22 aprile 2009

 

Oggi, Giornata della Terra: retorica, ipocrisia, e inquinanti concerti di massa

Come per l'8 marzo, ricorrenza delle antiche discriminazioni contro le donne, metabolizzata e neutralizzata ormai come banale "festa" commerciale in cui signore e ragazze di tutto il mondo, e anche i loro parenti e fidanzati, vanno in pizzeria e si fanno regali (e ti pareva che non si risolveva tutto nella furbata commerciale e consumistica, addirittura antifemminista, perché siamo noi maschi galanti a fare i regali alle donne, a cominciare dai fiori di mimose, che all'improvviso spogliano alberi bellissimi!), così per le varie "feste dell'ambiente", "dell'ecologia", "della Terra", siamo ormai al ridicolo più spudorato.
Non c'è bisogno di nuove "feste" o "Giornate", che creano facili miti e stanche abitudini, ma più laicamente d'una attività silenziosa e quotidiana di tutti i cittadini, con l'esempio di amministratori e politici. Visto che la famiglia non funziona, le scuole dovrebbero educare i ragazzi non alla retorica della Natura, ma ad una vita quotidiana davvero naturale. Cosa che nessuno fa e nessuno propone, anche perché coloro che dovrebbero proporla, gli "ecologisti", vivono esattamente come tutti. E così si perpetuano i vecchi (Destra) e nuovi (Sinistra) sprechi, i vecchi (Destra) e nuovi (Sinistra) consumismi, magari l'inutile e furbo "shampoo alla vitamina E", vitamina che non si può assimilare attraverso la cute ma andrebbe semmai ingerita (Destra), o la maglietta alla moda firmata con uno slogan finto-ecologico o con l'immagine d'un personaggio dello spettacolo, "testimonial" finto-verde ricco e figo (Sinistra).
Invece, una ricorrenza nata per ricordare agli Stati e ai cittadini che la Terra va difesa giorno per giorno, non a parole, bensì con uno stile di vita naturale, salutistico e non aggressivo verso l'ambiente e gli altri cittadini, cioè con scelte individuali razionali e consapevoli, e con leggi e programmi pubblici che queste scelte facilitino, è diventata una buffonata rumorosa e inquinante, che finisce in gloria con tanto di assurdi concerti rock.
Che cos'è, una captatio benevolentiae verso un pubblico "giovanile" che si immagina rozzo e incapace, dedito solo agli stadi di calcio e alle adunate di musicaccia, e che quindi va contattato solo attraverso questi suoi due "argomenti", gli unici per lui comprensibili? E non è questo realismo mediatico un sottile disprezzo razzistico?
Ma che c'entra poi, anche stilisticamente? Oltretutto, se c'è una musica inquinante dal punto di vista acustico, energetico e ambientale, è proprio il rock. Perfino la sua origine è artificiale e assimilabile ai rifiuti tecnologici: musica di consumo ultra-commerciale inventata a tavolino dagli editori discografici americani, una derivazione di una imitazione di una semplificazione della musica para-jazzistica, cioè il rhythm & blues di Kansas City. Insomma, tra le tante musiche possibili, proprio la meno naturale in assoluto. Quindi, il peggio. Ma poi le modalità dell'ascolto: la folla, l'eccesso di rifiuti, lo spreco di energia elettrica, il rumore inquinante dei concerti rock all'aperto, pongono problemi seri proprio a quella Terra che con grande faccia tosta (di tolla, o di bronzo) si dice di voler proteggere*.
Questo fa capire che razza di retorica furba, politica e buffonesca sono queste ricorrenze, che ormai solo i club pseudo-ecologisti e di potere, e le ingenue maestre elementari, ricordano. Mentre tutt'intorno, l'uomo-massa e gli stessi pseudo-ecologisti furbacchioni vivono proprio come tutti e come sempre, usando la loro automobile e-o il SUV da cafoni anche quando non è utile (al massimo, i Fantozzi più ipocriti, issandovi sopra la costosissima bici al titanio), accendendo i loro tre telefonini, vestendo le magliette firmate che sono esattamente uguali a quelle anonime, mangiando da schifo, inquinando, sprecando acqua da bere per la toilette o per lavare l'auto, accendendo il lava-biancheria per tre camicie, (non) frequentando la Natura, (non) risparmiando energie, insomma vivendo malamente proprio come tutti gli altri. Da perfetti moderni stupidi à la page.
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* Sia chiaro, poiché sono note le mie simpatie per il jazz e, in subordine, per la musica classica, tengo a precisare per onestà che direi cose analoghe, anche se meno forti, se i concerti all'aperto fossero classici o jazzistici, e perfino se poco amplificati. Come infatti sono contrarissimo alle buffonate snob dei concerti di musica sinfonica o jazz sui prati e tra i boschi delle Alpi, che sembrano inventati da menti nevrotiche ossessionate dal cosiddetto "silence de la Nature", in realtà inesistente, gente che odia il fremito del vento, il cinguettare degli uccelli e il rumore delle fronde, cioè il bellissimo e complesso "suono della Natura".

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13 aprile 2009

 

“Rottamiamo le case senza qualità e non anti-sismiche”. Questo è il momento

Appello a Berlusconi
ROTTAMIAMO LE CASE SENZA QUALITA'
Il Riformista, 10 aprile 2009
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Caro Presidente, nella tragedia che oggi vive il nostro Paese, il terremoto dell'Aquila, c'è un dato nuovo: la consapevolezza che una tale catastrofe, le sue dimensioni così rilevanti e drammatiche, non è l'effetto di un evento naturale imprevedibile, ma soprattutto la conseguenza delle gravissime mancanze della politica urbanistica ed edilizia degli ultimi 60 anni. Perché, come in queste ore tutti sottolineano, se è vero che i terremoti non sono prevedibili, i loro effetti catastrofici possono essere invece, ce lo insegna il Giappone, fortemente contenuti.
Ora, proprio in queste settimane, Lei ha indicato la necessità di un rilancio dell'edilizia e ha affidato al Parlamento e alle Regioni la discussione sulle più opportune revisioni della legge urbanistica. Noi concordiamo con Lei sull'importanza per l'economia del settore dell'edilizia e delle costruzioni: esso è tanto più importante in una congiuntura difficile come quella che stiamo vivendo.
Poiché però il patrimonio edilizio italiano è, per diverse ragioni, fragilissimo, occorrerebbe una spinta duplice per dargli valore. Da un lato un rafforzamento della tutela e della conservazione dei centri storici che sono beni unici e irriproducibile (non diversamente dalle aree agricole); dall'altro, un radicale e incisivo intervento di rottamazione dell'edilizia post-bellica, priva di qualità e spesso non antisismica.
Da qui deve partire una innovativa e positiva politica urbanistica. Oltre all'aumento delle cubature, una proposta intrinsecamente allettante ma insidiosa, occorre un piano armonioso di ridefinizione urbanistica del territorio per il quale è necessaria e invocata da tempo quella rottamazione dell'edilizia moderna senza qualità, inabile alla resistenza ai terremoti e inadeguata all'efficienza energetica prevista e, anzi, obbligatoria per ogni nuovo edificio in tutta Europa. Se lo Stato e le Regioni decidessero davvero di realizzare, e quindi di condividere, un simile piano strategico, questo sarebbe la "grande opera" epocale e necessaria alla nostra civiltà.
Per realizzarla si possono affiancare, al risparmio dei privati, agevolazioni fiscali e risorse pubbliche. In questo modo si coglierebbe un'occasione storica che non può non esserLe di immediata evidenza: ristabilire la sicurezza delle nostre case, risarcire almeno una parte della bellezza perduta in questi decenni, e riparare le più gravi offese e violenze patite dal paesaggio - in palese violazione della Costituzione - dal patrimonio storico e artistico, nei centri storici piccoli e grandi e in prossimità delle aree archeologiche più importanti.
Se proviamo a immaginare cosa significherebbe tutto questo, un grandioso investimento in ciò che il nostro Paese ha di più notevole, le città, i paesaggi, la loro indifesa bellezza, possiamo facilmente prevedere i benefici economici e sociali e le opportunità non solo culturali per i molteplici soggetti coinvolti ma per l'immagine e la credibilità dell'Italia.
La ricostruzione di edifici più belli, più sicuri e con più convenienti materiali, anche di più ampia e vantaggiosa cubatura, come da Lei proposto, potrebbe essere conseguita senza danni realizzando ciò che il grande architetto Andrea Palladio voleva per le fabbriche del suo tempo, che fossero "comode e belle". Con questo auspicio e per poterLe esporre personalmente queste nostre idee, Le chiediamo, con comune apprensione per il destino dell'Italia, a noi come a Lei caro, un incontro.
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Emma Bonino, Vice Presidente del Senato,

Aldo Loris Rossi, Architetto e autore del "Manifesto di Torino",
Carlo Ripa di Meana, Presidente Comitato Nazionale del Paesaggio,
Elisabetta Zamparutti, deputata radicale Commissione Ambiente,
Vittorio Sgarbi, Sindaco di Salemi
Antonella Casu e Bruno Mellano, Segretaria e Presidente di Radicali Italiani

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07 aprile 2009

 

Terremoto dell’Aquila. Chi ha distrutto vite e identità dei luoghi deve pagare

«Dopotutto non è la Natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani» (Jean-Jacques Rousseau dopo il terremoto di Lisbona del 1755).
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E’ facile fare i razionali quando non si è coinvolti. Però, analizziamo a mente fredda la tragedia del terremoto dell’Aquila. Per un cinico paradosso della statistica, il punto più grave per la collettività non è il numero di vittime: oltre 250.
Non possiamo dimenticare, infatti, che più di 5000 morti e più di 300 mila feriti all’anno li fanno in Italia i soli incidenti stradali. Una media di 14 morti e 800 feriti al giorno.
Eppure – chissà com’è – queste morti a quattro o due ruote vengono viste come piccole tragedie individuali, legate quasi alla fatalità, allo stesso "rischio" insito nel mezzo meccanico.
In un terremoto, invece, l’ambientazione drammatica, il fattore sorpresa, la contemporaneità delle morti, la stessa perdita della casa – che per valore psicologico, economico e storico-famigliare non può certo equivalere ad un’automobile – amplificano la tragedia, rendendola collettiva e quindi "incommensurabile".
Invece, andrebbe commensurata. Se davvero gli Italiani tengono alla vita propria, dei propri cari, degli amici e dei vicini, come rivelano queste ricorrenti tragedia, come mai poi costruiscono case abusive, oppure si affidano a ingegneri-architetti progettisti o addirittura a geometri che non rispettano le leggi antisismiche, oppure non costruiscono a regola d’arte?
Come mai la gente d’Abruzzo (assai più dignitosa e decente nella catastrofe di quella del Sud), che come gente di montagna dovrebbe essere abituata alla schiettezza e alla tenacia, non controlla i propri tecnici, i propri amministratori locali, affinché vigilino severamente sulle concessioni, sulle ditte, sui lavori edili?
Eppure, non c’è da obiettare: se la torta non riesce ce la prendiamo col cuoco, se un articolo contiene errori critichiamo il cronista, perfino se un albero cade e fa danni passa i suoi guai il proprietario. Come mai, allora, solo ingegneri, architetti e geometri la passano liscia quando il loro manufatto crolla con un sisma che avrebbe dovuto superare?
Non è giusto. Anche perché, al di là delle morti, il danno sociale e antropologico della cancellazione di interi quartieri o paesi, è l’annullamento del tessuto sociale, del patrimonio comune. Insomma, la fine di una identità. Perché quei luoghi carichi di ricordi sono andati perduti per sempre.
Eppure si sapeva già da mesi dell'alto rischio di un nuovo sisma distruttivo. Perché la Protezione Civile non ha ordinato di rafforzare e mettere in sicurezza almeno gli edifici pubblici?
Anche questo terremoto, perciò, con 5,8 gradi Richter (e dunque di forza moderata), non è una fatalità, il frutto della forza del Destino, ma è colpa solo degli uomini, dell'ottusità, della furbizia o trasandatezza di certi uomini. Se pensiamo che i napoletani costruiscono inutili seconde case sul Vesuvio, i calabresi (e molti altri) sulle fiumare o torrenti disseccati, gli abruzzesi cementificano il letto dei ruscelli, e tutti edificano ovunque, perfino nei Parchi, in mancanza di controlli e repressione severa, vediamo che è proprio la bulimia del costruire e cementificare il primo male ambientale in Italia.
Perfino un profano si rende conto che se piloni ancora nuovi di cemento armato crollano (quasi intatti) è perché non sono stati collegati saldamente tra loro.
Dunque, responsabilità penali gravissime per progettisti o direttori dei lavori che hanno mal eseguito i progetti. Tertium non datur.
Anzi, sì: c’è la gravissima responsabilità dei controllori a tutti i livelli, che dovevano vigilare e non lo hanno fatto, tutti presi dalla droga della politica o dal superlavoro avido e stressante. O lo hanno fatto all’acqua di rose: all’italiana. Forse con inghippi e mazzette, forse per risparmi all’osso, forse per imperizia tecnica.
Ha fatto bene, quindi, la procura della Repubblica dell’Aquila ad aprire un’inchiesta, per ora contro ignoti. Ignoti di cui tutti gli abitanti dei luoghi sanno benissimo nome e cognome.

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04 aprile 2009

 

Il bello della crisi. La necessità educa ad essere consumatori, cioè cittadini liberi

La crisi attuale non sta dando un colpo mortale – come dicono certi ecologisti – al sistema di produzione e distribuzione di energia o addirittura al capitalismo, che è solo uno strumento neutrale che va regolato, controllato e usato bene, e che funziona male se qualcuno – magari grazie alla politica – non rispetta regole e controlli.
No, la crisi sta ridicolizzando due categorie di persone. I tanti ottusi uomini-massa senza idee proprie e spirito critico, che si limitano a seguire la pubblicità e "quello che fanno tutti", e che perciò non sanno usare né il mercato, né l’energia, né i prodotti di consumo della vita quotidiana. E i pochi intellettuali anarco-capitalisti (di recente nascosti sotto lo strano eufemismo di "libertari"), in realtà teorici conservatori, che ritengono il mercato e il benessere economico mero scambio o semplice accumulazione di beni, sia pure inutili o ridondanti. Insomma, la quantità e non la qualità. Altro che eliminazione degli sprechi, pare che dicano, "il boom è fondato proprio sui cosiddetti sprechi". Tutto serve per far girare le ruote della macchina. E poi, chi decide che cos’è "spreco"? Un nuovo socialismo? No, grazie, non vogliamo una nuova Unione Sovietica. L’individuo [si noti, non parlano mai di cittadino, NdR] deve poter usare, abusare e sprecare quanto e come vuole. Il mercato si regola da sè.
Due posizioni complementari tra loro: la massa incolta e i teorici che ne razionalizzano e giustificano il comportamento. Ma sbagliano entrambi, come mostra anche questa crisi.
Del resto, chi educa al mercato e al consumo razionale? Nessuno e nessuna struttura, tantomeno la scuola, men che meno i partiti. Perché lo studente, la casalinga, l’impiegato, il professionista e il pensionato dovrebbero saper consumare in modo intelligente, ovvero "saper vivere" bene?
Noi naturisti abbiamo anticipato di quasi un secolo gli ecologisti, e siamo attrezzati psicologicamente e culturalmente per applicare ad ogni momento della vita quotidiana il risparmio dei beni e dell’energia, senza intaccare la qualità della vita. Ma gli altri? Credono che la vita piena di azioni ridondanti, ripetizioni ed eccessi sia il meglio possibile.
L’esempio sono quelle ragazze che arrivano a farsi 2-3 docce al giorno, senza la minima necessità, magari solo perché ritenute rilassanti. Quando in quasi tutte le situazioni di vita sedentaria ne basterebbe una sola, o anche 2 o 3 a settimana. Le madri non dicono nulla, le insegnanti tanto meno. Solo i dermatologi intervengono: lavarsi troppo fa male, perché distruggendo il naturale mantello lipidico, funghi, batteri e agenti esterni attaccano più facilmente la pelle e il corpo. E poi il colpo di grazia lo danno saponi, shampoo, creme, deodoranti.
L’uomo-massa oggi crede che l’economia mondiale fondata sullo spreco e sul consumismo sia un bene, perché girano più soldi. Ma non è così. Le cifre "drogate" dei consumi non corrispondono più da molti decenni al reale aumento della comodità e felicità dei cittadini, ultimo vero scopo della società liberale (cfr. Costituzione degli Stati Uniti). I costi dello spreco che gonfia artificiosamente le classifiche artificialmente sono altissimi.
Gli stessi banali oggetti che si acquistano al supermercato, non per caso ormai chiamate "confezioni", sono il simbolo del mercato drogato di oggi: più imballaggio esterno che contenuto, più pubblicità generica che indicazioni d’uso concrete, più slogan che etichetta degli ingredienti, grandi somme spese per manifesti e Caroselli tv, e poca spesa per il prodotto vero e proprio, magari dei biscotti da pochi centesimi. Insomma, l’antica norma etica del primo capitalismo, la chiarezza, la trasparenza, l’onestà, sembra lontana. Oggi la regola è l’oscurità, l’inganno, la mistificazione, la menzogna sistematica, la limitazione al minimo dei difetti, l’amplificazione grottesca di presunti pregi. E i consumatori cominciano ad accorgersene, perfino nelle aree depresse come l’Italia in cui la coscienza dei consumatori, come dei cittadini in genere, è minima.
Evviva Schumpeter, che ideò la bellissima analogia tra il consumatore che acquistandolo "vota" un prodotto al supermercato come se si trattasse del partito politico Nutella, e il cittadino che nella cabina elettorale "acquista" un partito come se fosse il detersivo Olà. In entrambi i casi, è da sperare, dopo aver guardato attentamente l’etichetta-programma, difficile da trovare o scritta in caratteri molto piccoli. Finché non avremo dei consumatori consapevoli, pignoli, scientifici, agguerriti, non avremo mai dei cittadini esigenti, critici e altrettanto consapevoli. E questo per dei liberali ed ecologisti è un motivo serio di preoccupazione.
Ora, però, per paradosso, la grande crisi apre qualche spiraglio di ravvedimento. La necessità spingerà l’uomo-massa, specialmente quello televisivo italiano, ad un maggior senso critico?

Sull’argomento si veda il nostro originale Manifesto del Cittadino consumatore.

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