13 giugno 2008

 

Vacca: Ma i cicli dimostrano che la Terra non ha la febbre, e l’Uomo c’entra poco

Riscaldamento (o raffreddamento) della Terra, emissione di anidride carbonica, cambiamento del clima e alternanza delle stagioni, uragani, siccità, scioglimento dei ghiacciai e fenomeni meteorologici d'ogni tipo, sono spesso attribuiti alle attività umane. Anche perché l'Uomo ha la "coscienza sporca", sapendo bene da millenni che sta facendo cose sporche dappertutto. Così, possiamo dire, è antropocentrico perfino nella diagnosi: attribuisce a se stesso tutto il bene, ma anche tutto il male del Mondo. E' vero, scientificamente? Non è ancora chiaro. Come i lettori sanno, Ecologia Liberale è razionalmente neutrale su questo punto, perché è programmaticamente aliena da ogni "scelta ideologica" sia in un senso, sia in un altro. Non indulge né al catastrofismo e all'allarmismo giornalistico o pseudo-verde, né allo speculare ideologico revisionismo negazionista. Registra solo interventi che mostrino, almeno formalmente, di tener conto del dibattito scientifico. Oggi ospitiamo un articolo anticonformistico del futurologo e divulgatore scientifico, ing. Vacca, che lui stesso ha avuto la cortesia di inviarci dopo che è stato pubblicato su Nova-Sole24ore di ieri, 12 giugno (NV).
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"Un conduttore di RaiUno dice: "E’ Giugno la temperatura dell’Adamello è di 8 gradi. Sintomo grave?" Il sedicente esperto risponde: "Sì, preoccupante .." e ignora che in ogni monte ci sono molte temperature variabili nel tempo: è inane considerarne una senza confronti fra serie storiche e fra tanti punti di misura. Così i mass media mettono paura al pubblico esortandolo a curare la febbre della terra causata, dicono, dall’uomo che brucia carbone e petrolio. Studio da decenni i lavori degli esperti veri e sono convinto che il clima attuale è caldo a causa di cicli naturali, non di attività umane. Le misure proposte per raffreddarlo avrebbero effetto simile alle danze dei selvaggi per invocare la pioggia.
Il clima terrestre è fatto di processi complessi che non hanno spiegazioni semplici e deterministiche. Per averne un’idea, va letto l’articolo (completo, professionale) di Georgiadis T. e Mariani, L., "Clima e cambiamento climatico", Riv.Ital.Agrometeorologia 4-18 (1) 2006.
Qui presento solo 6 fatti misurati e documentati che dimostrano come le variazioni del clima seguano cicli prevedibili, indipendenti dall’attività umana. Su questi fatti indiscussi (e poco noti ai non esperti) baso le mie convinzioni (per versione più dettagliata: Vacca, R. "Riscaldamento globale, effetto serra", su Scienza & Tecnica, feb.2008).
1. Le ere glaciali e interglaciali si susseguono con un periodo di 100.000 anni causato da variazioni della forma dell’orbita e dell’inclinazione dell’asse terrestre. Lo calcolò Milankovitch nel 1941: i suoi risultati sono confermati dalle analisi sui ghiacci di Antartide e Groenlandia per gli ultimi 600.000 anni. Ora siamo in un’era interglaciale iniziata 20.000 anni fa, quando su Europa e America del Nord c’era uno strato di 2 kilometri di ghiaccio. Poi la temperatura crebbe di 8°C (in 18.000 anni per le cause dette). Alla fine di ogni era glaciale l’anidride carbonica atmosferica cresce gradualmente secoli dopo l’aumento di temperatura: ne è effetto non causa.
2. Ai cicli di 100.000 anni se ne sovrappone un altro di circa 1000 anni. Mille anni fa la Groenlandia era verde. Raffreddò nel XIV secolo con la mini era glaciale in cui il Tamigi gelava ogni anno. Il riscaldamento iniziò nel XVII secolo non con l’era industriale. E’ il sole a causare questo ciclo: il campo magnetico solare più intenso tiene lontani i raggi cosmici, si condensano meno nuvole a bassa quota e fa più caldo.
3. Dal 1940 al 1975 la temperatura diminuì di circa mezzo grado, anche se l’anidride carbonica cresceva. I 2 fenomeni sono correlati, e non sappiamo bene come. Oggi la temperatura diminuisce in gran parte dell’Antartide.
4. I flussi delle correnti marine e atmosferiche ogni anno portano dall’equatore verso i poli una energia di 130.000 ExaJoule. Il totale dell’energia contenuta in tutti i giacimenti di petrolio, carbone e metano è di 16.000 ExaJoule (8 volte di meno); l’energia totale consumata nel mondo è di 500 EJ (260 volte di meno): non può incidere in modo sensibile rispetto a quella naturale.
5. L’anidride carbonica presente nell’aria contiene 800.000 miliardi di tonnellate (Gt) di carbonio, nella biosfera ce ne sono 2.000 Gt, nei mari 37.000 Gt con effetto predominante. La CO2 prodotta ogni anno bruciando gas, petrolio e carbone contiene 5,5 Gt : meno dell’1% di quella contenuta nell’atmosfera e più della metà è assorbita dal mare e dai suoli. L’effetto serra prodotto da vapore acqueo, ozono, metano e nubi è circa l’80% del totale e solo il 14% è prodotto da CO2.
6. Il clima terrestre non è mai stato stabile ed equilibrato. Non ha senso temere che le piccole variazioni attuali portino tragiche estinzioni di specie biologiche (come ripetono certi giornalisti poco informati). Ci sono stati 5 drammatici eventi che hanno portato all’estinzione di specie. Il più noto (65 milioni di anni fa) fece sparire i dinosauri. Il più tragico, nel Permiano (248 milioni di anni fa) distrusse l’85% delle specie viventi in mare e in terra.
Questi sei fatti fanno ben capire che l’attività umana in genere influisce sul clima in misura trascurabile. Fanno eccezione la deforestazione e la gestione dei suoli dai quali dipendono l’assetto idro-geologico e il microclima di aree anche vaste. Gli scienziati che concordano con questa visione non pretendono di analizzare, né prevedere il clima con precisione spinta. Sanno bene che gli stessi dati di base sono troppo scarsi: solo il 18% della superficie della Terra è monitorato in modo regolare e i punti di misura sono proliferati a caso non sono stati scelti per ottimizzare la conoscenza globale dei fenomeni. Gli scienziati catastrofisti, invece, prestano fede ai loro modelli matematici. Questi, ben costruiti, non compensano l’incertezza sulle misure, dovuta a errori di calibrazione, misura e analisi statistica, già individuati, ma non corretti. Non tengono conto della variabilità dei flussi circolatori atmosferici e marini, né di fenomeni locali che si cumulano a produrre effetti globali e non sono visti da modelli che hanno una definizione spaziale di molti kilometri. Non rispecchiano i processi non lineari e di feedback (a cui i matematici danno il nome di caos deterministico) che producono eventi imprevedibili.
Freeman Dyson, uno dei maggiori fisici viventi, scrive "I modelli matematici del clima descrivono bene i movimenti fluidi dell’atmosfera e degli oceani in base alle equazioni della dinamica. Descrivono male nuvole, polvere, chimica e biologia di campi, fattorie, foreste. Non descrivono il mondo reale che è pieno di cose che non capiamo."
E’ giusto continuare a produrre modelli matematici sofisticati, accurati, basati su dati sicuri, ma i modelli non sono identici alla realtà e non permettono di calcolare l’avvenire di sistemi molto complessi. Sbaglia chi deduce da essi profezie di catastrofi.
ROBERTO VACCA

11 giugno 2008

 

Le "economie" ottuse del Governo: comincia dalle briciole e dalla Natura

Vorrà pur dire qualcosa se la nuova classe politica italiana è quella sorda alla cultura e alla Natura simboleggiata dagli avvocaticchi del Sud e dai ragiunatt del Nord. Corta visuale e ottusità sono i loro vizi fondamentali: non si rendono conto che l'ambiente non è una "cosa dei Verdi", degli odiati, non senza fondamento, finti "ecologisti", ma è di tutti. Anche loro devono vivere nella Natura, e infatti come protestano da populisti campanilisti quando qualcosa non va nel loro paesello! Una classe parlamentare che ha meno laureati rispetto al primo Parlamento italiano e anche ad altri Parlamenti europei, è composta di galoppini elettorali ignoranti come cocuzze. Questa è qualunquistica anti-politica? No, sono loro che fanno anti-politica con la loro presenza, specie nel Centro-Destra. Basta sentirli quando parlano in Parlamento attraverso Radio Radicale. E non tanto per l'incerta sintassi e il forte accento regionale, comunque sempre segno di mancanza di autocontrollo intellettuale, ma per i concettini elementari, l'imprecisione, la mancanza del gusto della perfezione e di modelli alti. Per loro, che quasi sempre non sanno fare bene nessun lavoro, quello parlamentare è un lavoro come un altro, superpagato, privilegiato e parassitario. E i risultati si vedono. Ma diamo la parola all'amico Carlo Consiglio, dal suo blog (NV)
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."È un terremoto quello causato dall'emendamento presentato dal Governo al decreto sull'emergenza rifiuti, in discussione alla Camera, che prevede la nascita dell'IRPA (Istituto per la ricerca e la protezione ambientale): agenzia che acquisisce le funzioni e il personale di tre centri di politica e ricerca sull'ambiente, avrebbe infatti competenze enormi, che vanno dalla tutela del mare, alla sicurezza nucleare. La nuova agenzia dovrebbe nascere dalla fusione dell'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente), l'INFS (impropriamente chiamato Istituto nazionale per la fauna selvatica) e l'ICRAM (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare).
Delle tre agenzie la più grande è la prima, nata nel 1999, che conta 700 addetti solo nella sede centrale di Roma che coordinano un personale di migliaia di unità sparse nel territorio, con competenze che vanno dalla tutela dell'ambiente alla difesa del suolo. L'INFS, istituto commissariato dall' allora ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio lo scorso ottobre e fondato nel 1933, ha la propria sede a Ozzano nell'Emilia, ha un personale di circa 80 unità e si occupa del settore della conservazione e gestione della fauna. L'ICRAM, infine, nata nel 1982, si occupa di ricerche sull'ambiente marino ma anche di gestione di emergenze in mare, ha la sua sede centrale a Roma e due strutture tecnico-scientifiche decentrate a Palermo e a Chioggia, e un personale complessivo di circa 350 addetti.
Il provvedimento suscita gravi preoccupazioni. Anzitutto decisioni così gravi non dovrebbero essere prese in appendice ad un decreto sui rifiuti, ma necessiterebbero di un provvedimento a sé stante. Inoltre sembra che il Governo sia mosso dal desiderio di risparmiare denaro, proprio su una materia così delicata come l'ambiente. Infine l'INFS, il più piccolo dei tre enti, ma di vitale importanza per la fauna perché dà i pareri sui calendari venatori e sulle altre delibere regionali sulla fauna stessa, rischia di restare soffocato in mezzo a due colossi.
CARLO CONSIGLIO
http://carloconsi.blogspot.com/

07 giugno 2008

 

Nucleare in Italia: perché no? Ma vale davvero la pena? Le ragioni dei perplessi

Nei giorni scorsi, il piccolo incidente ad una valvola dell'impianto di raffreddamento della centrale nucleare di Krsko (Slovenia), distante appena 130 km dall'Italia, ha fatto provare un brivido a tutti noi. L'Italia del nord è contornata da centrali nucleari straniere. Le centrali in Europa sono quasi 200. E molte sono appena dietro le Alpi. Per lo più tra Italia e Slovenia la barriera orografica – per la protezione che può dare – è quasi inesistente. A Krsko il liquido refrigerante disperso si è riversato nel contenitore di riserva (che non esisteva nelle vecchie centrali, tipo Cernobyl), e perciò non c'è stato alcun aumento di radioattività nell'ambiente, sia in Slovenia, sia in Italia e nel resto dell’Europa. I tecnici sono prontamente intervenuti. Le autorità preposte in Europa hanno monitorato in tempo reale. C’è stato solo un preoccupante ritardo di due ore nella comunicazione, ha fatto notare Carlo Rubbia, fisico e premio Nobel, bastian contrario. E meno male che abbiamo Rubbia.
Insomma, in Italia, centrali nucleari sì o no?
Dobbiamo riconoscerlo, da ex anti-nuclearisti severi negli anni 80 e oggi non aprioristicamente contrari, ma perplessi e pragmatici: nessun comparto industriale è oggi così protetto come il nucleare. Tragedie prodotte da ignoranza, leggerezza e incompetenza tecnica, forse anche da cinica indifferenza per le sorti dei lavoratori e dell’ambiante, come quelle dell’industria chimica e metallurgica, p.es., alla Bophal (India), all’Acna (Cengio, Italia), alla Tyessen (Italia-Germania), e ovviamente a Cernobyl (Unione Sovietica), oggi sarebbero impensabili nel nucleare moderno.
Rischio modesto non vuol dire assenza di rischi. Del resto la "sicurezza totale" non possiamo ragionevolmente pretenderla solo dall’industria nucleare. Che, sia chiaro, come tutte le attività umane, industriali o no, ha dei rischi. L'ex ministro Ferrero sostiene che la sismicità e la densità antropica renderebbero impossibile anche una sola centrale nucleare in Italia, secondo le norme USA. Il fatto nuovo è che il Governo Berlusconi, innovando rispetto agli ultimi 30 anni, ha detto sì al nucleare. E la gran parte del Parlamento è favorevole. Ma sembra quasi una scelta ideologica, uguale e contraria a quella negativa di 20 anni fa. Anzi, solo una petizione di principio. Perché poi, all’atto pratico, la scelta è molto più complessa e laboriosa.
Realisticamente il ministro Scajola ha annunciato che la prima pietra di quella che potrebbe essere la prima centrale italiana dopo Caorso e Latina verrà posta più o meno nel lontano 2012. Il che vuol dire che la centrale sarebbe operante a pieno regime verso il 2020. E chissà quale sarà il Governo dell'epoca, e come la penserà al riguardo. E come la penseranno i sindaci e i comitati locali (e a proposito, saranno ancora vivi Capanna, Grillo e i "capi-popolo" napoletani e meridionali in generale?). Certo, in un'Italia in cui sindaci e cittadinanza del Sud impediscono lo smaltimento di banali rifiuti biologici da loro stessi prodotti in eccesso, per via del loro consumismo sottoculturale, appare poco credibile il consenso allo stoccaggio in appositi siti geologici stabili dei rifiuti nucleari, vari metri cubici all'anno. Tutti problemi, come si vede, non facili da risolvere. Ma l'ostacolo vero è un altro: i costi altissimi dell'installazione e delle materie prime, che anche se li ripartiamo in 20 anni, grosso modo l’ammortamento medio di una centrale, potrebbero non rendere l'energia nucleare conveniente come oggi si dice. Paradossalmente, oggi l'ultimo dei problemi sembra quello del rischio. Lo stesso mini-incidente di Krsko ha fatto ricordare alla gente quanto poco si sia parlato negli ultimni 30 anni di incidenti nucleari. Mentre numerosi incidenti riguardanti altre fonti energetiche si sono verificati. Ripetiamo: ogni attività umana pone dei rischi, spesso elevati, e oggi sembra che la tecnologia evoluta e l'attenzione speciale attorno alle centrali nucleari di personale super-specializzato abbiano abbassato molto i rischi. Sono lontani i tempi delle gravi perdite radioattive dopo l'incidente di Three Miles Island (Stati Uniti) e soprattutto il devastante incidente di Cernobyl (Unione Sovietica) del 1986, quando i controllori, tra una partita a carte e l'altra, si misero a smanettare escludendo alcuni "fastidiosi" allarmi... D'accordo, però, noi che eravamo contrari al nucleare negli anni 80, a causa dell'alto rischio di quella tecnologia arretrata, e soprattutto allarmati da silenzi e reticenze dei tecnici dell'Enel e dall'incomunicabilità dei Governi di allora (e questi erano i motivi per cui erano contrari anche Radicali e Liberali), non vorremmo oggi ritornare ad esser contrari per altri motivi, cioè economici e di opportunità. D'accordo, non farà più nascere bambini a due teste, ma almeno è utile e disponibile davvero questa benedetta energia nucleare? Subito o fra vent'anni? E quanto ci costerà?
E nel frattempo? Possibile che nessuno (Destra, Sinistra, neanche i Verdi e gli amici Radicali) ricordi che una fonte energetica pulita e addirittura totalmente gratuita esiste, e non è né il sole né il vento (i cui impianti costano e nel secondo caso devastano il paesaggio), ma la razionalizzazione dei consumi e il risparmio? Si è calcolato che a parità di tenore di vita, senza sostanziali regressioni tecnologiche o di confort, un normale risparmio "della buona madre di famiglia", ma anche commerciale e industriale, portrebbe ad oltre il 20 per cento dell’energia disponibile in più. Quanto ci darebbero a costo altissimo e tra almeno 12 anni diverse centrali nucleari..

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06 giugno 2008

 

Nucleare in Europa. Le ragioni del "sì, ma”: tecnologia, scorie e progetto Iter

Centrali nucleari, sì o no? La crisi energetica è evidente anche ai meno esperti, i rischi del nucleare si sono abbassati di molto grazie alla migliore tecnologia e ai ferrei controlli (ne è una dimostrazione proprio il mini-incidente della centrale slovena di Krsko, a 130 km dall'Italia, dotata di doppio guscio di protezione, altro che Cernobyl). I costi d'installazione però sono aumentati, tanto da far dubitare della sua economicità, i tempi di messa in opera sono sempre molto lunghi (anche se un po' meno di prima), e permangono i problemi geologici, tecnologici e psicologici di massa connessi alla conservazione delle scorie. Il Governo Berlusconi si dice pronto alla riconversione nucleare, ma temiamo che lo faccia per rivalsa, per una "scelta ideologica" uguale e contraria alla nostra di antinuclearisti negli anni 80. Infatti, poi all'atto pratico il ministro Scajola ha previsto la prima pietra del primo impianto solo nel 2012. E quindi la messa in funzione sarà verso il 2020. Campa cavallo, ché l'erba cresce. Insomma, tutto lascia ritenere che oggi, paradossalmente, la decisione sul nucleare sia più difficile di 20 anni fa, quando il "male" almeno era evidente. Oggi, in tempi di minori rischi (l'unico ostacolo vero è il "rischio percepito" dalle popolazioni locali), è il "bene", i vantaggi concreti per i cittadini, e non solo per gli imprenditori del settore, cioè la possibilità di risposta rapida alla crisi energetica, i costi e l'economicità degli impianti, ad essere in discussione (Nico Valerio)
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Sul tema apriamo il dibattito ospitando un'interessante intervista di Achille Della Ragione all'ing. Portone, un tecnico italiano di valore che lavora in Spagna al progetto nucleare europeo Iter e che in fondo ci illustra le "ragioni del sì" al nucleare.
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ENERGIA NUCLEARE, SOGNO O INCUBO?
di Achille Della Ragione .
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L'aumento galoppante del costo del petrolio sta mettendo in ginocchio l'economia occidentale. l'Italia si trova maggiormente in difficoltà per aver rinunciato all'uso dell'energia nucleare, illudendosi in tal modo di mettersi al riparo dai rischi, che furono enfatizzati dall'incidente nella centrale di Chernobyl. Ma la vicinanza alle grandi centrali nucleari francesi, dalle quali tra l'altro acquistiamo a caro prezzo elettricità, ci fa correre gli stessi ipotetici pericoli, senza disporre di impianti che ci permetterebbero di affrontare meglio la crisi economica.
Sull'energia nucleare circolano molte notizie inesatte e l'incontro che abbiamo avuto la ventura di avere a Barcellona con Alfredo Portone, ingegnere e ricercatore nucleare che lavora al progetto ITER, uno dei tanti cervelli italiani prestigiosi all’estero, il quale ci ha concesso una breve intervista, che ci permette di fornire ai nostri lettori un quadro più preciso sul problema energetico attuale e sulle prospettive future.
Nel corso della conversazione mi ha molto colpito la reale quantità delle scorie da smaltire: la Francia che possiede circa 60 centrali(che equivalgono a circa il 40% delle centrali nucleari europee) deve trovare dove collocare ogni anno circa 150 metri cubi di materiale radioattivo. Ho subito pensato alla mia piscina di Ischia che è di oltre 300 metri cubi, potrei offrirmi per risolvere il problema....
Ma veniamo all'intervista:
Molti scienziati contrari al nucleare affermano che da tempo non si costruiscono più centrali. Quale è il vero motivo?
All’inizio del 2007 erano circa 30 le nuove centrali in costruzione nel mondo , di cui più della metà in Asia (18) e 7 in Russia. I Paesi occidentali, per motivi di opinione pubblica, preferiscono da tempo estendere la vita delle centrali esistenti anziché lanciare nuovi ordini, il che ha portato a coprire il fabbisogno di potenza installata addizionale con centrali a gas, olio combustibile e carbone. Qualcosa però sta cambiando per effetto del prezzo del petrolio (ben oltre 100 $ al barile) e di una opinione pubblica sempre più consapevole dei danni ambientali derivanti dall’uso dei combustibili fossili. In Europa, in particolare, la Finlandia ha lanciato qualche anno fa la costruzione della centrale di Olkiluoto che dovrebbe entrare in funzione,dopo alcuni ritardi rispetto alla data prevista del 2009, verso la metà del 2011.
Il problema delle scorie radioattive è veramente tanto importante?
Disporre di una strategia di eliminazione delle scorie è parte fondamentale di ogni programma nucleare "sostenibile". Il problema e’ tecnologicamente complesso e per risolverlo i principali Paesi industrializzati stanno investendo da anni in Ricerca e Sviluppo. Uno dei frutti di questo sforzo e’ la concezione e sviluppo dei reattori nucleari di IV generazione che riescono ad eliminare dai prodotti di reazione elementi pesanti quali il Plutonio, il che porta ad importanti semplificazioni in termini di rischi di proliferazione di armi nucleari. Un settore di ricerca molto attivo e’ quello della fusione nucleare – discussa più avanti – nel quale l’Europa detiene la leadership mondiale con il reattore sperimentale JET (Joint European Torus, Abingdon, GB). Per lo smaltimento delle scorie ad alta attivazione – quelle, cioè, che costituiscono le "ceneri" del processo di fissione nucleare – diversi Paesi (tra cui USA e Francia) hanno messo a punto processi di ri-trattamento del combustibile spento che ne abbattano i volumi prima del definitivo stoccaggio in zone geologiche stabili. A questo proposito e’ utile far notare che una volta processati, le scorie ad alta attivazione possono essere ridotte a circa 2-3 m3 per ogni GigaWatt di potenza elettrica prodotta per anno di operazione. La stessa energia – se prodotta bruciando idrocarburi - richiederebbe la combustione di circa 2 milioni di tonnellate di petrolio equivalente . Credo che – sebbene complesso - l’argomento delle scorie nucleari sia molto enfatizzato in quanto la tecnologia nucleare e’ in grado – e lo sarà sempre di più in futuro – di trovare soluzioni sicure ed economiche a tutto il ciclo del combustibile. A questo proposito, certe affermazioni che si sentono a riguardo della "eredità" di scorie che lasceremo per "migliaia" di anni ai nostri discendenti mi sembrano fuori luogo. E’ abbastanza ovvio pensare, infatti, che tra solo qualche decina (per non parlare di centinaia) di anni i nostri eredi possederanno tecnologie nucleari (e non solo) tali che il "problema" dello smaltimento delle scorie che oggi sembra (ad alcuni) insormontabile e tale da fermare lo sviluppo di questo tipo di tecnologia fara’ "sorridere" i nostri nipoti e pro-nipoti! Mi preoccupa di più il danno che infliggiamo quotidianamente al nostro pianeta scaricando in atmosfera circa mille tonnellate di anidride carbonica al secondo… Questa e’ l’ "eredità" che - per il bene dei nostri discendenti - dovremmo imporci di migliorare.

Le centrali nucleari richiedono sostanze come l'uranio che si trova solo in alcune nazioni. Non rischiamo di passare dalla dipendenza da alcuni Stati ad una dipendenza da altri?
E’ chiaro che il problema dell’approvvigionamento di materie prime per la produzione di un bene essenziale come l’energia elettrica sarà sempre il motore di interessi enormi e tali da generare guerre ed altre sciagure planetarie. In questo senso non si deve pensare al nucleare da fissione – così come altre fonti non rinnovabili - come alla soluzione di riferimento del problema energetico. In assenza di una forma di produzione di energia elettrica che permetta ad ogni Utente di avere accesso diretto alle materie prime ed alle tecnologie necessarie, e’ scellerato puntare – come stiamo facendo oggi con il petrolio - su una sola fonte, specie se altamente inquinante come gli idrocarburi. Anziché impugnare argomenti dogmatici (quasi religiosi) a riguardo di questa o quella forma di produzione, occorre diversificare il più possibile il nostro "portafoglio" energetico e, nel frattempo, investire in ricerca e sviluppo per trovare soluzioni adeguate di lungo respiro. Solare ed eolico devono dare un contributo ma sono ancora troppo lontane dal soddisfare i fabbisogni energetici di qualsiasi Paese industrializzato. Un’altra possibilità è la fusione nucleare che costituisce una nuova forma di produzione di energia elettrica tramite reazioni nucleari che hanno il vantaggio di non produrre scorie ad alta attività ma solo radio attività di basso livello facilmente smaltibile. Inoltre, e soprattutto, permette di usare solo acqua e litio il cui approvvigionamento non pone problemi ad alcun Paese.
L'Europa partecipa ad un progetto che rappresenta la sfida del secolo: la fusione nucleare. Può dirci qualcosa su questo progetto?
Come accennato, la fusione nucleare e’ una possibile risposta di lungo respiro alla richiesta di energia "pulita" in quanto non produce gas ad effetto serra, ne’ scorie ad alta attivazione, non comporta rischi di proliferazione nucleare e garantisce accesso alle materie prime necessarie per la produzione di elettricità a qualsiasi Paese del mondo. Per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione come fonte energetica, l’Europa – attraverso la Comunità Euratom – partecipa assieme a Russia, USA, Giappone, Korea, Cina ed India alla realizzazione del progetto ITER nei pressi di Aix En Provence in Francia. Una volta in funzione, ITER sarà il più grande esperimento per la produzione di energia da fusione al mondo e rappresenterà la tappa fondamentale di un percorso che punta ad arrivare alla generazione di energia elettrica "in rete" verso la metà di questo secolo. ITER e’ una sfida scientifica e tecnologica straordinaria; alla Direzione Generale del progetto e’ il Dr Ikeda (Giappone) e la sua coordinazione scientifica e’ assegnata al tedesco Dr Holtkamp.
Quando si prevede che possa essere attuato e dove sarà localizzato il primo impianto?
ITER dovrebbe accendere il suo primo plasma - che rappresenta la fornace dove avverranno le reazioni di fusione nucleare - nel 2018. Dopo questa tappa fondamentale e, soprattutto, dopo aver ottimizzato il processo di controllo degli scenari operativi, la comunità scientifica sarà pronta ad intraprendere il passo successivo, e cioè la costruzione di DEMO che dovrà dimostrare la maturità tecnologica dei futuri reattori a fusione
Come si sta organizzando l’Europa per partecipare al progetto ITER?
Tra i sette partners internazionali citati sopra, l’Europa rappresenta l’ "azionariato di maggioranza" del progetto a cui dovrà fornire componenti e servizi per circa il 50% del costo totale di ITER (che e’ di circa 3 miliardi di Euro). Per far ciò, la Commissione dell’Unione Europea ha istituito recentemente l’Organizzazione per lo Sviluppo della Fusione (Fusion For Energy) presso Barcellona che ha l’incarico di finanziare e coordinare la realizzazione delle forniture europee al progetto ITER. Il Direttore dell’Organizzazione Fusion For Energy e’ il Dr Gambier (Francia) che verrà coadiuvato nei prossimi 10 anni da circa 200 professionisti tra scienziati ed ingegneri provenienti da tutti i Paesi dell’Unione Europea e con competenze di eccellenza in svariate aree scientifiche e tecnologiche.
ACHILLE DELLA RAGIONE
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Alfredo Portone (Bologna, 1961) si e’ laureato con lode in ingegneria nucleare presso l’Università di Bologna nel 1987 e nel 1994 ha ricevuto il Dottorato di Ricerca (PhD) in ingegneria elettrica dall’Imperial College di Londra (UK). Dal 1990 lavora al progetto ITER e dal 1993 al 2000 ha fatto parte del Team di Progetto ITER presso Naka, Giappone. Dal 2000 coordina attività di R&D all’interno dell’Euratom in diverse aree scientifiche e tecnologiche, in particolare in ingegneria e controllo dei plasmi da fusione, magneti superconduttori e modelli computazionali per l’ingegneria. Dal Marzo 2008 fa parte dell’Organizzazione Fusion for Energy presso Barcellona.

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Immagini: Una centrale nucleare e la mappa delle centrali nucleari esistenti in Europa occidentale.

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