13 aprile 2016

 

Referendum anti-trivelle: solo col “Sì” niente più scandalosi regali ai petrolieri, e coste più protette.

L’OGGETTO VERO DEL REFERENDUM. Gli Italiani si apprestano a votare il 17 aprile un referendum popolare nazionale indetto per la prima volta in Italia dagli Enti locali (nove Regioni costiere), già falcidiato dalla Cassazione, e di cui sono rimasti in vita solo due quesiti. Questi non sono "Petrolio Sì o No", né "Nuove trivelle Sì o No". Ma il Sì del Referendum è contro l’esenzione dal limite delle 12 miglia per le già esistenti piattaforme marine ("offshore") che fanno estrazioni di idrocarburi (oggi ben 48 concessioni su 69, dice l’ENI, sono all’interno delle 12 miglia, cioè sotto costa, quindi con potenziali rischi all'ambiente e al paesaggio); e contro la proroga delle attuali concessioni senza alcuna data limite, fino all’esaurimento dei giacimenti sottomarini, a insindacabile giudizio dei concessionari stessi. Il che vorrebbe dire, visto che ora stanno estraendo poco (estrarre non conviene quando il prezzo degli idrocarburi è basso), far durare le concessioni, oltretutto quasi gratuite, con le relative deturpanti piattaforme in mare, ancora per chissà quanti anni, forse decenni, continuando nel frattempo a invadere gli specchi d’acqua e il panorama marino, a offendere il Paesaggio, a inquinare il mare. Per evitare tutto questo, cioè che le attuali concessioni possano operare anche entro le 12 miglia e possano essere rinnovate all'infinito a discrezione delle ditte, c’è un solo modo: votare “Sì”.

MOTIVI OSCURI, TESTI POCO CHIARI, INFORMAZIONE SCARSA. In realtà dell’intera questione gli Italiani sanno poco o nulla, oppure hanno un’idea confusa, distorta, falsificata o parziale. Come mai? C’è la tradizionale ostilità dei politici italiani all’istituto del referendum, comprensibile in uno Stato liberale fondato sul Parlamentarismo e la democrazia rappresentativa. E questo è giusto e sano. Invece non è giusto ricorrere al mezzuccio – caro ai Borbone o al Papa Re – di mantenere nell’ignoranza i cittadini per condizionarli (p.es. con un’informazione carente o distorta in televisione): è cosa per niente liberale. Fatto sta che questo è di per sé un referendum equivoco, poco chiaro non solo nelle complicate clausole concessorie e industriali, ma perfino nei suoi aspetti ecologici; insomma poco incisivo.
      Un referendum equivoco in sé, perché il testo della legge da abrogare è stato scritto malissimo, e – diciamolo – non per garantire le numerose libertà dei cittadini in materia (ambiente pulito, salute, concorrenza economica ecc.), ma solo per fare favori ai petrolieri, anzi ai “petro-gasieri” (perché, in cambio di che cosa?), tanto da non rendere evidenti ma discutibili le conseguenze stesse dell’abrogazione di alcune parole (oggetto, appunto, del referendum). Dopodiché, la confusione in materia tra tesi contrapposte, parziali o mistificatorie di propagandisti, lobbisti, giornalisti, economisti, tecnici e cittadini profani è il logico corollario della scarsa chiarezza normativa, ecologica ed economica sulla questione. Perciò, non c’è da meravigliarsi se i quesiti del referendum sono stati propagandati in modo settario e fazioso da tutti: fautori del Sì, del No e dell’astensione.

IL “NO” NASCOSTO NELL’ASTENSIONE. Quest’ultima, poi, è un’altra forma di No, giuridicamente del tutto legittima in quanto implicitamente prevista dai nostri grandi Padri Costituenti, ma – diciamolo – la più scorretta dal punto di vista dell’etica civica (come ha voluto dire il presidente della Corte Costituzionale, Parolo Grossi), anche perché - aggiungiamo noi - i fautori del No che opportunisticamente non si recano a votare traggono un vantaggio indebito dalla regola del quorum (il richiesto limite minimo di votanti: metà degli elettori più uno) e nel computo finale s’ingrandiscono oltre i propri meriti, confondendo il loro voto col più vasto numero di cittadini passivi, pigri, stanchi o nemici della Politica, che non vanno mai a votare (e in Italia sono almeno il 40% degli elettori), trovandosi così paradossalmente ad aver manifestato comunque un “voto”, anzi a essere determinanti senza aver fatto nulla. Sarà lecito, ma non è giusto politicamente né civicamente. Per questi motivi il quorum, a nostro parere, deve essere abolito, specialmente oggi quando sempre meno cittadini si recano a votare, accampando i più diversi motivi, l’ultimo dei quali è l’opposizione al quesito referendario. Di questo passo, visto che ormai pochi si recano a votare – qualunque sia l’elezione – nessun referendum potrà mai più esser valido. Dovrebbe bastare, come in Svizzera o negli Stati Uniti che il Sì riporti anche un solo voto in più del No, o viceversa.

REGIONI CONTRO STATO. Per di più il referendum è stato indetto con la scusa dell’ecologia, ma in realtà soprattutto per motivi politici e amministrativi. Va letto come un tentativo di rivincita anti-storica, una rivolta delle Regioni – sbagliata, sbagliatissima – contro lo Stato, per riavere competenze esclusive, come l’ambiente, che gli vengono sottratte, e conquistare magari competenze su energia e altro ancora. L’unico vantaggio del No, anzi, sarebbe proprio questo: una sacrosanta e ben meritata batosta per le Regioni richiedenti, che hanno rialzato la cresta contro lo Stato e vorrebbero riavere tutti i loro vecchi privilegi con cui hanno male amministrato e dilapidato ricchezza, e che insieme con tante altre locali “incompetenze” esclusive hanno causato all’Italia molti danni economici, tanto clientelismo mafioso e tanta corruzione. Infatti, proprio per dare una lezione alle Regioni, solo per questo, c’è chi ha deciso di votare No: scelta rispettabile, se il problema fosse solo questo. Ma non possiamo fare come il marito sciocco che per punire la moglie decide di evirarsi. Lo specifico energetico-ambientale, anche se in questo referendum non sembra prevalente rispetto ai favori sfacciati ai “petrolieri”, ha pur sempre la sua importanza per noi ecologisti, e deve giustamente prevalere nella valutazione prima del voto, indipendentemente da chi lo ha proposto.

SBAGLIATO NON VOTARE. Allora non dovremmo andare a votare? E no, perché così otterremmo l’effetto paradosso di far vincere abusivamente delle due tesi, quella peggiore: il No. Perché sarebbe la scelta peggiore? Perché vanificherebbe i vantaggi notevoli apportati da una vittoria del Sì.

I RISULTATI DELLA VITTORIA DEL SI’. 
      1. Concorrenza. Con il Sì, almeno, saremo soddisfatti di vedere imposto a tutti, non solo alle nuove concessioni, ma anche a quelle già operanti, il limite delle 12 miglia marine per le piattaforme. Oggi, invece, la legge prevede un’eccezione al divieto a favore delle vecchie concessioni, operando una discriminazione amministrativa contro i nuovi concessionari a favore dei vecchi: una diseguaglianza nella concorrenza che riteniamo non solo illiberale, ma forse anche illegale.
      2. Ambiente. Non vuol dire che le estrazioni entro le 12 miglia cesseranno subito, ma entro un arco di alcuni anni, e perfino potranno esserci nuove proroghe, ma precedute da nuove valutazioni di impatto ambientale (come fa notare in un articolo, con altri particolari interessanti, l'ex giudice Gianfranco Amendola). Quel che è certo, è che l’allontanamento, permetterà di ridurre i rischi di inquinamento e paesaggistici, di controllare meglio e prevenire eventuali danni ambientali causati dagli apparati di estrazione, che se più vicini alle coste, intensamente abitate e interessate anche al turismo e alla pesca, potrebbero avere conseguenze più nefaste.
      3. Libertà della politica tariffaria e maggiori introiti per lo Stato. La collettività, e per essa lo Stato, avrebbe il vantaggio sicuro di riappropriarsi della libertà contrattuale, cioè di non privarsi in futuro dell’arma della gestione intelligente dei rinnovi di concessione dell'estrazioni di idrocarburi – quando sarà il momento opportuno – in cambio di congrue royalties, a seconda dei prezzi di mercato.
      4. Cessazione del rinnovo automatico sine die. Darebbe lo stimolo alle società concessionarie spingendole a estrarre tutto il petrolio o gas possibile fino alla scadenza della concessione. Ma aumentando le estrazioni oltre la soglia massima della franchigia esente da royalties, dovrebbero finalmente pagare le royalties che oggi non pagano allo Stato (v. oltre).
      Nessun altro scopo o conseguenza è previsto. Il Sì al Referendum non vuol dire eliminazione di piattaforme, né licenziamento di operai e tecnici. Vuol dire solo ridurre in modo notevole i danni ambientali ed economici per lo Stato. Neanche un danno per l'energia del Paese si verifica. Infatti lo Stato italiano - a differenza di altri Stati - con la concessione cede la proprietà del petrolio o gas estratto ai concessionari privati - spesso società straniere - che ne possono fare quello che vogliono, e spesso lo esportano. Quindi, non è vero che tutto il gas e il petrolio estratto resta in Italia. Altre conseguenze e altri aspetti del problema sono descritti in modo molto chiaro in un articolo di Quale Energia

SCANDALOSI AIUTI DI STATO AI PETROLIERI: TARIFFE BASSISSIME O NULLE. Questo è lo scandalo maggiore dell’intera faccenda. Le royalties, calcolate in percentuali del valore di mercato del prodotto estratto, sono quote che le ditte concessionarie pagano in cambio del diritto di sfruttamento al concedente, il proprietario del suolo o dell’area marina (lo Stato, cioè idealmente tutti noi cittadini pro quota). Ma a parte che chi tiene il conto degli idrocarburi realmente estratti ogni anno, in tonnellate o metri cubici, sono le stesse aziende concessionarie, e quindi il concedente Stato deve fidarsi, queste royalties che all’estero non sono quasi mai inferiori al 30%, in Italia sono bassissime, un vero regalo ai petrolieri: 7% per l’estrazione di gas e petrolio a terra, 4% per l’estrazione di petrolio in mare. A queste royalties ridicole per fortuna si aggiunge un 3% per il fondo per la riduzione del prezzo dei prodotti petroliferi, se la risorsa è estratta sulla terraferma, o per la sicurezza e l’ambiente se estratti in mare (come si legge sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico). Da tutte le royalties pagate dalle aziende che operano in Italia, lo Stato ricavo la miseria di 300 milioni circa all'anno.

Restrizioni ambientali molto più severe impongono gli altri Paesi d'Europa, come riferisce un articolo del Fatto. La Norvegia p.es., pur avendo il clima che ha, coste rocciose e quasi disabitate, impone alle piattaforme una distanza di almeno 50 chilometri dalla costa, altro che meno di 12 miglia come fa l'Italia che pure ha coste abitatissime e piene di bagnanti! Mediamente più alte le royalties negli altri Paesi rispetto all'Italia. La tassazione totale in Norvegia arriva in media al 78%, secondo uno studio di Nomisma-Energia, utile per chi vuole approfondire tutta la materia (ci sono molte tabelle). E' consultabile in originale qui.
      Intanto, data la gravità del prolungato danno erariale, il leader dei Verdi, Angelo Bonelli ha inviato un esposto alla Corte dei Conti in cui calcola in circa 800 milioni di euro il regalo che il Governo fa ai petrolieri. Del resto, il rifiuto immotivato (anzi, falsamente motivato con un divieto di legge) di Renzi di accorpare il Referendum alle Elezioni amministrative (election day) è costato ai cittadini italiani circa 300 milioni di euro.
      Ma, ripetiamo, più grave ancora delle spese ottuse per impedire l'election day e limitare l'afflusso alle urne dei cittadini, è il regalo enorme che il Governo, impegnando lo Stato italiano, fa ogni anno, ai già ricchissimi petrolieri, che già godono di sovrapprofitti fuori mercato dovuti ad accordi di cartello già in passato sotto la lente del Garante per la Concorrenza, alla lentezza estrema con cui adeguano il prezzo al pubblico della benzina rispetto ai costi decrescenti del petrolio greggio (e all’improvvisa rapidità quando avviene i costi salgono), in un ben noto meccanismo perverso e vischioso che è sempre a favore del produttore e mai del cittadino acquirente. Altro insulto all’uguaglianza liberale, cioè dialettica, delle posizioni di domanda (cittadini acquirenti) e offerta (cittadini produttori-venditori) di cui scriveva spesso il grande Einaudi.
      Ma non è finita: il grave deve ancora venire. Infatti, queste percentuali di royalties già così scandalosamente basse, sono irragionevolmente azzerate da una soglia minima o franchigia, come riporta il sito del Ministero. Le società concessionarie, infatti, evidentemente viste dai politicanti che fanno le leggi e dai funzionari dello Stato poco meno che come “eroi” o “santi francescani”, i soli a lavorare in Italia, anzi gli unici che si sacrificano per il Bene di tutti e si addossano inenarrabili sacrifici al posto di una viziata e fannullona collettività, e che quindi occorre premiare, non pagano nulla allo Stato italiano fino alla bellezza di 50.000 tonnellate di petrolio estratto o 80 milioni di metri cubici di gas naturale in mare ogni anno (20.000 ton o 25 milioni di mc a terra). In totale lo Stato regala ogni anno alle aziende oltre 3 milioni di tonnellate di petrolio (e regali analoghi per il gas).
      E poiché l’interesse dei titolari delle concessioni è quello di pagare meno royalty possibile, la proroga della durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti graziosamente concessa dal Governo ai poveri “petro-gasieri” equivale a dire loro: «estraete meno che potete e non versate nemmeno un euro di royalty, tanto avete tutto il tempo che volete per sfruttare il giacimento», come giustamente fa notare il sito economico Cetri-tires.
      Capito il regalo? Ecco il motivo del grande interesse dei “petro-gasieri” e del Governo “amico” al rinnovo senza limiti di tempo, ad libitum, delle concessioni, per di più quasi gratuito. Ora la domanda vera che deve porsi il cittadino, tanto più se liberale e-o ecologista, è: come mai questa liberalità inusuale all’estero nei Paesi avanzati? Che cosa c’è dietro? E in cambio di che cosa?

RISCHIO PROCEDURA D’INFRAZIONE DA PARTE DELL’EUROPA. L'evidente "aiuto di Stato" ad alcune imprese, cosa vietatissima in qualunque Stato liberale, dovrebbe riempire di sdegno i tanti sedicenti liberali presenti nei diversi partiti. Che invece tacciono, dimostrandosi così, ancora una volta, solo dei conservatori legati ai monopolisti e agli aiuti di Stato al di fuori della concorrenza. «Le concessioni a vita, cioè fino a esaurimento dei giacimenti, per l'estrazione di idrocarburi previste dalla norma che domenica sarà oggetto del referendum, non risultano in linea con le norme comunitarie sulla concorrenza», hanno dichiarato in un comunicato Riccardo Magi e Valerio Federico, rispettivamente segretario e tesoriere dei Radicali Italiani. «Se dunque la legge non verrà abrogata dall'esito referendario l'Italia rischierà una procedura d'infrazione. Per questo, dopo aver sollevato pubblicamente il tema, abbiamo preparato una denuncia alla Commissione europea mettendo in evidenza gli aspetti della legge in conflitto con gli obblighi derivanti dalla direttiva 94/22/CE, la quale impedisce a uno Stato membro di adottare una normativa interna che preveda l'affidamento di concessioni e autorizzazioni senza l'esplicita indicazione di un termine di durata della autorizzazione, pur lasciando aperta la possibilità della proroga della stessa autorizzazione nel caso sussistano i presupposti». 

SE VINCONO I NO? Questa inquietante zona d’ombra, questa distorsione del mercato e della concorrenza, quest’uso spregiudicalo e di favore della politica delle tariffe agli “amici” e agli “amici degli amici”, queste anomalie gravi che danneggiano sia la libertà d’intrapresa, sia l’economia stessa e l’ambiente, resteranno tali, anzi faranno più danni di prima, se vincono i No e l’astensionismo col rinnovo automatico delle concessioni fino alle calende greche.

MISTIFICAZIONI E BUGIE. Per il resto ci sono molte idee sbagliate e mistificazioni. Non è un referendum che in caso di vittoria del Sì “metterebbe in ginocchio” la produzione e quindi i consumi energetici in Italia. Perché il referendum interesserà in modo diretto solo 17 concessioni da cui si estrae appena il 2,1 % dei consumi nazionali di gas e lo 0,8 % dei consumi nazionali di petrolio gas (Cetri-Tires cit.). Quindi, ammesso anche, e non concesso, che dovessero venire a mancare da un giorno all’altro, come sostengono i signori del No per propaganda (ma non è così), non succederebbe nulla di grave e il leggero calo di estrazioni sarebbe perfettamente compatibile con i normali alti e bassi dei consumi energetici, magari favorendo un minimo di risparmio energetico e di comportamenti virtuosi (Cetri-Tires)
      Poi questo referendum non è un “referendum sul petrolio”, come pure ci piacerebbe (e come vanno dicendo per illudere i cittadini ignoranti alcuni propagandisti del Sì). L’ENI, ente italiano interessato alle estrazioni, ha diffuso dati secondo cui la produzione marina (il totale estratto offshore) sarebbe per il 93% di gas naturale liquido e solo per il 7% di petrolio. Ma allora, se questi dati sono veri, perché i fautori del No fanno balenare in caso di vittoria del Sì un maggior traffico di petroliere, travasi e rischi di maggiore inquinamento? Che c’entra il petrolio, se loro stessi dicono che si tratta quasi solo di gas naturale? Dove stanno le bugie, nei dati statistici aggregati o nella minaccia dell’andirivieni di petroliere? Insomma, propaganda basata su esagerazioni oppure dati addomesticati?
      E nonostante il negativo impatto ambientale e paesaggistico, e gli indiscutibili danni all’ecosistema marino delle piattaforme in sé e dell’attività estrattiva, non c’è dubbio che il gas naturale sia oggi considerato una delle fonti di energia più pulite, che non inquina né l’acqua né il suolo, non provoca nella fase di combustione polveri sottili PM 10 o PM2,5, ma soltanto minime quantità di anidride carbonica CO2, ossidi di azoto Nox e trascurabili quantità di anidride solforosa SO2
      Lasciare dove e come stanno le piattaforme, senza minimamente toccarle almeno con tariffe adeguate, non è affatto una “grande possibilità” energetica per l’Italia, come dice la propaganda dei petrolieri. Anzi, con il basso prezzo del petrolio, la scarsa qualità di quello italiano, le esigue rendite per lo Stato, e gli altissimi costi paesaggistici e ambientali delle piattaforme, estrarre non conviene più, almeno in questi anni.

FRANCIA E CROAZIA SMETTONO. Va bene, «ma se non estraiamo noi, lo faranno gli altri, per esempio nell’Adriatico la dirimpettaia Croazia, o nel Tirreno e un po’ ovunque nel Mediterraneo la Francia, sost. Ed essendo i depositi sottomarini in comune, l'Italia rinuncerebbe ottusamente a una ricchezza certa in favore degli altri Stati: si può essere più autolesionisti?». Questa la principale argomentazione dei fautori del No al referendum. Qualcuno si è anche preoccupato di pubblicare una mappa con l’Adriatico disseminato di piattaforme croate. Insomma, dovremmo estrarre anche se non conviene a nessuno – imprenditori concessionari, Stato, cittadini – solo per sottrarre idrocarburi e quote di mercato ai concorrenti stranieri.
      E invece, no, non è vero niente. I siti che appaiono sulla mappa dell’Adriatico croato non sono funzionanti. L’americana Marathon Oil e la OMV, dopo aver ottenuto nel gennaio 2015 la maggior parte delle concessioni, hanno rinunciato nell’estate. Ma poiché l’opinione pubblica in Croazia, e non solo sulla costa, è contraria, e ci sono state manifestazioni di protesta nella popolazione, in ottobre il Governo croato ha sospeso la firma degli altri accordi, per riparlarne dopo le elezioni. Il nuovo Capo di Governo, Orešković, fin dal discorso inaugurale ha annunciato una moratoria alle concessioni petrolifere marine, che perciò non sono state ancora sottoscritte e sono sospese a tempo indeterminato, come riporta il sito Gli Stati Generali, che pubblica anche la mappa contestata..
      Anche la Francia si è sfilata in modo ancor più aperto e deciso dalle inutili, antieconomiche e pericolose trivellazioni nel Mediterraneo. La ministra per l’ambiente, Royale, ha deciso una “moratoria immediata” sui permessi di ricerca degli idrocarburi che prelude all’abbandono delle ricerche di combustibili fossili dal terreno o dal mare. Anzi, riporta in un articolo La Stampa, farà di più: chiederà «l’estensione di questa moratoria all’insieme del Mediterraneo, nel quadro della convenzione di Barcellona sulla protezione dell’ambiente marino e del litorale mediterraneo». Quindi, altro che Italia: tutta l’Europa sarà chiamata a sospendere le trivellazioni. E sostegno migliore alle ragioni del Sì non si poteva avere, superando le beghe provinciali dei politicanti italiani.

CLUB ECOLOGISTI ED ESPERTI. Dal canto loro, la totalità degli ecologisti italiani e quasi tutte le associazioni del settore, dal WWF a Legambiente, compresa la moderata FAI, hanno invitato a votare Sì. Anche gran parte dei Radicali d’impronta liberal-ecologista, seguendo le analisi, sottili e non banali, dell’esperto Michele Governatori, è per un Sì “critico” e con riserve (quelle che abbiamo riferito sopra), ma pur sempre un Sì. Perché dire di sì a questo referendum nato male, gestito male e fatto conoscere poco e male, è pur sempre il “male minore”, rispetto al “No” o all’astensione, per i quali tutto resterà come prima. Bisogna accontentarsi.
      Anche gli uomini di scienza si sono mobilitati. Cinquanta professori e scienziati italiani hanno redatto e sottoscritto un appello motivato per il Sì al referendum, con tutte le ragioni del voto: energetiche, economiche, occupazionali, ambientali, etiche e culturali.

LE DIECI DOMANDE IRONICHE D’UN LIBERALE. Una sintesi efficace e implacabile delle ragioni del Sì, sotto forma di questionario ironico, è quella del liberale Vittorio Vivona su Facebook:
«Al Referendum io non mi asterrò e voterò Sì, essenzialmente per le ragioni che qui espongo sotto forma di domanda.
1. Cosa ci fa questa norma mimetizzata tra i 999 commi dell'art.1 della legge di stabilità?
2. Che c'azzecca con la legge di stabilità (attenzione, non il "milleproroghe") ?
3. Da quando una concessione ha come termine il venir meno dell'utilità per il privato?
4. Perchè allora non "prorogare" le concessioni balneari finchè il mare non si è mangiato la spiaggia ?
5. Perchè continuare a chiamarla concessione e non usufrutto vitalizio ?
6. Perchè le royalties al 10% (quelle ufficiali) sono le più basse al mondo (dal 25% della Guinea allo 80% della Norvegia?
7. Perchè nella concessione non sono indicate latitudine e longitudine, ma la concessione è "unica" e valevole per più trivellazioni?
8. Perchè al di sotto delle 50 mila tonnellate scatta la franchigia e le società non pagano nulla, ma rivendono petrolio e gas al prezzo pieno di mercato?
9. Costa di più smantellare le piattaforme o farle funzionare in eterno estraendo sotto la soglia della franchigia?
10. Perchè il PD che ha confezionato e votato la norma oggetto del referendum, non ha il coraggio di sostenerla pubblicamente? Personalmente, anche senza ricorrere ai profili di tutela ambientale (peraltro da me pienamente condivisi) ce ne è abbastanza per convincersi che la norma oggetto del referendum altro non è che un "grazie" alle compagnie petrolifere. Il pasticcio è stato fatto ed è stato scoperto; sostenere il No al referendum significa dichiarasi apertamente collusi con quanti traggono un cospicuo vantaggio da una simile porcata. Idem per l'astensione (peraltro legittima, ma non è questo il problema) ».

AGGIORNATO IL 20 APRILE 2016

This page is powered by Blogger. Isn't yours?