07 novembre 2011

 

Alluvioni. Imprevidenza dei politici, ma anche fatalismo e cattive abitudini dei cittadini.

alluvione-genova. 2011 Genova. Dopo la solita, puntuale alluvione (ogni anno ce n’è una), dopo le solite ipocrite lacrime di cordoglio, visto che la Regione non provvede è l’ora della Ragione. Una inchiesta giudiziaria – al solito, tocca ai magistrati gestire la Polis, neanche fossimo alla Città ideale di Platone! – ha scoperto quello che già ingegneri e geologi sapevano da tempo: che il torrente Bisagno, interrato e coperto di cemento e costruzioni, ha un inghiottitoio troppo piccolo in caso di piene e forti piogge. Grazie tante. Genova è solcata nelle fondamenta, sotto le strade e i palazzi del Centro, da decine di ruscelli e torrenti: alcuni costretti a stare nelle fognature e sotto i tombini, figuriamoci. Gli abitanti lo sapevano già. Ma, diciamolo, non facevano nulla, non premevano su Comune e Regione per fare qualcosa, per deviare a monte qualche torrente, per scavare scolmatori, per allargare fossi e scoli tra le case, al limite per abbattere case abusive da sempre, costruite sull’alveo naturale d’un torrente. In democrazia la responsabilità, di scarica-barile in scarica-barile, è sempre dei cittadini. Non basta “sperare che non piova” o che “un disastro simile non accada più”, col fatalismo pessimista tipico dei genovesi, un po’ gente di mare.

Ma qualcuno ha ricordato agli smemorati che il rio Fereggiano, un torrente immissario del Bisagno che nei giorni scorsi si è ingrossato ed ha straripato allagando le vie e piazze più basse di Genova, inondando cantine e negozi, ammassando e schiacciando automobili, e perfino uccidendo qualche ignaro cittadino, era stato coperto, a grandissima richiesta di pubblico, "per avere più posti per i parcheggi di auto". Un "bene prezioso di questi tempi", aveva detto – secondo il suo punto di vista “politico” – il presidente della Regione Liguria, Burlando, che le sue responsabilità le ha, eccome.

Ora non diamogli la croce addosso: chissà quante migliaia di cittadini lo avranno assediato perché non trovavano posto per le loro scatole di lamiera a quattro e a due ruote. Le stesse, in alcuni casi, che ora giacciono accartocciate dalla furia del Fereggiano e del Bisagno, stanchi di essere trattati come fognature.

Insomma, abbiamo ragione o no? Lo squilibrio in cui vivono i moderni agglomerati urbani, soprattutto in Italia, verte su due caposaldi: la mancata accettazione delle esigenze della Natura circostante, che si vendica riacquistando all’improvviso le sue dimensioni vitali e “penetrando” in città, e lo spazio eccessivo, psicologico e materiale, che si dà alle auto.

Gira e rigira, è sempre l’automobile, il moderno feticcio davanti al quale tutto si piega e col quale tutto si spiega, all’origine di molti problemi della città e del territorio. Togli l’auto e diminuisce perfino la criminalità, come a Venezia. Ve l’immaginate un rapinatore che fugge in gondola? Togli l’auto e spariscono le temibili polveri sottili (purché si… lavino periodicamente le strade: in caso contrario si risollevano dall’asfalto anche al passaggio di un’auto isolata, a ferragosto!).

I politici e gli amministratori anche in questo non sono altro che gli interpreti dei cittadini che li hanno eletti. E, a parte che come idee e cultura sono proprio uguali in tutto all’uomo della strada, non hanno quasi mai il coraggio di dar loro torto e magari di cercare di educarli ad un’altra visione delle cose, il che vorrebbe dire avere altre idee, altri valori. Anzi, se facessero così, potrebbero essere accusati di “autoritarismo illuminista”. Per fortuna i politici non hanno idee, tantomeno difformi da quelle del resto della popolazione da cui provengono, e quindi vengono accusati solo di peculato e altri simili reati.

Ci dovremmo pensare noi ecologisti, o almeno i più coerenti e severi di noi, cioè paradossalmente gli ecologisti liberali. Noi soli sappiamo per la nostra formazione culturale che meriti e demeriti di una società appartengono ai cittadini, più che al Potere, perché la Storia è storia degli uomini, e di ogni singolo uomo, più che degli Stati, delle municipalità o delle istituzioni. E che la Politica non è una “tecnica”, ma è soprattutto cultura, idee, intelligenza, psicologia.

Ecco perché l'ecologista liberale (quello vero, non il conservatore finto-liberale che si occupa di ecologia solo per negarla o svuotarla dal di dentro) è più duro, non meno duro, di un ecologista di origine cattolica o marxista. Perché è razionale, e riporta tutto ai cittadini, ai loro diritti, certo, ma anche alle loro idee e alla loro “cultura”. Quindi sa che le soluzioni sono più lunghe e difficili.

Mettere ecologicamente le cose a posto, specialmente in Italia, Paese di secolare ignoranza popolare perché di secolare servitù, ma in minor misura anche in tutto l’Occidente democratico-liberale, è per paradosso più difficile che in uno Stato assolutista, fascista, teocratico o comunista. Perché si scontra contro il volere pratico, contro la scala dei valori dei cittadini, che spesso non sono né informati, né intelligenti. Altro che un cambio di Governo! Perfino se il più illuminato ecologista del Mondo fosse ministro dell'Ambiente, non risolverebbe, se non con enormi, inenarrabili difficoltà. Non potrebbe certo instaurare uno Stato di polizia!

Insomma, ci vuole una profonda e vasta e precoce educazione dei cittadini per poter fare o vietare senza autoritarismi qualcosa che ha a che fare con l’ambiente, una materia complessa fatta di conoscenze scientifiche. Questo il punto di filosofia politica a cui nessun ecologista tradizionale risponde mai.

Per "fortuna" nella sfortuna le disgrazie qualcosa insegnano anche all'impiegato, alla casalinga o al pensionato medio...

Perché, dunque, il povero e inadeguato Burlando, come tanti altri presidenti di Regione, sindaci o ministri di Destra, Centro o Sinistra, dovrebbe essere migliore, anzi eroico, rispetto ai suoi concittadini? La gente gli chiede posti-macchina, non la salvaguardia del torrente o la pulizia degli alvei nei boschi, tantomeno i fossi di scarico in piena città.

E allora? Cerchiamo di rieducare al meglio i cittadini italiani, che come ex-contadini recenti hanno acquisito ormai più odio che amore per la Natura, per troppi secoli madre e matrigna. Altro che fossi, ruscelli e torrenti, men che mai in piena città! Li vedono come fogne a cielo aperto (e infatti vi gettano di tutto, specialmente a Sud). Anzi in Campania, Calabria e Sicilia nel letto secco delle “fiumare” o dei torrenti addirittura costruiscono case. La gente, i tanto osannati cittadini, non vuole (o non voleva, perché poi oggi si sta instaurando anche una strana e romantica nostalgia snob…) torrenti, canali e scoli di acque tra le case. Perfino se e quando sono esteticamente gradevoli: basta ricordare che fine hanno fatto i Navigli a Milano.

Facciamogli capire, invece, e fin da piccoli scolari delle elementari, che i torrenti devono sempre avere uno sfogo verso i fiumi o il mare, e che anzi vanno mantenuti sgombri dai tronchi e rami. E che sono “belli”, non brutti, anche quando scorrono lungo i palazzi. E insegniamogli che la Natura ha le sue esigenze, che per l’uomo sono primarie, fondamentali, insopprimibili. Mettiamogli in testa anche che l’automobile sempre “al guinzaglio” è una sciocchezza sottoculturale, una specie di rassicurante “coperta di Linus”, da poveri cafoni di campagna diventati ricchi troppo presto. Non è quasi mai un bene davvero indispensabile, specialmente se si vive in città antiche, dalle strade strette. Spesso conviene affittarla, un’auto, magari in occasione di un viaggio, piuttosto che averla in proprietà. Ma chi le dice alla gente queste cose? Nessuno, neanche i Verdi. Speriamo che gliele dicano, coraggiosamente, i nuovi Ecologisti.

AGGIORNATO IL 10 OTTOBRE 2014

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