difetti, le terapie e i contravveleni per guarire, o almeno per reagire ai mali dell'umanità di oggi, che sono il disprezzo della Natura, la sovrappopolazione, l'irrazionalità.
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Ribaltiamo, quindi, l'equazione. Ai conservatori di Sinistra e di Destra che storcono il naso o equivocano su una ecologia liberale, rispondiamo che l'ecologismo non poteva nascere che nell'Occidente liberale, da liberali. E gli industriali più intelligenti, paradossalmente, lo hanno capito subito: l'inquinamento, la distruzione del paesaggio e delle specie, sono "costi aggiuntivi", segni di "inefficienza" del sistema liberale, oltre che errori dannosi, che rendono la vita difficile sia ai consumatori, sia ai produttori. Insomma, il capitalismo, che nutre economicamente il sistema liberale, può riuscire depurato e più efficiente solo eliminando il gap di cultura e le "scorie" di inefficienza ambientale. Anche su questo punto, contrapponendosi all'Occidente e al capitalismo, i Verdi hanno sempre sbagliato.
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Controprove? I disastri ambientali dovuti all'ideologia e all'incuria degli uomini, e la distruzione irreversibile dell'ambiente in Urss, Europa orientale e Cina (in cui i primi ecologisti furono incarcerati, "giustamente", essendo portatori d'una ideologia liberale e occidentale...), con tassi di inquinamento incredibili, nonostante l'enorme estensione di territorio e la bassa densità di popolazione per chilometro quadrato. E solo in un Paese non liberale un lago così grande come quello d'Aral poteva essere lasciato morire.
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Ma anche i tanti errori e i piccoli disastri compiuti dai rosso-verdi in Occidente, dove ormai sono lobby di potere e di affari : dalla benzina "verde" cancerogena imposta in sostituzione di quella col piombo, al costoso e inutile cibo vegetale "biologico" privo solo dei pochi pesticidi umani, ma non dei tanti pesticidi naturali, alle costose centrali eoliche, non solo inefficienti ma che deturpano il paesaggio, ai teatrali e inutili blocchi del traffico negli angusti Centri storici, perché non si ha il coraggio di vietare o far pagare un pedaggio come a Londra.
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Però, una mera "ecologia di mercato", auspicata dagli amici della Destra liberista, può andar bene in qualche caso, ma non funziona come sistema generale. Non dimentichiamo, infatti, che i beni naturali sono beni d'una nuova specie, insieme individuali e collettivi, come tutti quelli tutelati dai famosi diritti di libertà di cui va fiero il liberalismo: ogni individuo li può, anzi ha diritto ad usarli, fino al limite dell'uso altrui. Tipico limite liberale. Non scordiamo che il Diritto (i limiti) è la base pubblicistica dei liberali, ma anche la loro filosofia concreta. E che perfino gli Stati Uniti hanno un po' di scuole pubbliche, bus pubblici, polizie di Stato, e così via. Perché, proprio noi italiani che siamo così poco liberali, con poco mercato libero e poco rispetto per le libertà, dovremmo cominciare a privatizzare proprio la Natura, addirittura quella che sta per sparire e che dovremmo lasciare in eredità alle future generazioni come segno di continuità culturale e identitaria? Un Popolo è la Natura in cui vive. Se la distrugge, cancella le proprie radici, la propria identità.
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E il liberalismo - insistiamo perché non lo ricorda mai nessuno - non è la filosofia politica dei diritti di libertà puri, senza contropartita, ma dei diritti accompagnati da speculari doveri. Il liberalismo è, anzi, la più perfetta "teoria dei limiti dei diritti individuali", che non siano quelli assoluti. Questo schema teorico liberale (tutti i cittadini hanno tutti i diritti di libertà possibili, ma ne limitano un poco l'ampiezza per poterne permettere il godimento a tutti), si adatta perfettamente ai diritti ambientali. Anche dal punto di vista giuridico e politico, insomma, la tutela dell'ambiente, nasce e si sviluppa al meglio solo in un ambiente liberale.

04 ottobre 2006

 

Ecologia liberale? Certo, o è liberale o non è. Non vuol dire moderata, ma che segue libertà e scienza.

L’ecologia può essere liberale? Sarebbe meglio chiedersi, invece, se l’ecologia possa continuare ad essere illiberale, o antiliberale. Ma l'ecologia è una scienza, non dimentichiamolo. Severa e poco accomodante come tutte le scienze. E come tale, mal si presta ad essere utilizzata dalla politica, che è mediazione, ricerca di accordo tra tesi opposte.

Piuttosto, è l'ecologismo, il movimento politico che all’ecologia si ispira, che deve tornare ad essere il più possibile razionale, e quindi liberale. Dopotutto, le leggi della natura e le libertà dell'uomo sono entrambe fondate sul concetto di "limite", e perciò in fin dei conti sulla ragione.

Ecco perché "l’ecologia" (chiamiamola per brevità così) deve essere la più neutrale possibile, e deve servire ad accrescere non solo le nostre conoscenze, ma anche le nostre libertà, in accordo con l’ambiente, le altre specie e gli altri uomini, insomma la nostra felicità. Ben altro che un'arma impropria con cui fare lotta politica contro gli avversari di classe, contro l'Occidente, come finora è stato per colpa di una certa Sinistra.

Ma neanche può essere il suo uguale e contrario, cioè finta e moderata, un arnese di facciata che non difende né natura, né animali, né uomo, come vorrebbe la Destra, che ora, dopo esser stata per un secolo anti-liberale o poco liberale, usa all’improvviso il pretesto del liberismo e del mercato (ecologia “liberale”!) per ornarsi d'un bell'aggettivo e svendere l’ambiente agli speculatori, agli amici industriali, ai cacciatori, con la scusa che sono "privati" e che non se ne può più dello statalismo.

Ma la Storia ha dimostrato che in Italia i privati non sono sempre migliori dello Stato, anzi, talvolta nell’economia e quasi sempre nell’ambiente sono stati un problema.

L'ecologia sia davvero liberale, allora. Anzi, a ben guardare, o è liberale o non è.

E non perché, resa così affidabile, potrebbe per errore apparire più blanda rispetto alle petizioni ideologiche di principio di cui è stata abusivamente messa al servizio. Anzi, talvolta potrebbe essere più severa. Come non può essere "estremistica", così non può essere "moderata".

E neanche è liberale perché si dovrebbe affidare per ideologia sempre al mercato o alla proprietà. Che qualche volta, in casi marginali, serviranno, non neghiamo, ma che più spesso sono inadatti ad assicurare la conservazione di quei beni, molti dei quali tipicamente fuori mercato, che sono per definizione i beni naturali e le bellezze del paesaggio, che appartengono a tutti, e spesso sono rari, unici, troppo vasti, immateriali, troppo costosi ma senza prezzo. Insomma, non è facile neanche trovare dei privati – a meno che non siano generosi mercanti appassionati della Natura – in grado o che accettino di gestire la particolarissima qualità dei beni paesaggistici e ambientali.

L’ecologia è liberale anche, staremmo per dire innanzitutto, perché è e deve apparire obiettiva e super partes. Né di Sinistra, né di Destra, né progressista, né conservatrice. Avendo in sé tutte queste tendenze. Anzi, non deve essere neanche politica (nel senso di partitica, perché ogni cosa sociale attiene alla polis). Ecco un paradossale, consapevole ossimoro liberale. Deve essere neutra. Come la scienza di cui fa parte.

Perché la Natura, come le libertà, richiede dei limiti. Infatti, le libertà e i limiti propri della natura sono una magnifica metafora delle libertà del liberalismo: anche qui, come nell’ambiente naturale, le libertà trovano ostacoli e limiti (tante altre libertà) che ne riducono l’ampiezza, estendendo però il godimento a tutti i cittadini.

Perché solo nelle società liberali in cui tutti rispettano diritti e doveri (vedi le grandi democrazie liberali anglosassoni, dove – guarda caso – ecologia ed ecologismo sono nati) è possibile rispettare le piante, gli animali, la natura, l'ambiente, il paesaggio.

Perché liberali sono stati storicamente i primi promotori dell’ambiente, i primi ecologi e perfino i primi ecologisti. Perché natura e ambiente, ora che li si studia dal punto di vista giuridico, stanno dando corpo a nuovi diritti di libertà e a nuovi doveri.

Perché si deve basare sulla responsabilità e l’educazione del cittadino prima ancora che sulla giusta coazione da parte dello Stato.

Perché, insomma, deve essere innanzitutto un modo comune di pensare, una mentalità diffusa, e poi un obbligo di legge.

Perché natura e ambiente configurano veri e propri diritti di libertà, individuali e collettivi, come hanno teorizzato i giuristi in centinaia di studi e come hanno statuito molte leggi in tutto l’Occidente.

E perché, infine, ovviamente, fuori da un corretto rapporto con la natura non potrebbe esplicarsi neanche il primo dei diritti assoluti, la libertà stessa di vivere.

Che perciò, a ben vedere, è sempre la libertà di vivere "secondo natura". Anche se per natura si volesse intendere riduttivamente la sola natura dell’uomo.

L’ecologia, insomma, non può che essere liberale.

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Una sintesi di questo articolo appare come Manifesto di riferimento della “Ecologia Liberale” sulla colonnina laterale.

AGGIORNATO IL 21 NOVEMBRE 2014.

 

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