06 maggio 2007
Provocazioni. “Galapagos a rischio? Colpa dello Stato: vendiamole ai privati”
Considerazioni amare che ci sono venute in mente leggendo una nota dell'Istituto Bruno Leoni. "E che c'entra - direte voi - un think tank economico con l'ecologia e la protezione della Natura?" Niente, ma all'IBL si sono messi in testa di occuparsene ed hanno un settore dedicato. Tant'è, e mettiamoci l'animo in pace. I nostri amici dell'IBL, che noi difenderemo sempre perché liberali, purché lascino in pace Natura ed ecologia, dimenticano che il liberalismo non è solo libero mercato e diritto di proprietà, ma tanti altri diritti di libertà, uno dei quali è il libero godimento della Natura selvaggia. E lo stesso mercato libero, tranne casi rarissimi, non si può adattare alla Wilderness, agli ambienti naturali, agli animali e alle piante selvatiche.
Però ora leggiamo nell'opinione dell'economista Papafava ("Salvare le Galapagos. Una modesta proposta"), a cui la seguente nota dell'IBL si riferisce, qualche intuizione interessante, forse qualcosa in più d'una semplice provocazione, su cui si può se non altro discutere: perché non affidare i punti o i problemi a rischio a enti ecologici privati, certo più interessati di anonimi impiegati pubblici? Perché, rispondiamo noi, nessun privato vi avrebbe alcun interesse, essendo quelli naturali i tipici "beni che non danno reddito". E se qualche Ente davvero acquistasse quelle coste o quei tratti di mare, poi cercherebbe di rivalersi con lo Stato, con gli Stati, o con l'opinione pubblica internazionale. Ristabilendo quel sistema di provvidenze, incentivi a fondo perduto e favori extra-mercato che io, Papafava e l'IBL vogliamo cancellare.
E allora? Non è un problema di facile soluzione. Forse, al contrario, la Natura selvaggia è proprio uno dei pochissimi campi, se non l'unico, che anche dei liberali e liberisti come siamo noi dovrebbero riservare allo Stato.
Ma Papafava è uno studioso. E resta, dunque, anche il problema teorico che l'eventuale acquisto a titolo privato delle aree a rischio da parte di enti ecologici, che nulla potrebbero fare se non interdire le zone al pubblico o limitarne drasticamente le visite, sarebbe un vuoto "diritto di proprietà", simile a quello d'un platonico proprietario-mecenate, ma non avrebbe nulla a che fare con una vera proprietà e con un vero mercato.
Ci sono già esempi del genere (p.es., il WWF, anche in Italia), ma si tratta di piccole aree, vicine a zone antropizzate, dove non è difficile organizzare visite guidate. Nelle Galapagos, invece, siamo in piena natura selvaggia, dove ogni intromissione umana è esiziale. Nessun confronto è possibile. E perciò, chi mai se le comprerà?
Siamo grati a Papafava dell'interesse al tema, di voler dare un contributo di idee per difendere l'equilibrio tra le specie, il mare e la Wilderness nell'arcipelago equatoriale. Ma nelle sue stesse parole vediamo la conferma di quello che andiamo sostenendo in questo sito-blog: purtroppo per Papafava e per fortuna per noi, Natura e Paesaggio sono beni assolutamente fuori mercato. Ma ecco la nota dell'IBL. (Nico Valerio)
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"Il recente allarme dell'Unesco sul rischio che il turismo di massa distrugga i delicati equilibri ecologici delle isole Galapagos pone la questione di come tutelare i paradisi naturali. Per l'Istituto Bruno Leoni, il mercato e le privatizzazioni possono fornire gli strumenti necessari. Il Focus "Salvare le Galapagos. Una modesta proposta", di Novello Papafava, mostra come alla radice del problema non stia l'eccessivo sfruttamento capitalistico, ma l'assenza di diritti di proprietà chiaramente definiti.
Papafava mostra come la gestione pubblica sia necessariamente inefficace, in quanto "i burocrati incaricati non hanno il minimo interesse economico personale né le conoscenze necessarie ad amministrare sapientemente i beni che amministrano". Al contrario, la vendita delle aree più pregiate potrebbe consentire ad associazioni ambientaliste di acquisire il controllo su quelle zone e "gestire tale patrimonio contemperando gli introiti molto consistenti del turismo ecologico e scientifico con l'impatto subito dalla fauna e dalla flora locale. Oppure, attraverso il loro esercito di avvocati, potrebbero ottenere ingenti risarcimenti dalle compagnie petrolifere che provocano danni alle isole e ottenendo un allontanamento delle rotte delle navi".
Per Carlo Stagnaro, direttore Ecologia di mercato dell'IBL, "il Focus di Papafava esegue una chiara diagnosi del problema e suggerisce l'unica terapia in grado di creare gli incentivi corretti alla conservazione. La sfida è soprattutto per gli ecologisti: avranno il coraggio di sostenere quelle riforme indispensabili a proteggere, davvero, l'ecosistema?"
Così il comunicato dell'IBL.
Certo, dei buoni avvocati di parte privata sarebbero meglio in grado di farsi pagare i danni dalle compagnie petrolifere che inquinano le coste col greggio. Ma questa "fonte di reddito" durerebbe ben poco. E poi? Davvero crede Stagnaro che qiesta lunghissima e aleatoria (anche le compagnie hanno ottimi avvocati) "via giudiziaria all'ecologia di mercato" possa allettare un grande Ente ambientalista e indurlo ad acquistare le aree a rischio delle Galapagos?
In sintesi, ritengo che per un privato garantire il diritto di libertà dei cittadini a godere del bene Natura senza distruggerla sia troppo oneroso, e perciò gestire le aree naturali in modo ecologicamente corretto sia poco appetibile. Poi in Italia, figuriamoci, siamo tutti geometri: si metterebbero subito a costruire case, casette, foresterie, villette, direzioni centrali, uffici, strade... Questo già lo fanno i Comuni, figuriamoci...
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