19 dicembre 2011

 

Faggi di 500 anni sull’Appennino. E il freddo fa bene agli alberi: li spinge alla longevità.

Grande esemplare faggio secolare Lucretili Che molti vecchi alberi delle nostre foreste più antiche avessero visto il passaggio delle truppe napoleoniche, nel primo 800, e anche la fuga dei briganti verso qualche grotta, e già nel ‘700, e forse ancor prima, l’andirivieni sulle sassose mulattiere delle carovane di muli che ogni giorno passavano le selle montane, da valle a valle, carichi di acciughe sotto sale, aringhe, olio e verdure conservate, e al ritorno di lardo e strutto di maiale, salsicce, formaggio e castagne, era risaputo, e personalmente usavo ripetere questi particolari coloriti ad ogni escursione in cui ci si imbatteva in una vecchia mulattiera.

Ma era poco credibile che nel Parco dei Lucretili, una bellissima e misteriosa zona selvaggia vicino a Tivoli (solo 30 km in linea d’aria da Roma), che ha anfratti così complicati che molti vi si perdono non appena escono dal sentiero, si fossero conservati i faggi che videro nel Seicento le escursioni con cui Federico Cesi e, sembra, anche il suo amico Galileo Galilei, i primi Lincei (la lince doveva essere di casa nelle foreste attorno ai pratoni del monte Gennaro, e così dette nome nel 1603 alla Accademia dei Lincei), partendo da S.Polo dei Cavalieri andavano ad “erborizzare”, cioè a cercare erbe e fiori da identificare, classificare e conservare in erbari, secondo le nuove tendenze scientifiche.

E invece è altamente plausibile. Il bellissimo faggio (Fagus sylvatica: non ho mai capito perché il primo classificatore, Linneo, non l’ha denominato più correttamente sylvestris…), certamente l’albero simbolo della Natura spontanea in Italia peninsulare, che copre gran parte dei pendii montani degli Appennini, fornendo d’estate un’ombra così fitta da rendere difficile in alcuni casi la lettura di un giornale, è stato studiato da scienziati dendrologi (dendron è il nome greco antico di pianta) che hanno confermato che può arrivare fino a 400-500 anni di vita. Ma, ecco la novità, il caldo ne abbrevia la vita, mentre il freddo l’allunga. Perciò quei faggi contorti e più piccoli verso i 1800 metri di altitudine – i limite per le piante superiori – che durante le escursioni, con drammatizzazione eccessiva (ora me ne rendo conto), descrivo “in evidenti difficoltà, a causa del vento, delle rigide temperature o dell’escursione termica giorno-notte”, sollevando moti di compassione tra le fanciulle presenti, in realtà non dico che se la godano allegramente, ma pur rattrappiti come sono, spesso più legno che foglie, arrivano proprio grazie a quelle difficoltà a diversi secoli di vita. Nel Parco d’Abruzzo, in alcuni valloni solitari, sono stati censiti diversi faggi di 500 anni. E altro che Federico Cesi e Galileo, Cavour e Napoleone: quelli avrebbero potuto vedere perfino Leonardo, Raffaello e Michelangelo.

Insomma, che gli alberi più grandi non fossero anche i più vecchi era noto tra gli studiosi e gli esperti, anche se la gente comune, perfino quelli che frequentano boschi e montagne, si ostina ancora a crederlo. Ma che il freddo facesse bene agli alberi, tanto da aiutarli ad essere più longevi, non era noto, o almeno non era stato ancora provato.

Ora c’è una bella ricerca italiana condotta dalle Alpi all’Appennino che lo dimostra con ricchezza di dati e molte novità anche per gli studiosi, come riferisce Massimo Spampani sul Corriere nella pagina dell’ambiente.
NICO VALERIO

Inizio di fitta faggeta in periodo estivo 

Se fa più caldo la longevità diminuisce di 23 anni ogni grado in più

GLI ALBERI PIU’ VECCHI SONO QUELLI CHE VIVONO IN CONDIZIONI PIU’ DURE

I più antichi non sono quelli più grandi, ma quelli che vivono in ambienti difficili. Ora una ricerca lo ha dimostrato

“Una ricerca tutta italiana ha dimostrato per la prima volta che gli alberi più vecchi non solo continuano a crescere anche in età avanzata (e la produzione di legno, foglie, radici non declina con l’età una volta arrivati alla maturità, come si pensava), ma anche che la loro veneranda età è stata raggiunta paradossalmente perché hanno incontrato difficoltà ambientali. Come a dire: se la vita per gli alberi è troppo facile ha più probabilità di essere anche più breve. Era noto da tempo che gli alberi più antichi non sono quelli più grandi, ma quelli che vivono in condizioni difficili, però mancava fino a oggi una ricerca che dimostrasse in modo sistematico come nel mondo delle foreste la crescita e la longevità siano inversamente correlate al variare di un importante fattore ambientale quale la temperatura: più è alta meno vivono.

Grande faggio in inverno Pratone m.Gennaro e Donatella Piccioli (picc.blu) FREDDO. In particolare lo studio guidato da Gianluca Piovesan, professore di silvicoltura dell’Università della Tuscia, insieme ad Alfredo Di Filippo e Maurizio Maugeri, climatologo dell’Università di Milano, oltre ad altri ricercatori, è basato su numerose faggete vetuste distribuite sia sulle Alpi che sull’Appennino. I faggi più longevi infatti (di circa 400 anni sulle Alpi e di oltre 500 sull’Appennino) vivono in aree remote di alta montagna (per esempio a Lateis sulle Alpi Carniche e a Coppo del Morto nel Parco d’Abruzzo). La ricerca ha evidenziato che per ogni grado di aumento della temperatura, la longevità diminuisce di 23 anni, per cui sull’Appennino nella fascia bioclimatica delle faggete, passando da 900 a 1.800 metri di quota (dove fa più freddo) la longevità raddoppia: da circa 200 anni a 400-450 anni. «Se ci riferiamo ai cambiamenti climatici degli ultimi decenni, l’impatto ha sfaccettature diverse», spiega Piovesan. «Infatti sulle Alpi il riscaldamento sta producendo una accelerazione di crescita che si tradurrà in una minore longevità. Sull’Appennino invece, dove piove meno che sulle Alpi, entrano in gioco anche gli stress idrici che potrebbero portare a una morte più precoce degli alberi vetusti».

IN CRESCITA ANCHE DA VECCHI. Questo studio ha inoltre evidenziato che gli alberi più vecchi si sviluppano incrementando la crescita per quasi tutta la vita e non seguendo invece il consueto modello sigmoidale per cui dopo la maturità l’incremento di biomassa dovrebbe declinare. Recentemente altri studiosi americani hanno dimostrato le stesse relazioni di questa «nuova legge» in alberi vetusti di quercia decidua, tsuga e nyssa (Nyssa selvatica) che vivono nelle foreste dell’est degli Usa. È questo un primo punto di partenza poiché ora gli scienziati vogliono capire se l’effetto della temperatura sulla longevità sia da collegare al metabolismo, ossia se un rallentamento del metabolismo allunghi la vita come sembra essere il caso di tutti gli organismi viventi, o se invece nel caso degli alberi vi sia anche un importante ruolo dei fattori esterni, per cui alberi che si accrescono più velocemente risultano più suscettibili a fattori di disturbo ambientale, quali il vento, e quindi vivano meno. Più in generale la rete di faggete vetuste europee potrà divenire un modello per comprendere a scala continentale l’impatto dell’uso delle risorse naturali da parte dell’uomo anche in relazione ai cambiamenti climatici”.

IMMAGINI. 1.Un faggio plurisecolare del parco regionale dei monti Lucretili (Roma), in veste invernale. 2. Il fronte di un’estesa faggeta dell’Appennino centrale, in periodo estivo. Si notino le due caratteristiche più appariscenti del faggio e delle faggete in periodo estivo: l’ombra impenetrabile e la rigorosa equidistanza (che ricorda la regolarità di una potatura) dei primi rami dal terreno, quale che sia la sua inclinazione. 3. Il primo maestoso faggio (qui in veste invernale) che si incontra provenendo dalla mulattiera nota come Scarpellata, all’inizio del Pratone del monte Gennaro (Parco dei Monti Lucretili).

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02 dicembre 2011

 

Imposte “ambientali”? Ma solo l’1 per cento del gettito va a tutela dell’ambiente

Tassa verde (vignetta stilizzata) Quante e quali sono le imposte che gravano in qualche modo su materie di ambito ambientale? Non sono poche, se calcoliamo carburanti, energia, rifiuti, veicoli a motore, pesticidi e altre sostanze inquinanti.

“Secondo la recente elaborazione realizzata dalla CGIA di Mestre, solo l’1,1% delle imposte ambientali pagate dai cittadini e dalle imprese italiane all’Erario e agli Enti locali è destinato alla protezione dell’ambiente.

Il restante 98,9%, purtroppo,  va a coprire altre voci di spesa. Infatti, a fronte di 41,29 miliardi di euro di gettito incassati  nel 2009 (ultimo dato disponibile) dall’applicazione delle cosiddette imposte “ecologiche” sull’ energia, sui trasporti e sulle attività  inquinanti, solo 459 milioni di euro  vanno a finanziare le spese per la protezione ambientale.

Insomma, tutta quella sequenza di imposte spesso sconosciute che paghiamo quando facciamo il pieno alla nostra autovettura, quando paghiamo la bolletta della luce o del gas/metano, il bollo dell’auto o l’assicurazione della nostra auto non vanno  a sostenere le attività di salvaguardia ambientale per le quali sono state introdotte.

Imposte ambientali in Italia, non utilizzate per l'ambiente (CGIA Mestre 2011)“Questa anomalia tutta italiana – commenta il segretario della CGIA di Mestre Giuseppe Bortolussi – è l’ennesima dimostrazione che il nostro sistema fiscale va completamente  rivisto. In queste settimane abbiamo assistito a vere e proprie catastrofi ambientali in parte causate dalla mancanza di attività manutentive e di messa in sicurezza del nostro territorio. Se a fronte di poco più di 41 miliardi di euro che vengono incassati ogni anno, il 99% finisce a coprire altre voci di spesa, non possiamo più denunciare che questi disastri avvengono anche perché non ci sono le risorse finanziarie disponibili per la tutela del nostro territorio. I soldi ci sono, peccato che ormai da quasi un ventennio finiscono altrove. Con la beffa che ogni qual volta subiamo un’alluvione ci ritroviamo a subire l’ennesimo aumento delle accise sulla benzina od una nuova tassa di scopo”.

La CGIA sottolinea che la selva di tasse ed imposte ambientali che grava sugli italiani è lunghissima. I tre grandi capitoli su cui insistono le imposte “verdi” sono: energia, trasporti ed inquinamento.

Le imposte sull’energia sono:

Sovrimposta di confine sul GPL
Sovrimposta di confine sugli oli minerali
Imposta sugli oli minerali e derivati
Imposta sui gas incondensabili
Imposta addizionale sull’energia elettrica di comuni e province
Imposta sull’energia elettrica
Imposta sul gas metano
Imposta consumi di carbone

Le imposte sui trasporti sono:

Pubblico registro automobilistico (PRA)
Imposta sulle assicurazioni Rc auto
Tasse automobilistiche a carico delle imprese
Tasse automobilistiche a carico delle famiglie

Le imposte sulle attività inquinanti

Tributo speciale discarica
Tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di zolfo
Tributo provinciale per la tutela ambientale
Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili
Contributo sui prodotti fitosanitari e pesticidi pericolosi

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