05 ottobre 2006

 

Ecologia liberale? Sì, ma non solo l’ambiente come diritti di libertà e scienza, anche un po’ di storia.

Spiaggia e scoglio (piccola)(NV) Come ecologisti, anzi - di più - come coerenti "naturisti" della prima ora, vediamo con simpatia l'attuale tendenza a rivalutare le origini e i contenuti liberali dell'ecologia, sia a Destra che a Sinistra. E ora, di nuovo tra gli amici Radicali. Anche perché, liberali fin dalla adolescenza, abbiamo fondato il "primo club ecologista in Italia" nel lontano 1975, in quel porto di mare che era allora la casa radicale (e dove, se no?), quando nessuno nel mondo politico, neanche tra i Radicali, parlava di ecologia o mostrava la minima simpatia verso l'ambiente. Nel '75, pensate un po', l'argomento non veniva considerato "politico" dai soliti politici di professione. Nè a Destra, né a Sinistra, e neanche da alcuni dirigenti radicali. E, visto quello che poi è accaduto, con la politicizzazione sinistrese dell'ambiente, mi chiedo: che avessero ragione?
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Nel '75, nel corso d'un congresso radicale a Bologna, fondai la Lega Naturista, che ebbe grande successo tra la base radicale, allora aperta ad ogni novità e in anticipo sui tempi, a differenza di oggi. Il primo ad aderire fu Carlo Consiglio, futuro fondatore della Lega per l'Abolizione della Caccia, anch'egli presente al Congresso, col quale presentai una mozione e un manifesto programmatico. Avemmo subito centinaia di iscritti, tutti radicali, tanto da suscitare la curiosità un po' gelosa e infastidita di alcuni dirigenti radicali, timorosi che temi così "leggeri" e "altri" da quelli usuali potessero distrarre o sviare i militanti dai più "seri" obiettivi di partito. Ma nel partito delle doppie e triple tessere questo non era davvero un problema: allora i radicali di base (bei tempi, erano tutti giovani) partecipavano a tutte le iniziative contemporaneamente.
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Inaugurammo l'attività con un'azione di strada "alla radicale": noi ragazzi-sandwich con cartelli e slogan durissimi contestammo per prima cosa lo zoo di Roma [forse oggi non lo rifarei: NdA]. Ne parlarono tutti i giornali, perfino Annabella. Grande era la novità, e i nomi allora, grazie ai nostri corretti comunicati, erano giusti: "Naturisti contestano lo zoo", "Naturisti mettono in fuga i cacciatori". Bei tempi: Eravamo riusciti a far capire ai giornalisti (informazioni stampa ogni giorno) che cosa è il Naturismo e che i nudisti si devono chiamare solo nudisti (a meno che non siano anche naturisti). Non come oggi, con i nudisti che si vergognano del nome e si nascondono dietro la foglia di fico d'una parola ("naturista") più grande di loro. Ci eravamo riusciti così bene che la società di elettrodomestici Girmi produsse in nostro onore l'estrattore-centrifuga di succhi di frutta e verdura "Girmi il Naturista", che restò in produzione oltre 10 anni, fino a tutti gli anni 80.
 
La Lega Naturista si occupava - caso unico in Europa - di tutti gli aspetti del rapporto Uomo-Natura (alimentazione naturale,
prevenzione e medicine naturali, agricoltura naturale, tutela di piante, animali e ambiente, energie alternative, risparmio energetico e autosufficienza, esercizio fisico e comunione con la Natura (ginnastica herbertiana all'aperto, escursionismo), corporeità, riforma del vestiario e nudismo), come appunto vuole la Zeit Reform o "riforma della vita" che è il Naturismo, che mette tutto in collegamento circolare perché tutto è ispirato alla filosofia-scienza della vita "secondo natura" che deriva da Ippocrate, fondatore della medicina scientifica (cfr. "medicina ippocratica" e "il cibo sia la tua medicina"). Visione coerente e vastissima: basti pensare che l'ecologia, che pure ci sembra vasta, è solo una piccola parte del Naturismo, da cui deriva (la conoscenza-tutela del rapporto piante-animali-ambiente, secondo Haeckel, 1846).
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Così, con la propaganda in casa radicale e all'esterno, insinuammo a poco a poco nell'opinione pubblica italiana e nei giornali i primi concetti base: l'alimentazione sana e naturale, le medicine naturali, il risparmio di energia e le energie pulite, il no alla caccia, la tutela delle piante e degli animali.
Qualcuno capì subito, come i cacciatori, altri capirono molto più tardi. La rivista dei cacciatori, Diana, pubblicò (1978) in copertina la foto di Nico Valerio [e ci piacerebbe tanto averlo, quel fascicolo...] mentre nella sede del Partito Radicale in via Torre Argentina illustrava le finalità del referendum. Col risultato che, pochi giorni dopo, un cassiere di banca, cacciatore, si rifiutò di pagargli un assegno. Il Wwf di Roma (diretto allora da Fulco Pratesi) scrisse su un manifesto che l'abolizione della caccia era eccessiva e troppo "radicale": meglio regolamentarla, limitarla. Mentre l'antimilitarista radicale Rosa Filippini sbottava nei corridoi del Partito Radicale: "Nico, ma vuoi capire che la macrobiotica e gli uccellini non sono politica?". Pochi anni dopo, il Wwf diverrà il portabandiera del II Referendum anti-caccia, mentre la Filippini, abbandonato l'antimilitarismo, fonderà con Mario Signorino la sezione italiana dei Friends of Earth, gli Amici della Terra. Che ebbero subito, a differenza della anticipatrice Lega Naturista, grande appoggio dal Partito Radicale.
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Comunque, dai e ridai, in tre anni influenzammo a tal punto la base e la dirigenza radicale, e poi anche il timido mondo delle associazioni naturalistiche d'allora, da poter promuovere il I Referendum anti-caccia, presentato nel 1978 dalla Lac fondata da Carlo Consiglio (socio della mia Lega Naturista) e dal Partito Radicale, che nel frattempo aveva capito il forte potere dirompente e politico d'un referendum non-violento contro la violenza della caccia. Un'altra nostra iscritta, Laura Girardello, fondò la Lega per i Diritti degli Animali, che diffuse anche in Italia la Dichiarazione dei Diritti.
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Dunque, evviva se vari Liberali e i Radicali oggi, con grande ritardo, si riappropriano dell'ambiente. E' un ritorno. Solo, temiamo le semplificazioni sbagliate, magari per reazione ad un sinistrismo che ha distrutto l'ecologia, come il voler ridurre abusivamente l'ecologia a tecnocrazia, oppure al puro mercato o al mero concetto di proprietà privata, come sembra auspicare l'originale e provocatorio pamphlet di Papafava, "Introduzione all'ecologia liberale", edito da Liberilibri. Ne riparleremo.
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Come liberali dalla prima adolescenza, quando "liberale" era una parolaccia, gli anticonformisti e gli individualisti ci piacciono. Purché vogliano le libertà per tutti, non solo per sé come gli autoritari. E solo se perseguono tutte le libertà, non solo alcune (p.es., solo quella di mercato), soprattutto quelle degli altri (come fa Pannella, in modo esemplare), e anche quelle nuove, i tanti sedicenti "liberali" possono essere considerati liberali veri.
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E tra le tante nuove libertà c'è oggi anche quella di usare e godere - in modo non distruttivo, ma con le cautele e l'amore del bonus pater familias - la Natura, l'ambiente, le piante, gli animali, il paesaggio, l'arte, le bellezze e le risorse naturali, perfino il territorio urbano intorno a noi. Lo riconobbe anche il filosofo liberale Benedetto Croce, quando si fece promotore del primo Parco protetto in Italia, quello d'Abruzzo, proposto dal naturalista Alessandro Ghigi e realizzato poi da un comitato privato creato dalla Pro Montis et Sylvis nel 1921, visto che lo Stato non ne voleva sapere, prendendo "in affitto" privatamente (un incipit eloquente) i primi 12 mila ettari dai vari Comuni. Lo sapevano benissimo anche la figlia Elena Croce e l'umanista liberale Umberto Zanotti Bianco, fondatori di Italia Nostra nel 1955. E di idee insieme protezioniste, scientiste e liberali erano nel 1961 anche i fondatori del Wwf internazionale, primo tra tutti lo zoologo Julian Huxley. Senza parlare, poi, in Italia, dei vari ministri liberali dell'ambiente che, prima dei Verdi, hanno ricoperto con dignità il loro ruolo.
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Insomma, i rosso-verdi ci hanno fatto dimenticare che l'ecologia nasce liberale. E non poteva che essere così, se ci pensiamo bene. Solo i liberali e in Occidente potevano avvalersi delle libertà, dei modelli esistenti e dell'iniziativa privata necessaria per delineare e teorizzare le "nuove libertà" sull'ambiente e la Natura selvaggia (Wilderness), ben conoscendo - visto che li avevano sotto gli occhi ogni giorno - i limiti obiettivi dello sviluppo tumultuoso e caotico d'una società industriale avanzata. L'ecologia, perciò, nasce come "coscienza critica", "autoregolazione" liberale del modello capitalistico. Da società dei produttori (il liberale di sinistra Gobetti) a società dei consumatori. Laddove per consumatori s'intendono i cittadini critici, "elettori" di questo o quel prodotto-partito (Schumpeter). E se vogliono, possono astenersi, non votare, non acquistare. Buon segno: vuol dire che il sistema sociale ed economico dell'Occidente trova in se stesso, con tutti i suoi difetti, le terapie e i contravveleni per guarire, o almeno per reagire ai mali dell'umanità di oggi, che sono il disprezzo della Natura, la sovrappopolazione, l'irrazionalità.
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Ribaltiamo, quindi, l'equazione. Ai conservatori di Sinistra e di Destra che storcono il naso o equivocano su una ecologia liberale, rispondiamo che l'ecologismo non poteva nascere che nell'Occidente liberale, da liberali. E gli industriali più intelligenti, paradossalmente, lo hanno capito subito: l'inquinamento, la distruzione del paesaggio e delle specie, sono "costi aggiuntivi", segni di "inefficienza" del sistema liberale, oltre che errori dannosi, che rendono la vita difficile sia ai consumatori, sia ai produttori. Insomma, il capitalismo, che nutre economicamente il sistema liberale, può riuscire depurato e più efficiente solo eliminando il gap di cultura e le "scorie" di inefficienza ambientale. Anche su questo punto, contrapponendosi all'Occidente e al capitalismo, i Verdi hanno sempre sbagliato.
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Controprove? I disastri ambientali dovuti all'ideologia e all'incuria degli uomini, e la distruzione irreversibile dell'ambiente in Urss, Europa orientale e Cina (in cui i primi ecologisti furono incarcerati, "giustamente", essendo portatori d'una ideologia liberale e occidentale...), con tassi di inquinamento incredibili, nonostante l'enorme estensione di territorio e la bassa densità di popolazione per chilometro quadrato. E solo in un Paese non liberale un lago così grande come quello d'Aral poteva essere lasciato morire.
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Ma anche i tanti errori e i piccoli disastri compiuti dai rosso-verdi in Occidente, dove ormai sono lobby di potere e di affari : dalla benzina "verde" cancerogena imposta in sostituzione di quella col piombo, al costoso e inutile cibo vegetale "biologico" privo solo dei pochi pesticidi umani, ma non dei tanti pesticidi naturali, alle costose centrali eoliche, non solo inefficienti ma che deturpano il paesaggio, ai teatrali e inutili blocchi del traffico negli angusti Centri storici, perché non si ha il coraggio di vietare o far pagare un pedaggio come a Londra.
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Però, una mera "ecologia di mercato", auspicata dagli amici della Destra liberista, può andar bene in qualche caso, ma non funziona come sistema generale. Non dimentichiamo, infatti, che i beni naturali sono beni d'una nuova specie, insieme individuali e collettivi, come tutti quelli tutelati dai famosi diritti di libertà di cui va fiero il liberalismo: ogni individuo li può, anzi ha diritto ad usarli, fino al limite dell'uso altrui. Tipico limite liberale. Non scordiamo che il Diritto (i limiti) è la base pubblicistica dei liberali, ma anche la loro filosofia concreta. E che perfino gli Stati Uniti hanno un po' di scuole pubbliche, bus pubblici, polizie di Stato, e così via. Perché, proprio noi italiani che siamo così poco liberali, con poco mercato libero e poco rispetto per le libertà, dovremmo cominciare a privatizzare proprio la Natura, addirittura quella che sta per sparire e che dovremmo lasciare in eredità alle future generazioni come segno di continuità culturale e identitaria? Un Popolo è la Natura in cui vive. Se la distrugge, cancella le proprie radici, la propria identità.
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E il liberalismo - insistiamo perché non lo ricorda mai nessuno - non è la filosofia politica dei diritti di libertà puri, senza contropartita, ma dei diritti accompagnati da speculari doveri. Il liberalismo è, anzi, la più perfetta "teoria dei limiti dei diritti individuali", che non siano quelli assoluti. Questo schema teorico liberale (tutti i cittadini hanno tutti i diritti di libertà possibili, ma ne limitano un poco l'ampiezza per poterne permettere il godimento a tutti), si adatta perfettamente ai diritti ambientali. Anche dal punto di vista giuridico e politico, insomma, la tutela dell'ambiente, nasce e si sviluppa al meglio solo in un ambiente liberale.

Comments:
Eureka, per miracolo è riapparso tra le bozze questo primo articolo del blog, che scomparve accidentalmente durante un salvataggio 2 giorni dopo averlo scritto. L'ho subito ripubblicato
 
Bella la rievocazione. Sono cose inedite che mi hanno molto meravigliato. Deve essere stato un bell'ambiente giovane. Caspita, eravate davvero avanti!
 
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