29 dicembre 2010

 

La crisi ci fa bene: per la prima volta diminuiscono le auto in Italia

Quello che non poté l’educazione e il buon senso lo sta facendo la crisi economica. Che, come previsto dal nostro vademecum del cittadino consumatore, dà anche frutti buoni. Un’indagine dimostra per la prima volta una bellissima inversione di tendenza. Il numero di automobili, questo feticcio da Terzo Mondo di ex contadini arricchiti che devono mostrare il raggiunto status symbol a parenti e amici, sta diminuendo, per fortuna, in tutta Italia. Perché, ex-contadini sì, ma dài e ridai, perfino i cittadini più nevrotici e incivili, e i provinciali più ottusi e testardi capiscono alla fine che non gli conviene più. Anzi, l’auto non conviene a nessuno.

Questo blog, perciò, canta vittoria: è anche una vittoria personale. Crediamo di essere, fin dalla prima età della ragione, i più duri avversari dell’automobile, specialmente in un Paese di centri storici e di sedentari come l'Italia.

Nemici dell'auto, confessiamo, non in quanto tale, ma solo in quanto mezzo di trasporto "reale", quotidiano, indiscriminato. Infatti ci piacciono le auto non-auto, cioè quelle antiche, storiche (come anche le locomotive, le carrozze a cavalli o le navi d'epoca), che in fondo sono dei modelli 1:1 di una ideale collezione da museo della tecnologia. E, anzi, se vivessimo in una società razionale e giusta, chi conserva a proprie spese (e mantiene perfettamente efficienti) questi mezzi dovrebbe essere benemerito della Cultura e dovrebbe ricevere sovvenzioni dalla Stato, perché offre un servizio alla collettività: conserva e rende visibile a tutti ciò che l'uomo ha fatto di geniale nei decenni passati.

Innanzitutto in opposizione polemica a quelle auto moderne tutta plastica e aggeggi e software fatti apposta per rompersi, tipici dell'attuale consumismo automobilistico. Lo stesso che vaticinava - vi ricordate? - una nuova macchina ogni due-tre anni...

Poi perché sono ormai "musei viaggianti", cioè cultura industriale e artigianale, la dimostrazione che nulla di buono e funzionante, che ha preteso soldi per essere prodotto, deve essere gettato via. E dunque per il tributo alla conservazione dell'energia, della tecnologia e della bellezza. Il che, visto lo scarso numero e la quantità minima delle ore di funzionamento reale sulle strade, rende statisticamente irrilevante il loro inquinamento complessivo.

Ma quella davvero stupida è la moda dell'auto da usare ogni giorno, a lungo e a tutte le ore, magari per un solo viaggiatore. Insomma, l'automobile vera, secondo le statistiche, quella che crea problemi all'ambiente e all'uomo, soprattutto per il modo patologico con cui viene usata da noi, per futili, maniacali e poco sani motivi, insomma "all’italiana".

Così, per la prima volta nelle statistiche diminuiscono i possessori di auto in Italia. E non perché ci sia un’epidemia tra gli automobilisti (anche se confessiamo di averla fortemente sperava per decenni), ma perché sono state rottamate più auto e la gente ha capito che senza auto sta meglio, cammina di più ed ha meno stress. Senza contare le spese.

Il tasso di motorizzazione – riporta l’articolista – finalmente, dopo anni di inarrestabile incremento, cala di oltre mezzo punto percentuale, attestandosi a 60,78 automobili ogni 100 abitanti. Resta comunque lontano dalla media europea di 46 veicoli ogni 100 abitanti. La città con più auto si conferma Latina con 72.3 auto ogni 100 abitanti, seguono L'Aquila (71.0) e Catania (70.3). Roma registra, invece, una diminuzione del tasso di motorizzazione che passa dal 70.6 al 69.2. Le città più virtuose sono Venezia (41.1), Genova (46.7), Bolzano (51.7) e Bologna (52.2). Napoli si conferma in testa alla classifica negativa delle auto più inquinanti (Euro 0) con più del 30% in circolazione, seguita da Catania. Aumentano le auto Euro IV ed Euro V nelle città italiane che costituiscono oggi il 39,4% del parco auto totale: Torino è la città con più veicoli Euro V (2,6%).

Evviva, ogni tanto una buona notizia.

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21 dicembre 2010

 

La canna comune migliore di quella da zucchero per produrre bio-carburante, secondo uno studio italiano.

La fermentazione di carboidrati in un processo analogo a quello dell’orzo, con cui si produce la birra, e l’utilizzo di piccole unità di produzione di bio-carburante al centro di grandi fattorie agricole coltivate a canneti, ecco il curioso panorama, che si direbbe uscito dalla fantasia di un giovane precursore ecologista degli anni ’70, che mette in pratica concetti semplici e processi sostenibili e perfino efficaci sul piano energetico ed economico. E il progetto è tutto italiano. Ne parla Paolo Virtuani in un articolo su Corriere.it:
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DALLA CANNA AL SERBATOIO: LE NUOVE FRONTIERE DEL BIOCARBURANTE.
      "La semplice canna comune, Arundo donax è il suo nome botanico, quella che cresce lungo i fossi o i margini delle strade, rappresenta il futuro dei biocarburanti, in particolare dell'etanolo che può essere addizionato alla benzina. In Brasile l’etanolo ricavato dalla canna da zucchero ormai è una realtà da oltre 30 anni, ma come fare per tradurre anche nei nostri climi questa possibilità che ci viene offerta dalla natura se la canna da zucchero in Italia non cresce? Impresa non facile, che ha richiesto 120 milioni di euro di investimenti e cinque anni di ricerche per arrivare a trovare la pianta più adatta e mettere a punto il processo di lavorazione ottimale.
      I soldi sono stati investiti dal gruppo M&G (Mossi e Ghisolfi), multinazionale con sede in Italia, leader mondiale nella produzione del Pet (la plastica delle bottiglie), 3 mila dipendenti e 3 miliardi di dollari di giro d’affari. Nel 2004 con l’acquisizione della Chemtex il gruppo italiano ha dato una svolta alla propria strategia, entrando nella chimica "verde" dei biocarburanti. E a Rivalta Scrivia, in provincia di Alessandria, utilizzando anche le possibilità offerte dal Parco scientifico tecnologico e dall’onlus EnergEtica, il distretto agro energetico del Nord Ovest, è sorto il laboratorio dove è nato il bioetanolo avanzato di seconda generazione, quello appunto derivato dalla canna comune.
      "Era necessario trovare una pianta che unisse cinque caratteristiche", spiega l’ingegnere Giuseppe Fano, direttore M&G del centro di ricerca di Rivalta Scrivia. "Non fosse alimentare - per uomini o animali - per motivi etici; avesse scarso bisogno di acqua e di concimi; fosse disponibile tutto l’anno; crescesse su terreni marginali poveri e non utilizzati dalle coltivazioni intensive; e fosse autoctona, ampiamente diffusa, disponibile e con un’alta resa. Dopo cinque anni di ricerche e sperimentazioni, l’abbiamo trovata", prosegue Fano. "È la canna comune, che ha tutte le caratteristiche necessarie e inoltre fornisce 40 tonnellate per ettaro di sostanza secca equivalente e, una volta lavorata, consente di ottenere 10 tonnellate per ettaro di bioetanolo, addirittura di più di quanto si ricava dalla canna da zucchero in Brasile".
      L'impegno è trovare prodotti alternativi al petrolio e diminuire la dipendenza dalle importazioni dall’estero che ogni anno costano al Paese miliardi di euro e, tramite i biocarburanti (che hanno un bilancio tra CO2 seqeustrata ed emessa quasi zero) diminuire le emissioni di gas serra. Ma qual è la sostenibilità economica del progetto? In parole povere: quanto costa un litro di bioetanolo? "Il bioetanolo è competitivo se il prezzo del petrolio non scende sotto i 60-70 dollari al barile". E in questi giorni le quotazioni sono intorno a 88 dollari, mentre un paio d’anni fa sono giunte anche a 140 dollari a barile.
      Lo scorso ottobre l’Ente di protezione ambientale statunitense (Epa) ha autorizzato nelle automobili costruite dopo il 2007 l’impiego dell’E15, carburante composto per il 15% da bioetanolo e per l’85% da benzina. Per i veicoli costruiti tra il 2001 e il 2006, è prevista un’altra autorizzazione entro il 2011. Sempre gli Usa hanno stabilito che nel 2022 il 58% dei 136 miliardi di litri di biocarburanti che verranno prodotti nel Paese non potranno derivare da coltivazioni alimentari come il mais. Due gli obiettivi: diminuire la dipendenza dalle importazioni dall’estero ed evitare, come avvenuto negli anni 2006-2008, l’aumento eccessivo dei prezzi di prodotti essenziali all’alimentazione umana e animale, come grano, mais e soia. Attualmente negli Usa vengono prodotti 41,6 miliardi di litri di biocarburanti.
      "Per essere conveniente, l’etanolo prodotto dalla canna deve però soddisfare altre condizioni: per esempio la cosiddetta filiera corta", spiega ancora l’ingegner Fano. "Stiamo realizzando un impianto pilota a Crescentino, in provincia di Vercelli, da 40 mila tonnellate di bioetanolo che entrerà in funzione nel 2012. Per alimentarlo sono necessarie canne raccolte un’area di 4 mila ettari, che però non devono provenire da una distanza superiore a 30-35 chilometri. Altrimenti le spese di trasporto e il consumo di carburanti diventano eccessivi e il gioco non vale più la candela". Secondo Fano, inoltre, l’impianto ideale dovrebbe avere una taglia di 150-200 tonnellate di bioetanolo, quindi occorrono 15-20 mila ettari coltivati a canna – che si raccoglie tutto l’anno - a una distanza non superiore di 70 km dall’impianto.
      Per arrivare a centrare il traguardo che l’Unione europea (e l’Italia) si è data con l’obiettivo 20-20-20, cioè entro il 2020 diminuire del 20% le emissioni di CO2, aumentare del 20% l’efficienza energetica e produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili, nel nostro Paese sarà necessario produrre 1,5 milioni di tonnellate di bioetanolo. Quindi, come conferma Fano, bisognerà "coltivare" 150 mila ettari ad Arundo donax e costruire 8-10 impianti per la produzione.
      Da quando le canne entrano nell’impianto a quando viene prodotto il bioetanolo passano cinque giorni, anche se recenti studi americani basati sul batterio Zymomonas mobilis nella fermentazione dello xilosio, indicano che il ciclo può essere abbassato a un giorno e mezzo. Il trattamento è semplice e senza additivi chimici, che consumano energia. Dopo lo sminuzzamento, la massa vegetale viene "cotta" e fatta fermentare, più o meno come la birra. Se ne ricava un liquido con un certo contenuto di etanolo che, attraverso altri passaggi arriva a un contenuto di alcol etilico fino al 99%. Come sottoprodotto rimane la lignina, che ha un potere calorifico superiore al legno e viene bruciata per alimentare il processo industriale. Ciò che resta sono acque reflue contenenti carbonio dalle quali si può ricavare ancora metano e biogas e chiudere il ciclo industriale "bio" fino in fondo".

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