28 aprile 2011

 

Risparmiare acqua, Natura e soldi. Toilettes a secco che danno un utile “compost” naturale e inodore.

Toilet Finished Compost Preziosa acqua da bere usata come banale mezzo meccanico per trascinare via i rifiuti: incredibile. E’ quello che facciamo ogni giorno. Anche noi laureati, anche noi presunti intelligenti e sedicenti colti. Una famiglia di 5 persone spreca ogni anno 150 mila litri di acqua da bere con l’assurdo scopo di eliminare e trasportare 250 litri di escrementi. Uno spreco, uno scandalo senza pari. L’uso dei moderni impianti “igienici” ha un impatto notevole sull’inquinamento delle acque e sulla rarefazione di acqua potabile. Un giorno i posteri ci chiederanno ragione di questa ottusità.

Senza contare lo spreco di carta a cui si accompagna questo spreco d’acqua. Ha fatto scalpore e anche suscitato ironia (che è spesso una facile maschera per nascondere l’imbarazzo di chi non sa che rispondere) il mio articolo sull’assurdo spreco di preziosissime risorse idriche – anche con la complicità dell’inutile, dannosissima e decisamente anti-igienica “carta igienica” – che si compie ogni giorno nelle nostre stanze da bagno. Tra docce ripetute, spesso inutili e dannose, e uso irrazionale dello sciacquone, se ne va una gran parte del patrimonio nazionale dell’acqua da bere. Ma la signora Rossi non lo sa, non lo vuole sapere, non vuole sentire ragioni, per continuare nelle sue abitudini e per dilapidare stupidamente il patrimonio N.1 dell’umanità: l’acqua.

Nell’articolo si proponevano consigli pratici utilizzabili subito per razionalizzare gli impianti e ridurre gli sprechi, a cominciare da quello della carta igienica, che a sua volta si tira dietro quello dell’acqua. Ma il problema può, deve, essere riformato alla radice utilizzando toilettes biologiche che, senza il minimo odore, grazie all’uso dei batteri producono sano e utilissimo composto (compost) da vendere poi ad agricoltori e aziende o utilizzare sul terrazzo o in giardino, o al limite da spargere nei nostri parchi urbani o in campagna. Riportando tutto alla Natura. Sul tema, ecco un brano del grande Lester Brown, ecologo di valore, antesignano e teorico dello “sviluppo sostenibile” (Piano B 4.0, ed Ambiente).
NICO VALERIO

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“Utilizzare l’acqua una sola volta e per smaltire i rifiuti umani e industriali è un sistema antiquato e che, a causa delle carenze di risorse idriche, rischia di produrre gravi danni. L’acqua che entra in una città viene contaminata da rifiuti di origine umana e industriale e ne esce pericolosamente inquinata. I rifiuti industriali tossici scaricati nei fiumi, nei laghi o nei pozzi inoltre si infiltrano nelle falde, rendendo l’acqua di superficie e quella sotterranea pericolose da bere.

L’attuale impostazione prevede l’impiego di enormi quantità di risorse idriche per riversare i rifiuti in un sistema fognario nel quale l’acqua può essere o meno trattata prima di essere scaricata nei corsi d’acqua locali. L’abitudine a disfarsi dell’acqua senza pensarci (flush and forget) rimuove i nutrienti che si trovano nei terreni e li disperde nei corsi d’acqua. Questa prassi ha due conseguenze: da un lato i terreni si impoveriscono, dall’altro le eccessive concentrazioni di nutrienti causano la formazione di zone morte (dead zones) lungo le coste oceaniche (attualmente ne sono censite circa 400). Questo sistema è quindi costoso, usa l’acqua in modo intensivo, interrompe il ciclo dei nutrienti del terreno ed è fonte di malattie e decessi. In tutto il mondo, lo scarso livello della disinfezione e dell’igiene personale sono responsabili della morte di due milioni di bambini all’anno, pari a un terzo di quei sei milioni causati da fame e malnutrizione.

Sunita Narain, del Centre for Science and Environment, sostiene in modo convincente che in India un sistema fognario basato sull’uso dell’acqua e di depuratori non è sostenibile né dal punto di vista dell’ambiente né da quello economico. Fa notare che una famiglia indiana di cinque persone che produce in un anno 250 litri di escrementi, usando un normale sciacquone contamina con gli scarichi 150 mila litri di acqua.

Per come è attualmente progettata, la rete fognaria indiana è in pratica un sistema di diffusione di microrganismi patogeni. È sufficiente una piccola quantità di contaminanti per sottrarre all’uso umano grandi quantitativi di acqua. Con questo sistema, Narain sostiene che “i nostri fiumi e i nostri bambini stanno morendo”. Il governo indiano, come quello di molti altri paesi in via di sviluppo, sta inutilmente cercando di estendere sistemi fognari basati sull’uso dell’acqua e strutture per la loro depurazione a tutto il paese. Pur non essendo in grado di colmare l’enorme divario tra i servizi necessari e quelli erogati, non vuole comunque ammettere che si tratta di un’opzione economicamente irrealizzabile.

Fortunatamente esiste un’alternativa economica: la compost toilette. Si tratta di un gabinetto che non usa acqua, è inodore, è collegato a un piccolo impianto di compostaggio e a volte a un serbatoio di raccolta separata dell’urina. L’urina raccolta può poi essere utilizzata dalle aziende agricole come fertilizzante. La compostiera converte il materiale fecale umano in humus, che è privo di odori e occupa meno del 10% del volume originale. La compostiera va svuotata circa una volta l’anno, a seconda del modello e delle dimensioni. I rivenditori periodicamente prelevano l’humus e lo rivendono come concime, assicurando così che i nutrienti e le materie organiche ritornino al terreno e riducendo il bisogno di fertilizzanti chimici la cui produzione richiede molta energia.

Questa tecnologia abbatte considerevolmente i consumi idrici delle abitazioni e le loro bollette, riducendo nel contempo la quantità di energia necessaria al pompaggio dell’acqua e alla sua depurazione. Inoltre, nel caso vengano aggiunti anche gli scarti alimentari riduce la produzione di rifiuti solidi, ripristina il ciclo dei nutrienti e risolve il problema del trattamento delle acque nere. La Environmental Protection Agency degli Stati Uniti elenca diverse marche di toilette compost legalmente approvate. Questi gabinetti, usati inizialmente in Svezia, hanno dimostrato di funzionare benissimo in tutte le condizioni in cui sono stati sperimentati, inclusi condomini svedesi, case americane e villaggi cinesi. Per i 2,5 miliardi di persone che non hanno un sistema fognario, le compost toilet possono rappresentare la risposta.

Rose George, autore di The Big Necessity: The Unmentionable World of Human Waste and Why It Matters ci ricorda che il sistema flush and forget (scarica e dimentica) divora energia per due ragioni. La prima è che l’energia è necessaria per trasportare grandi quantità di acqua potabile (lo sciacquone è responsabile fino al 30% dei consumi idrici abitativi). La seconda è che ci vuole molta energia per gestire un impianto di depurazione. Molti anni fa il presidente americano Theodore Roosevelt osservava che “i popoli civilizzati devono trovare un sistema alternativo allo smaltimento dei propri escrementi che non sia quello di gettarli nell’acqua potabile”.

In sostanza, ci sono varie ragioni perché le compost toilet più avanzate meritano la priorità: sempre maggiori penurie idriche, prezzi dell’energia crescenti, aumento delle emissioni, riserve di fosfati in via di esaurimento, un grande numero di zone morte oceaniche a causa degli scarichi in mare, l’incremento dei costi sanitari per malattie intestinali e un aumento dei capitali da investire per la realizzazione dei sistemi fognari tradizionali.
Una volta che il gabinetto è separato dal sistema idrico, anche riciclare l’acqua domestica diventa molto più semplice. Nelle città, il metodo più efficiente per aumentare la produttività idrica è l’adozione di un sistema di trattamento e riciclaggio idrico che usi sempre la stessa acqua. Con un sistema di questo genere, che è assai semplificato se sono assenti le cosiddette acque nere, solo una piccola parte d’acqua si perde per evaporazione durante il ciclo.

E con le tecnologie oggi disponibili è possibile riciclare quasi all’infinito le acque urbane. Alcune città che affrontano il problema della penuria idrica e dell’aumento dei prezzi stanno cominciando a riutilizzare la loro acqua. Singapore, ad esempio, che compra acqua dalla Malesia a prezzi molto alti, la sta già riciclando riducendone così le importazioni. Windhoek, capitale della Namibia, uno dei luoghi più aridi dell’Africa, ricicla le acque grigie traendone acqua potabile. Nella California, ove vi è una carenza idrica, la contea di Orange ha investito 481 milioni di dollari in un sistema di depurazione che, aperto all’inizio del 2008, converte le acque grigie in acqua pulita e sicura destinata al ripristino delle falde acquifere locali. Los Angeles sta per seguirne l’esempio. Nella Florida meridionale nel 2007 è stato approvato un piano per riciclare l’acqua usata in acqua potabile. Per un numero sempre maggiore di città, il riciclaggio idrico sta diventando una questione di sopravvivenza.

Molte industrie stanno sperimentando situazioni di carenza idrica e si stanno orientando verso sistemi di smaltimento dei rifiuti che non utilizza acqua. Alcune aziende convogliano i flussi dell’acqua di scarico trattandoli con prodotti chimici appropriati e con sistemi di filtrazione a membrana, al fine di riutilizzarli. Peter Gleick, curatore della relazione biennale The World’s Water scrive: “Alcune attività, come quelle di lavorazione finale dei metalli, le cartiere, le lavanderie industriali, stanno cominciando a sviluppare sistemi a ciclo chiuso grazie a cui tutte le acque reflue vengono riutilizzate all’interno dell’industria, e in questo modo necessitano di modeste quantità di nuova acqua per recuperare quella che evapora o che viene incorporata nei vari prodotti”. Le industrie si stanno muovendo più velocemente rispetto alle città, ma le tecnologie che hanno sviluppato possono essere usate anche per il riciclo dell’acqua urbana.

A livello domestico, l’acqua può essere risparmiata anche tramite l’uso di docce, gabinetti, lavastoviglie e lavatrici ad alta efficienza idrica. Alcuni paesi stanno adottando standard di efficienza idrica degli elettrodomestici e le relative etichettature, analoghe a quelle per l’efficienza energetica. Quando i costi dell’acqua saliranno, cosa che accadrà inevitabilmente, anche in ambito domestico diventeranno economicamente attraenti le toilette a compostaggio e gli elettrodomestici ad alta efficienza idrica.

Gabinetti e docce sono insieme responsabili di più della metà dei consumi d’acqua domestici. Mentre i gabinetti a scarico tradizionale hanno bisogno di quasi 23 litri per ogni utilizzo, negli Stati Uniti il limite massimo per quelli nuovi è di 6 litri e in quelli dotati di tasto per la scelta tra due opzioni, soltanto 4 litri o 6 litri. Passare da una doccia che fa scorrere circa 20 litri al minuto a una da meno di 10 litri dimezza il consumo dell’acqua. Per le lavatrici, quelle a carico frontale progettate in Europa usano il 40% in meno d’acqua rispetto ai tradizionali modelli americani con carica dall’alto.

Il sistema di smaltimento attuale basato sull’acqua non è sostenibile. Vi sono troppe abitazioni, fabbriche e allevamenti per potersi permettere di continuare a lavare e a smaltire sprecando le risorse idriche del nostro pianeta sovrappopolato. Continuare con questo approccio è da incoscienti oltre che retrogrado, un sistema appartenente a un’epoca nella quale c’erano molto meno persone e attività produttive”.
LESTER BROWN *

* da Lester Brown, Piano B 4.0, Ed Ambiente, 2008). Lester R. Brown è presidente dell’Earth Policy Institute, un’organizzazione non profit e interdisciplinare, che ha sede a Washington D.C., fondata nel maggio 2001 insieme a Reah Janise Kauffman. Lo scopo dell’Earth Policy Institute è l’elaborazione di un piano per salvare la civiltà e di individuare il percorso per raggiungere quest’obiettivo. Brown è stato definito dal Washington Post come “uno dei pensatori più influenti del mondo”. Il Telegraph di Calcutta lo ha indicato come “il guru del movimento ambientalista”. Nel 1986, la Biblioteca del Congresso ha richiesto i suoi scritti per i suoi archivi. Circa 30 anni fa, Brown contribuì alla definizione del concetto di sviluppo sostenibile, un’idea che è alla base del suo progetto di eco-economia. È stato fondatore e presidente del Worldwatch Institute per i primi 26 anni. Nel corso della sua carriera, iniziata con la coltivazione dei pomodori, Brown è stato autore e co-autore di numerosi testi e gli sono state conferite 24 lauree honoris causa.

IMMAGINE. Ecco, in un pratico cassettino, come si presenta il compost in uno dei tanti apparecchi sanitari a secco in commercio (v. sito). Tra l’altro, assolutamente inodore, assicura la guida.

AGGIORNATO IL 4 DICEMBRE 2014

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10 aprile 2011

 

Acqua: sprechi, inefficienza, corruzione. Non è solo il dilemma pubblico-privato

"Un punto di vista intelligente e trasversale sul problema italiano dell'acqua è nell'intervento di Sergio Rizzo che riportiamo qui sotto. Non basta reclamare il diritto dell'acqua, occorre anche meritarsela. La rete idrica italiana è un colabrodo perchè l'amministrazione pubblica è largamente carente quando non proprio schifosa. Nè il problema può essere risolto con le privatizzazioni clientelari che si vorrebbero fare. Riflettiamo su quanto viene esposto.
Il fatto che con la scusa dell'efficienza si intende privatizzare l'acqua e quindi trasformarla da un bene pubblico ad una merce con la quale ricavare possibili profitti, non deve far dimenticare tutta la penosissima questione dello spreco dell'acqua da parte delle istituzioni pubbliche in Italia. Poichè diritto acquisito che non porta voti o quatttrini, la corretta gestione del patrimonio idrico è stata ignorata e così un pò tutte le amministrazioni locali non hanno effettuato investimenti o manutenzioni dei sistemi di raccolta e distribuzione dell'acqua. Adesso allo stremo del sistema si inizia a riconoscere il grande valore dei beni comuni, tra cui, principe, l'acqua. E prima?
L'età dell'acqua pubblica è stata purtroppo una storia triste e squalida di negligenza e corruzione delle autorità locali. Non vi è oramai solo il problema della mancanza o dello spreco di acqua, accanto incombe il problema dell'avvelenamento progressivo delle acque a causa dell'inquinamento agricolo, industriale e urbano, della perdita delle sorgenti a causa del dissesto idrogeologico, e non ci inganna la potabilizzazione della acque con sistemi di depurazione o per decreti legge che innalzano (vera truffa alla collettività o già tentato omicidio) la soglia di inquinanti potabili.
Quindi è bene che sia riconosciuto come bene comune, ma l'importante è che non sia maltrattato come tutti gli altri beni comuni.
E' quindi una tipica illusione della cultura di sinistra pensare che la soluzione sia affidare un ambito alla sfera statale. Sotto questo discorso vi è l'incoscienza di quali interessi si muovono dietro le attività di stato e parastato, spesso al pari o peggio di quelle private. Come del resto è una tipica illusione della cultura di destra pensare che la soluzione sia affidare un ambito al privato. Sotto questo discorso vi è l'interesse di clientele e cordate imprenditoriali che cercano di sgraffignare qualcosa ancora.
E potrebbe essere benissimo che gli stessi personaggi e le stesse logiche si possano rintracciare con stessi gestori, una volta pubblici, un altra volta privati. Se la tutela del bene comune, naturale, culturale, sociale, economico, divenisse invece reale fondamento delle attività istituzionali e se i ceti politici pagassero caramente sorprusi, sprechi ed errori nella gestione del bene comune, se quindi i principi di diritto istituzionale fossero informati da una coscienza ecologista potremmo vedere finalmente, un giorno, una cura e attenzione appropriata o lodevole delle acque, della terra, dell'aria che respiriamo, della flora e della fauna e così via.
Ma andiamo a quanto esposto lucidamente da Rizzo nel suo blog "La Deriva" sul sito del Corriere della Sera.
MAURIZIO DI GREGORIO

"Niente accomuna oggi trasversalmente la sinistra e la destra come l' acqua. Se il «religiosissimo» (autodefinizione) governatore della Puglia Nichi Vendola azzarda un paragone blasfemo, dicendo che «privatizzare l' acqua è una bestemmia in chiesa», una liberista come Emma Bonino non esita a liquidare così la faccenda: «Mancano le condizioni». Mentre la Lega, che per lealtà ha dovuto ingoiare il boccone amaro, votando la legge che potrebbe trasferire in mani private la gestione delle risorse idriche, comincia a intuire quanto rischia di rivelarsi indigesto. E anche molti amministratori locali del Pdl storcono il naso.
Il paradosso è che niente, come l' acqua, divide gli italiani. Basta dare un' occhiata al Blue Book del centro di ricerca Proacqua per rendersi conto di come l' unità «idrica» del Paese non si sia mai realizzata. A Milano si pagano tariffe pari a un quarto di quelle di Terni, che sono appena più alte rispetto alle bollette di Latina. O di Agrigento, dove l' acqua è un bene raro e prezioso.
Per non parlare degli sprechi. Ogni anno, secondo un documento della Confartigianato, il 30,1% dell' acqua immessa in rete non arriva ai rubinetti: per fare un paragone europeo, in Germania le perdite non arrivano al 7%. Come se buttassimo dalla finestra 2 miliardi e 464 milioni, somma che basterebbe a compensare l' abolizione dell' Ici per la prima casa.
Chi è responsabile? Reti colabrodo, investimenti carenti, una gestione spesso sconsiderata. I colpevoli sono diversi, e tutti in qualche modo imparentati con l' azionista pubblico. Problemi così grandi che la buona volontà, senza i soldi, serve a poco. In tre anni l' Acquedotto pugliese, il più grande d' Europa con i suoi 20 mila chilometri di rete, è riuscito a recuperare 40 milioni di metri cubi di perdite. Le quali sarebbero così scese al 35% dal 37,7%. Bene. Anzi, benissimo. Ma se ai tubi rotti e agli allacci abusivi si sommano le perdite amministrative, calate comunque dal 12,8% all' 11,8%, l' emorragia economica dell' azienda sfiora ancora il 47%.
Tutto questo rende difficilmente comprensibile, al di là delle pur rispettabili opinioni ideologiche, la sollevazione bipartisan contro la privatizzazione del servizio, con la motivazione che ciò esproprierebbe i cittadini di un bene pubblico vitale a vantaggio di imprese che hanno il solo obiettivo del profitto.
Privatizzazione che peraltro in Italia, a dispetto di quello che si immagina, è ancora una illustre sconosciuta.
Prendiamo il caso di Agrigento, dove si pagano le tariffe fra le più alte d' Italia, con una media di oltre 400 euro l'anno a famiglia per un servizio, come ha dimostrato il bel servizio trasmesso da Presa diretta di Riccardo Iacona, di qualità inaccettabile. Ebbene, da tre anni la gestione è appaltata a una società «privata», la Girgenti acque, che opera in perdita. Ma di «privato» ha il nome e gli azionisti di minoranza. Perché il 56,5% è controllato dalla Acoset spa, società dei Comuni catanesi, e dalla Voltano spa, a sua volta di proprietà dei Comuni agrigentini. Che della Girgenti acque hanno anche la gestione: presidente e amministratore delegato sono infatti i manager delle due società comunali, Vincenzo Di Giacomo e Giuseppe Giuffrida.
In Acqualatina, società che gestisce le risorse idriche nell' area pontina, la gestione è invece nelle mani del socio privato. È la francese Veolia, che con il 49% delle azioni esprime l' amministratore delegato Jean Michel Romano e deve convivere con una situazione molto curiosa, per un azionista privato: gestire un' azienda di cui è presidente un senatore, Claudio Fazzone del Pdl. Nel 2008 Acqualatina ha perso 4,4 milioni e ha dovuto varare un piano di lacrime e sangue. Nonostante tariffe astronomiche. Dimostrazione che nemmeno i privati, in un sistema come il nostro, hanno la bacchetta magica.
Ecco perché prima di tutto sarebbe il caso di risolvere il problema della regolamentazione del Far West dell' acqua, affidando a un' autorità indipendente il compito di stabilire tariffe eque e imporre la decenza del servizio. Se anche qui si vuole aprire il capitolo dei privati, è uno strumento fondamentale per mettere al sicuro da ogni rischio l' uso di un bene vitale. C' è per il gas e l' elettricità. Perché non per l' acqua? O si vuole ripetere l' errore già compiuto in occasione di altre privatizzazioni?
SERGIO RIZZO

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