13 luglio 2011

 

Eco-affari. Distrugge la natura il boom della energia “verde” finanziata dallo Stato

Fotovoltaico. Densità in LombardiaL’energia pulita sporca? E’ un paradosso. E’ quello che sta accadendo in Lombardia, e anche nel resto dell’Italia, specie al Sud, dove la speculazione e la criminalità dominano, e certamente non aspettavano altro per riciclarsi in qualcosa di legalmente ed ecologicamente “pulito”. Anche se, ora si vede chiaramente, “sporca” paesaggio e ambiente.
Ma come, si è lamentato un lettore del Corriere, prima gli ecologisti propagandano le energie rinnovabili e poi si accorgono che rovinano l’ambiente? Siete incontentabili. “Eh, ma che potevamo immaginare – rispondono quelli – che ne avrebbero approfittato cani e porci, anche quelli che dispongono di fonti energetiche modeste o addirittura inadeguate?”
Insomma, il solito caso di furbizia all’italiana, oppure una normale speculazione di mercato che sarebbe accaduta ovunque? Eppure, il caso delle altissime e invasive torri eoliche che hanno distrutto il paesaggio da cartolina di tanti crinali montuosi del Centro-Sud avrebbe dovuto mettere sull’avviso. E invece, niente.

Diciamo subito che l’autoproduzione di energia da parte dello stesso consumatore (che può diventare anche piccolo produttore) è un antico concetto della filosofia di vita naturista, bello e utile, anche all’ambiente. Ma il boom dell’autoproduzione con ogni mezzo, anche il più inadeguato, solo in vista dell’alto prezzo, fuori mercato, pagato indirettamente dallo Stato, cioè da tutti noi, sta ponendo problemi gravi, e non è certo né ecologico, né liberale, come invece alcuni sprovveduti o furbi lasciano intendere. Dopo aver promesso di ridurli, infatti, il Governo ha alla fine mantenuto gli attuali alti, troppo alti, incentivi alle energie rinnovabili.

La cosa ricorda molto un altro boom tipicamente italiano, cioè furbo: quello dell’agricoltura bio: solo che qui non ci sono le speranze di maggiori profitti da prezzi di vendita più alti, ma solo la certezza delle provvidenze di Stato. Che ci sono dappertutto, si badi, solo che in Italia sono più alte, troppo più alte, considerando che l’Italia, almeno quella del Centro-Sud, gode di una insolazione record. Come ripete da tempo Giovanni De Pascalis, secondo scienza metereologica e mercato, il sole al Sud andrebbe pagato molto meno che al Nord. E invece non è così.

Ma non è così che di diversificano le fonti e si auto-produce elettricità in modo da ridurre la dipendenza dal petrolio e ridurre l’emissione di anidride carbonica.
L’ambiente e l’economia liberale, anzi, ne sono colpiti duramente, visto che è un sistema inefficiente che, in realtà, nonostante i numeroni, andando a dividere per abitanti, produce pochissima energia pro-capite, pur coprendo o distruggendo gran parte dell’ambiente, quindi attentando a due ordini di veri e propri diritti di libertà dei cittadini: un mercato libero e un ambiente naturale. E’ solo la solita furbizia degli uomini favorita da leggi sbagliate fatte da parlamentari di nessuna intelligenza. Speriamo solo che gli incentivi siano abbassati e meglio regolamentati fino a livelli europei, e diversificati – nel solare – per quantità di insolazione annuale. E speriamo anche che gli ecologisti di oggi, specialmente in vista della rifondazione di novembre in un nuovo soggetto politico, sia pure metapartitico, capiscono il problema e prendano le contromisure per proposte alternative.

In ogni caso, attenti agli eco-affari, cioè al business verde. Ricordiamolo ai deboli di memoria. Per non aver capito che gli affari con l’ambiente e sull’ambiente sono pericolosi, pericolosissimi, anzi sono spesso il vero problema, sia per la Natura, sia per la privata e pubblica moralità, i Verdi si sono giocati la loro credibilità negli anni ’80 e ‘90. Altro che sacralità della Natura, che in Italia è bellissima e “poca”, cioè ristretta da città e attività antropiche come in nessun Paese al mondo, a causa dell’antica civiltà. Perfino tra i Verdi, si rischia di essere considerati “fondamentalisti” a ricordare l’abc ambientalista. Moltissimi, troppi, politici Verdi si sono dichiarati in passato disposti, dispostissimi, a fare in modo che con la Natura si possano fare soldi, tanti soldi.
“Ecologia liberale”? Macché, spesso si è visto che non era né “ecologia”, dato che paradossalmente deturpava il territorio, né “liberale”, se è vero che contravveniva a diritti di libertà e sbilanciava il mercato libero a vantaggio solo di alcuni.

Un effetto paradosso, analogo a quelli manifestati in passato dalle speculazioni (legali o illegali) dell’industria eolica e dell’agricoltura biologica, messo in luce da un articolo, purtroppo generico e non particolareggiato, di Claudio Del Frate sul Corriere della Sera, riportato qui di seguito.
NICO VALERIO

Cresce la protesta contro lo sfruttamento intensivo
CONTADINI E IMPRENDITORI: TUTTI STREGATI DAL BUSINESS DEI KILOWATT «VERDI»
Ma in Lombardia il mercato delle energie rinnovabili è quasi saturo. Pesante l'impatto sull’ambiente

Non c’è più spazio per centrali idroelettriche, quelle a biogas stanno stravolgendo il mercato dell’agricoltura e anche i pannelli solari devono ormai farsi spazio tra mille difficoltà. Il paradosso delle energie rinnovabili trova la sua plastica rappresentazione in Lombardia: nati per bilanciare i consumi di combustibili fossili, spinti dalla generosa erogazione di incentivi statali senza pari in Europa, i kilowatt «verdi» fanno i conti con la sostenibilità e l’impatto determinato sull’ambiente. Non sempre facile da trovare, stando almeno a una serie di casi emersi proprio nella regione più energivora d’Italia. La protesta contro lo sfruttamento intensivo delle risorse rinnovabili ha radunato un fronte molto composito, che va dalle organizzazioni degli agricoltori fino ad associazioni green come Slowfood per arrivare in campo politico alla Lega Nord, favorevole come è noto al taglio in finanziaria dei fondi per le rinnovabili.

ALL’ASCIUTTO – Il primo effetto indotto dagli incentivi sulle fonti alternative lo si vede nelle province dell’arco alpino: nella sola Lombardia sono state depositate domande per costruire ben 299 nuove centrali idroelettriche di piccole e medie dimensioni tra Como, Lecco, Bergamo e Brescia. Dal conto è esclusa Sondrio ma perché qui l’amministrazione provinciale ha strappato una moratoria dal momento che quasi il 90% dei corsi d’acqua è già imbrigliato per produrre elettricità. «Occorre ridiscutere subito le regole – denuncia Dario Bianchi, consigliere regionale della Lega Nord – altrimenti per l’ambiente montano sarà un vero e proprio scempio: fiume e torrenti rischiano di rimanere asciutti con gravi danni idrogeologici perché sfruttati da aziende private sostenute dagli incentivi statali». Dopo l’estate la questione finirà sui tavoli della Regione Lombardia.

ENERGY FARMERS – Molti dei contadini che fino a pochi anni fa si dedicavano ad allevare suini, a seminare mais e foraggio adesso si sono chiamati fuori dalla catena alimentare. Molto più redditizio, sempre per il meccanismo degli incentivi, trasformarsi in produttori di energia. La sezione dello Slowfood di Cremona, una delle città gioiello dell’agroalimentare italiano, ha chiesto alla Provincia di introdurre una moratoria sulla costruzione di centrali biogas che stanno nascendo in tutta la campagna padana: solo nel Cremonese sono già 125 gli impianti funzionanti o in procinto di essere accesi. Secondo stime dello Slowfood, in buona sostanza confermate dal consorzio dei produttori del biogas, il 25% dei suoli destinati al mais oggi serve solo ad alimentare le centrali a biogas. «E’ un danno enorme alla filiera agroalimentare» denuncia Claudio Rambelli di Slowfood. Una stima di Coldiretti sostiene che per produrre un solo megawatt di biogas è necessaria la produzione di 200 – 300 ettari di mais.

PER UNA LAMPADINA – Il terzo caso manifestatosi in Lombardia riguarda i pannelli solari. Stavolta è Confagricoltura a denunciare le storture di questo boom: in un anno la presenza nella regione è passata da 10.800 a oltre 25mila impianti. Sembrano molti, in realtà in base a un calcolo di Regione Lombardia questa «foresta» di pannelli produce all’incirca 348 megawatt di potenza: l’equivalente del consumo di una piccola lampadina per ogni lombardo. A che prezzo? Al prezzo che l’affitto dei terreni è balzato da 600 euro a 2mila euro per ettaro, denuncia Confagricoltura, al punto che molti proprietari smettono anche in questo caso di produrre cibo per dedicarsi all’energia. «E’ necessario introdurre criteri di salvaguardia - aveva annunciato l’assessore regionale Marcello Raimondi – almeno per le zone dedicate a produzioni agricole di pregio».

IMMAGINE. Densità di impianti fotovoltaici per 1000 abitanti in Lombardia nel 2010 (Elaboraz. di G. Carrosio per www.energiafelice.it).

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06 luglio 2011

 

Evviva il treno. Ma dappertutto, non solo in val di Susa ad alta velocità. E lì, poi, vale davvero la pena?

Locomotiva treno a vapore veloce 691 anni 30-30 (max 130-150 km) Ma noi ecologisti non eravamo per il treno? Lo abbiamo sempre difeso e proposto, contro i Tir e le auto, perché molto più ecologico ed economico sia per il trasporto dei passeggeri che delle merci. Negli Stati Uniti, in Australia e in molti altri Paesi progrediti il grosso del traffico merci è affidato a economici lunghissimi treni merci, in cui da 2 a 5 locomotive trainano anche più di 200 lunghi pianali, molti dei quali portano due container sovrapposti, cosa impossibile in linee con gallerie, come non poche in Italia. E il treno è meno invasivo, non crea ingorghi (se non ai passaggi a livello quando è molto lungo…), è meno stressante non solo per i trasportatori, ma anche per i passeggeri. Tutti i professionisti sanno che un viaggio in ferrovia è di gran lunga il più comodo e rilassante: ci permette la lettura, lo studio, perfino il lavoro, la conversazione piacevole, ma anche di fare quattro passi per sgranchirci le gambe, mentre intanto il treno corre. A differenza dell'auto. Un commerciante può perfino portarsi un voluminoso campionario nel bagagliaio, e viaggiare comodamente in poltrona scrivendo lettere al computer o cercando gli ultimi prezzi su un sito. E non siamo ancora arrivati al minor impatto sull’ambiente. Il treno è molto meno inquinante, sia nella costruzione della strada ferrata, sia nel funzionamento della macchina. Se guardiamo sul retro di un biglietto delle FS troviamo quanta CO2 abbiamo risparmiato e fatto risparmiare a persona.
      Ma allora, la protesta in val di Susa? Eppure anche quello della TAV, il treno ad alta velocità, è un treno. Sì, ma è un treno che vuole tutta per sé una linea, anzi un intero ambiente tecnologico speciale, avanzatissimo. “Questo” treno, dunque, non è proprio come gli altri treni: ha in sé molto di buono, ma anche qualcosa di cattivo. E pretende, perciò, non una predica religiosa, da fanatici, ma un discorso razionale, dubbioso, fatto di qualche sì, qualche no, e tanti ma… Il problema è farlo capire ad entrambi i contendenti: sia ai politici industrialisti del sì per principio, sia ai nuovi ecologisti, tutti schierati senza pensarci troppo per un no aprioristico, entrambi schierati per motivi politici o comunque extra-economici ed extra-ambientali. Speriamo solo che il no al treno TAV sia solo in val di Susa, solo per “quel” progetto. Perché?
      Perché non si tratta solo di una nuova linea ferroviaria, ma di una costosissima nuova "Grande Opera", probabilmente inutile quando sarà finita (tra 20 anni), molto complessa, tanto da basarsi sulla perforazione d’un nuovo lunghissimo traforo attraverso le Alpi. Lunghissimo proprio perché i capitolati dell’alta velocità vogliono che l’intera linea sia in pianura, al “piano campagna”, senza salite, e quindi sia servita da un nuovo tunnel che corra molto più in basso di quelli esistenti.
      E poi perché questo TAV è stata pensato contro la volontà dei locali. Ma se quest’ultima è l’obiezione principale, è sbagliata. La linea Torino-Lione non è locale, bensì super-internazionale: dovrebbe collegare il Portogallo all'Ucraina. E i francesi hanno già iniziato procedure e costruzione. Ritirandosi dopo aver firmato il contratto l’Italia potrebbe essere condannata a pagare pesantissime penali (miliardi di euro) oltre a fare una figuraccia a livello europeo. Se ogni villaggio attraversato dovesse avere l'ultima parola, staremmo freschi. E' come se il Codice della strada dovesse avere il beneplacito preliminare di tutti gli automobilisti interessati. Oltretutto i cittadini non hanno già delegato una volta ogni cinque anni i loro rappresentanti? In democrazia liberale non è lecito riprendersi la delega in ogni momento o quando fa comodo. E poi trovare a chi giova realmente e chi ha il diritto d’interdizione non è facile. In democrazia liberale sono veri entrambi i princìpi: le libertà di pochi sono importanti come quelle di molti, ma l’interesse di pochi non può imporsi sull’interesse generale.
      Fastidi, rumore? Non tutti dicono che la ferrovia in progetto sarà sotterranea (in tunnel). Una volta in esercizio non si sentirà o vedrà nulla, o quasi, tranne i raccordi. Del resto, sul medesimo tratto oggi è già in funzione, ma all'aperto, rumorosissima e visibilissima, una linea ferroviaria tradizionale a doppio binario Italia-Francia. Di quale impatto paesaggistico permanente, dunque, si parla? Solo quello durante i lavori? Sembra di no, vista la perforazione di una montagna a bassa quota. Ma per completezza bisogna specificare che i lavori dureranno ben oltre 10 anni. Immaginate centinaia di grandi camion carichi di detriti che passano di continuo lungo la sola strada di fondovalle, per molti anni: polvere, rumore, inquinamento da gas di scarico. Per un treno che non servirà minimamente ai passeggeri locali. L’ambiente dei paesi sarà stravolto. I valligiani costretti a cambiare vita. Forse anche le loro case potranno deprezzarsi. In una democrazia liberale è doveroso fare sacrifici per il bene comune: ma è o non è lecito ai cittadini appurare se davvero stanno soffrendo per un bene comune, o invece per  la speculazione affaristica di pochissimi, oppure per qualcosa che non è neanche un bene perché è un pessimo investimento?
      Ma soprattutto preoccupa gli ambientalisti lo scavo in profondità di una grande montagna che, come già è accaduto con l’escavazione del Laboratorio dell’Istituto di fisica nucleare sotto il Gran Sasso, è capace da solo di distruggere il complesso equilibro idro-geologico, col rischio reale di depauperare d’acqua gli acquedotti locali, o deviare sorgenti e corsi d’acqua dell’intera valle.
treno_alta-velocita      E noi liberali? Di solito, liberali, repubblicani, radicali, sono per la scienza, per le novità tecnologiche, per l’aggiornamento. Niente remore conservatrici. Nell’Ottocento noi liberali eravamo per il “Progresso”, vedevamo tutto in anticipo sugli altri: avevamo davvero lo “sguardo lungo”. Anche i socialisti, per la verità, però dimenticando il rovescio della medaglia: l’attenuazione del fattore “libertà”. E il satirico Trilussa li sfotte in rima: “Quant’è amaro l’espresso al Caffè del Progresso!”
      E poi, dobbiamo ricordare Cavour, letteralmente fissato sulle ferrovie, che andava a studiare le prime locomotive in Inghilterra – dove, incredibile, c’erano città che non volevano il treno, salvo poi pentirsene amaramente dieci anni dopo – e che si adoperò in ogni modo per introdurle in Piemonte. Anche in Italia, allora, ci furono proteste. A Genova, la lobby dei carrettieri pose il veto, e pagò alcuni medici per dire che il treno era pericoloso per la vista umana, non abituata ad un movimento così veloce… Un altro liberale, dopo l’Unità d’Italia, lo Zanardelli, creò le Ferrovie dello Stato, eliminando i tanti monopoli locali parassitari, e con grandi vantaggi per i cittadini, sia di costi che di efficienza. D'accordo, altri tempi, ma resta la simpatia liberale per i treni. A cui si aggiunge la grande simpatia dell’ecologista della prima ora per le ferrovie e perfino per le navi, e l’antipatia viscerale per strade e autostrade.
      Ma a questo punto che deve pensare, che fa, un super ecologista liberale? Intanto segue il parere di esperti economisti specializzati. Dopo un suo anticonformistico articolo apparso sul giornale Il Fatto Quotidiano, Marco Ponti, docente di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano, è stato intervistato da Radio Radicale il 5 luglio. E all’intervistatore, che non nascondeva la sua simpatia per le ferrovie in generale e l’alta velocità in particolare, l’universitario ha confermato di essere contrario per motivi economici alla linea ad alta velocità che dovrebbe passare per la val di Susa, perché più che inutile sarebbe non conveniente, non prioritaria, efficace tutt’al più solo dopo 20 anni, costosissima, e sottrarrebbe all’Italia risorse finanziarie preziose, utili per altre priorità urgenti e impieghi sociali di cui l’Italia ha grande bisogno. Pochi sanno – ha detto – che la quota data dall’Europa sarebbe minima rispetto all’investimento globale. Anche 150 anni fa, ricorda un dettagliato e serio articolo dello studioso Virginio Bettini sul sito di urbanistica Eddyburg, nella val di Susa si fecero analoghi errori per ferrovie in pura perdita. L’esperienza di oggi, poi, ci dice che con tutto lo sconquasso ambientale che provocano le previsioni di spesa di giganteschi progetti del genere sono sempre sottostimate, e soprattutto – il che, detto tra di noi, dovrebbe interessare sia liberali che ecologisti – con prospettive di gestione in pura perdita, come ribadisce Luca Mercalli in un lucido appello. Insomma né lo Stato, in tempi di grave crisi economica, né i cittadini italiani, e non solo quelli della val di Susa, hanno alcun bisogno di questa opera mastodontica che dà molti fastidi e nessun vantaggio.
      In conclusione, la questione, come si vede, è troppo sfaccettata e complessa (scienza, tecnologia, economia, ecologia, libertà, etica, rapporti internazionali ecc.) per poterla affrontare solo dal punto di vista delle questioni di principio (“le Grandi Opere” a tutti i costi, o a nessun costo), e qualunque scelta faccia gli uni e gli altri, dal no deciso al sì deciso, resteranno sempre fuori diversi argomenti dissonanti.
      Gli uni – tanti – i giovani, i blogger, gli impegnati in politica, sicuri che la TAV sia oggi quasi l’unico male assoluto in Italia, almeno, stando alla singolare tenacia e durata della “campagna” di opinione, e all’eccessivo vigore delle polemiche, compresi gli atti di violenza preordinati in stile “guerriglia” (a proposito, chi ha chiamato i black-bloc dall’estero? Sono gli stessi protestatari “non-violenti” che dicono di interpretare la volontà dei pacifici valligiani?).
      Gli altri – pochi – in genere addetti ai lavori, uomini politici di Governo, affaristi del sottobosco politico-industriale delle commesse di Stato e relative mazzette, ma anche parecchi puri, favorevoli per “ideologia” industrialista o liberista, come molti liberali, repubblicani e radicali, sono sicuri che il livello industriale di un Paese si misuri con le grandi infrastrutture per poter competere con l’Europa (perché qui – è chiaro – non della val di Susa si tratta, ma del livello delle infrastrutture, il biglietto da visita dell’Italia, anzi, dell’Europa), qualunque sia il loro impatto col territorio e la Natura, che la tecnologia e i grandi lavori abbiano una loro intrinseca necessità, siano insomma il nuovo Moloch, che i soldi devono comunque “girare”, al limite anche a vuoto, anche se vanno sempre alle solite grandi imprese monopolistiche, per produrre altri soldi, insomma che il fare, qualunque cosa, sia sempre meglio del non fare.
      L’ideologia – perché di ideologia si tratta – è che sia possibile sulla Terra uno sviluppo infinito, inteso come mero accrescimento numerico, non qualitativo. Questo è un errore grossolano in un ambiente finito e molto delicato. E il Liberalismo non c’entra nulla, non dovrebbe entrarci, con questa pretenziosa concezione. Il liberale Livio Ghersi, opportunamente, ricorda che c’è un nesso di luogo e di argomento fra il tratto Lione-Torino della TAV, che dovrebbe bucare le Alpi e avere come prima fermata Torino, e il “futurologo” (ricordo io, termine allora in uso) torinese Aurelio Peccei (1908-1984).
      Peccei era dirigente della Fiat, quindi non poteva essere accusato di anti-industrialismo. Ebbene, fu nientemeno uno dei fondatori del movimento ecologico italiano ed europeo. Nel 1968, insieme con studiosi italiani e americani, fu uno dei creatori del Club of Rome, più noto all’estero che in Italia. Nel 1972 il Club di Roma fece uscire il rapporto rivoluzionario "I limiti dello sviluppo", realizzato in collaborazione col prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology). In quel libro, che ebbe vasta eco, si teorizzavano e provavano per la prima volta i concetti e le modalità dei limiti intrinseci dello sviluppo industriale, urbanistico ed economico. Bisognava, perciò, che l’industria, la politica, la stessa scienza economica, le scienze sociali, prendessero atto della necessità di un nuovo approccio alla politica economica: non era più possibile perseguire lo sviluppo economico come obiettivo fine a sé stesso, perché bisognava iniziare a fare seriamente i conti con “i limiti dello sviluppo”, cioè la limitata disponibilità delle risorse naturali.
      Un’ulteriore prova, tra tante, che sono stati non gli anti-liberali, gli anti-liberisti, gli anti-capitalisti, i “socialisti”, i “comunisti”, a pensare per primi all’ecologia e all’ecologismo, ma proprio i liberali.
      Ecco, alla luce di tutte queste contrastanti considerazioni, questo blog e il suo autore non ci stanno ad appiattirsi in modo banale su una delle due visioni estremistiche e preconfezionate che si fronteggiano sulla TAV in val di Susa. Anche a costo di essere sommersi da improperi.
      E’ indubbio che il buonsenso, il neu nimis, il mai troppo, che ci distingue, siano duramente colpiti dall’asprezza delle rispettive posizioni. Da una parte, certamente, meraviglia che per un treno si faccia una vera e propria guerriglia, anche dando per scontata la sua scarsa o nulla utilità economica, i soliti favori alle aziende amiche, la corruzione politico-industriale, le scarse ricadute sulla utilità reale del cittadino, sia della val di Susa, sia italiano in genere, e perfino europeo. Se quello che scandalizza i comitati valsusini è lo spreco di risorse e la non redditività dell’investimento (oddio, che siano diventati all’improvviso tutti “liberali”?), allora perché una simile aggressività non viene manifestata contro inefficienze più gravi, problemi molto più seri e mali diffusi? Per dirne una, sulla scarsa utilità economica degli impiegati pubblici voi vedreste lo stesso assembramento da "linea del Piave" che c'è in val di Susa? Come mai non ci si mobilita così duramente sulle altre Grandi Opere, o su temi ancora più devastanti e drammatici, come il traffico automobilistico? Insomma, è davvero tutto eccessivo, iperbolicamente eccessivo e strumentale. Gatta ci cova. E che cosa stia covando non è difficile capirlo: si tratta probabilmente di prove tecniche di un ribellismo localistico di stampo anarcoide, fenomeno già ben noto in Italia. E’ questo il dato preoccupante, oltre al fatto insopportabile che i valligiani si considerassero gli unici “proprietari” della valle, che fece propendere alcuni, per contrasto, a favore della TAV (v. una nostra nota del lontano 2005). Un errore uguale e contrario.
      Certo, viva il treno, come no, anzi, che si aprano nuove linee ferroviarie e si rimettano in funzione le tante linee antiche e secondarie ottusamente dismesse. Ma non solo in val di Susa, in tutta l’Italia. Non è possibile che come in Sud-America o nei Paesi arabi il grosso della nostra economia dei trasporti viaggi su strade e autostrade, oltretutto con inquinamento, costi e pericoli altissimi per i comuni cittadini. Ma ostinarsi, in una Italia in cui non si riesce a far viaggiare in orario i treni normali, nei quali perfino i gabinetti e gli impianti elettrici spesso non funzionano, a pretendere 70 chilometri di “eccellenza” internazionale a carissimo prezzo, ci sembra da stolti. O da furbi.
      Del resto, la linea ferroviaria Torino-Lione c’è già, come ha ricordato il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano. Solo che è poco richiesta, poco frequentata, sia nel traffico merci che passeggeri (questi ultimi, solo due treni al giorno). In totale circa 200 treni, e non certo sempre pieni, anzi, semivuoti. Vero è che una volta realizzata l'intera linea Lione-Ucraina attirerebbe ben altri passeggeri e merci di quelli della linea attuale Parigi-Lione.
      Ma intanto, o in alternativa, perché non utilizzarla meglio e di più? L’idea di un nuovo devastante e costosissimo traforo in un’area naturalistica bellissima per dare sbocco solo ad una linea ferroviaria tra 20 anni, mentre già oggi non si prevede nessun aumento nei traffici merci tra Italia e Francia, nessun allargamento del mercato, spaventa sia per l'ambiente, sia per la stessa offerta di mercato che sembra fondata su previsioni troppo ottimistiche, giusto per far lavorare le imprese. Con la certezza, anzi, di non poter mai ammortizzare in futuro quei milioni di euro (italiani, perché l’Europa ci metterà solo una piccola parte) di spesa, e senza sapere oltretutto quello che il mercato e la tecnologia dei trasporti richiederanno nel 2030 (potremmo scoprire che è del tutto inutile, sovra o sotto-dimensionata), a rischio di nutrire solo le ditte monopolistiche amiche e il sottobosco dei profittatori affaristi che vivono come parassiti della politica, è una argomentazione plurima ecologica-economica-etica capace di colpire duramente sia l’ecologista che il liberale.
      “In tempi di crisi economica – ha aggiunto Livio Ghersi – qualcuno osserva timidamente che si potrebbero recuperare importanti risorse tagliando proprio gli stanziamenti per quest'opera. Lasciando tranquilli gli abitanti della Valle. Preservando una bellezza del Creato. Non si potrà accorciare di due ore la durata della percorrenza del tragitto ferroviario Torino-Parigi? Pazienza, ce ne faremo una ragione. Potremo sempre prendere un aereo, se proprio abbiamo fretta. Che poi l'alta velocità serva al trasporto merci è una favola che non sta in piedi. E' un business, in primo luogo per i politici che la vogliono, per i progettisti e per i tecnici che devono definirla, per le grandi imprese che devono realizzarla. L'utilità generale è tutta da dimostrare”.
 
CONCLUSIONE. Niente ideologia anticapitalistica, quindi, o inopportune “questioni di principio” localistiche (del tipo “non nel mio territorio”, not in my backyard), che anzi osteggiamo come segno di ottuso e provinciale individualismo egoistico. 
      E’ che, da liberali di buonsenso, dunque razionali, perciò preoccupati di tutti gli aspetti delle questioni, e quindi anche dell’ambiente, ci sembra che si debba cambiare mentalità. Non siamo più all’Ottocento, quando per ingenuità provinciale di neofiti della tecnologia e per ignoranza scientifica (giustificata) si pensava che le Grandi Opere fossero la quintessenza del Progresso, la dimostrazione fisica del Potere dell’Uomo sulla Natura. Nel frattempo la scienza ha fatto enormi passi in avanti, e ha scoperto che “grande non è sempre il meglio” e che la Terra è piccola e sensibile ad ogni azione eccessiva dell’uomo.
      Non è più necessario, perciò, anzi è dannoso, costruire opere faraoniche ed esibizionistiche, pour épater les bourgeois, insomma quasi meravigliare il ragioniere e la casalinga che votano, o per consentire di farsi pubblicità ad alcune imprese amiche.
      Al contrario, è più importante fare opere piccole e sparse sul territorio, compresa la buona manutenzione di quelle esistenti (a cui non pensa mai nessuno, perché non portano voti e non muovono capitali…) che davvero possano migliorare la qualità della vita dei cittadini. Giacché le opere non vanno pensate per fare favori ai pochi imprenditori (ecco il vizio di tanti finto-liberali), o come pretesto per farsi finanziare dall’industria (legali diritti di concessione o illegali “mazzette”), ma per assecondare le vere necessità dei tanti cittadini-utenti. E come hanno detto i grandi liberali già nel passato, sempre con l’occhio attento al primo dei diritti di libertà, quello di vivere, e vivere bene. Dunque, la difesa del paesaggio, grande vera risorsa dell’Italia, la tutela degli alberi e dei fiumi, la salvaguardia di tutte quelle risorse naturali (pensiamo alle sorgenti che verrebbero distrutte dai tunnel) di cui siamo dotati, e che dobbiamo essere in grado di proteggere, per assicurare un futuro a tutti.
      Perciò, considerato quanto detto sopra, incrociati i tanti dati, pur con la duplice sviscerata simpatia verso il treno che abbiamo in quanto liberali ed ecologisti, il buonsenso stesso, appunto, sia economico che ambientale, ci spinge molto più dalla parte del no all’ennesima inutile e costosa Grande Opera, che dalla parte del sì.

[Ho volutamente lasciato intatte le considerazioni contrastanti del mio pensiero, per accompagnare il lettore in un cammino logico al termine del quale deve essere lui stesso a decidere quale idea farsi della faccenda. Qui ho raccolto le varie argomentazioni che io posso opporre vedendo il problema dai differenti punti di vista. Il tifo unidirezionale e settario da bar Sport non ci appartiene. Ma, tanti sono gli aspetti diversi, che è difficile prendere posizione, senza riserve, sull’argomento. Ed è sempre bene pragmaticamente e laicamente mostrare come nascono o si sviluppano le idee, di contraddizione in approssimazione, anziché darle come ipse dixit].

IMMAGINI. 1. La mitica, veloce locomotiva a vapore 691, ideata per treni passeggeri (si notino le tre enormi ruote motrici di circa 2 metri di diametro), sviluppava una velocità massima pari o superiore a 130 km all’ora già negli anni 30. Una locomotiva di questo tipo, la 601.011, tra Vicenza e Verona (linea Milano-Venezia) stabilì il primato italiano di velocità per locomotive a vapore, con 150 km/h. Una performance commerciale non sempre raggiunta oggi: ne sanno qualcosa i pendolari nel medesimo tratto ferroviario... Nonostante che andasse a carbone, dividendo l’inquinamento prodotto per il gran numero di passeggeri oggi scopriremmo che l’emissione di CO2 pro-capite doveva essere modesta. 2. Un modernissimo treno ad alta velocità con ridotto attrito sui binari ideato dall’Università dell’Aquila.

AGGIORNATO IL 21 MAGGIO 2018

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