18 ottobre 2006
"Siamo per il mercato? Allora vendiamoci mogli, figlie e sorelle"
Dico questo perché in questi ultimi giorni ho preso molto a cuore la questione della cosiddetta "Ecologia liberale" o addirittura "Ecologia di mercato", come apertamente viene definita da alcuni improvvisati teorici ultra-liberisti che tra Vesuvio e Madunina si divertono a scimmiottare un Ronald Reagan forse intravisto al cinema.
Ma non sanno di prendere fischi per fiaschi. Forse da neofiti, assumono come dogma per tutti gli usi il mercato libero, dimenticando però che nel liberalismo vero - non quello di Ceccano o Cernusco sul Naviglio, ma quello di New York - il mercato libero è accompagnato e temperato, in un tutt'uno razionale, da una lunga serie di elementi altrettanto fondamentali per il liberalismo (regole, limiti, obblighi, libertà, metodologie, eccezioni ecc), senza i quali non si parlerebbe di diritti di tutti, ma di privilegi di pochi, insomma di prepotenze. Sono le forme, le regole, i diritti, insomma i famosi "limiti liberali", che trasformano l'anarchismo barbarico dei nostri progenitori nel raffinato liberalismo di oggi. Compreso il mercato liberale.
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E invece, che accade in Italia, quando la Destra sottoculturale da corporativa vuole diventare "liberista" per far vedere di essere moderna? Prende tutto alla lettera, comprese le argute provocazioni intellettuali. Per esempio, sta avendo un notevole seguito nel Centro-destra, che - si badi - in cinque anni di Governo Berlusconi, con 100 voti di maggioranza alla Camera, non ha fatto neanche una privatizzazione né ha favorito la concorrenza, un forte pamphlet di Novello Papafava in cui si teorizza che la cosa più efficace per la conservazione della natura sarebbe semplicemente... privatizzarla. Cioè, quelle privatizzazioni che i nostri Governi non riescono a fare neanche per gli Enti inutili o per i monopoli dell'informazione di Regime (Rai-Tv), la vorrebbero fare per il Parco dell'Adamello, la Costa dell'Uccellina e il Gran Sasso? Una pazzia, se non fosse una semplice provocazione colta, un amabile quanto inutile paradosso elitario. Ne parleremo in un articolo apposito.
Fatto sta che giornalisti economici dell'Istituto Bruno Leoni, come gli influenti Stagnaro e Lottieri, senza contare l'aggressivo ed efficace Bianco, diffondono sulla stampa di Centro-destra (Libero, Foglio, Giornale), su internet, spingendosi fino alle aree della Sinistra liberal e del Riformista, argomenti del genere, preceduti sempre da una critica feroce quanto banale e piena di pecche filosofico-ideologico-scientifiche all'ambientalismo tout court. Anzi, ogni anti-ambientalismo loro lo chiamano "liberale" o "liberista". Solo che, credendo nella furia di menare i Rosso-verdi (che, a dire il vero, qualche schiaffetto se lo meriterebbero), i neocatecumeni mercatisti all'ultimo sangue se la prendono con l'ambiente, cioè con le nostre radici culturali, quella Natura che insieme con l'Arte rappresenta la nostra vera, unica, immagine di popolo, la nostra inimitabile identità.
Fondai nel '75, al Congresso radicale di Bologna, il primo club "ecologista" in Italia, la Lega Naturista, che aveva in programma tutti i temi ambientali e salutistici. Proposi e presentai il I Referendum anticaccia. Per questo, quando più tardi vidi cose che non andavano, criticai duramente il finto ecologismo, in realtà lotta politica con altro nome, di certi Rosso-verdi.
Ma oggi, da ecologista della prima ora, ritengo che un pericolo forse più grave, perché non genera anticorpi come certo stalinismo rosso-verde dei decenni passati, venga dalla Destra, con questa subdola invenzione della ecologia di mercato.
Che "suona bene", pare moderna e tecnocratica ai travet di provincia che siedono alla Camera e al Senato, e tra uno sfondone di grammatica e una discordanza sintattica potrebbero trovare allettante, plausibile, che so, affittare ai privati le dune ancora incontaminate, la macchia mediterranea, le Alpi e gli Appennini. Senza contare un bel contratto di leasing per il Colosseo o il duomo di Siena. Ma una "ecologia liberale" così concepita non sta in cielo né in terra.
E deve offendere profondamente sia i liberali, sia gli ecologisti. Figuratevi chi è, per pura sfortuna, entrambe le cose...
E già, perché oltre che di ambiente (nel quale ho sempre assunto posizioni molto severe e rigorosamente protezioniste, tanto da definirmi un ecologista coerente perfino nella vita privata, cioè un naturista) sono fautore ed esperto di liberalismo (liberismo compreso, certo)fino dall'adolescenza.
Ebbene, vi posso assicurare che la vulgata recente della Destra sedicente "di mercato", in realtà solo anti-ambientalista, secondo cui il liberale dovrebbe svendere laghi, monti e parchi, e magari - perché no? - mogli, madri e figlie, se ancora in buono stato, con la scusa del liberismo e del mercato, è di un'inconsistenza, una volgarità, una superficialità concettuale unica. Non da ecologista, ma da liberale vero protesto scandalizzato per un infantilismo del genere.
Perfino negli aridi manuali di diritto privato si parla dei beni non economici ma di grande valore storico o naturalistico o affettivo o religioso, a significare che per una società - soprattutto se liberale, cioè evoluta - non tutto è commerciabile, non tutto è vendibile e acquistabile. Non ho mai letto in nessun testo di liberalismo che il libero mercato debba brutalmente riguardare in modo indiscriminato la natura, il paesaggio, le bellezze ambientali, i monumenti, o il patrimonio artistico dello Stato.
E chiunque di noi conosca qualche vecchio signore liberale, sa quanto sarebbe assurda per lui qualunque idea di svendere, di cedere, di alienare la ricchezza insostituibile, quella che - appunto - non ha prezzo.
Eppoi un po' di storia del protezionismo. I primi conservazionisti furono tutti liberali. Fu Croce a patrocinare il Parco d'Abruzzo, dopo che un parente aveva avuto l'idea guardando all'estero (Usa e Germania). E lì, anzi, avvenne l'opposto di quello che auspicano i mercatisti non liberali di oggi: il Parco nacque come privato per poi diventare pubblico. Un gruppo di volenterosi mecenati prese in affitto dai Comuni, privatamente, un terzo dell'attuale Parco, che poi fu ingrandito ed eretto a Ente pubblico. Del resto, perfino in Italia Nostra furono i liberali Zanotti Bianco e la figlia di Croce tra i fondatori.
Insomma, bisogna confutare queste tesi cretine che possono far presa su una classe politica di basso livello, sia nel Centro-destra che nel Centro-sinistra. Per questo ho aperto il nuovo sito. Dove voglio approfondire questa questione e rintuzzare falsità e leggende metropolitane che, dove la cultura è carente - specie a Destra - attecchiscono più facilmente. Insomma, vorrei fare opera di controinformazione, chiarendo nel frattempo a me stesso e agli altri molti concetti e intuizioni che oggi sulla grande stampa appaiono esposti in modo confuso.
Per ora ne è venuto fuori, come avete visto, una bozza di Manifesto della vera ecologia liberale. Da migliorare e integrare. Anzi, si accettano suggerimenti, vista l'assoluta novità dell'argomento. Manifesto che potremo usare per rintuzzare le furberie anti-ambientaliste che prendono come scusante l'incolpevole mercato e l'ancor meno colpevole liberalismo.
C'è qualche argomento che non ho preso in considerazione? Ho per caso saltato la confutazione dell'argomento della tragedy of the commons, ad esempio, o la critica di un qualsiasi altro tema della sterminata letteratura dell'ecologia liberale?
Scusa il sarcasmo, che non è in genere nel mio stile, ma nel tuo articolo vedo un difetto di argomenti e un eccesso di ingiurie.
L'ennesima storia di statalizzazione, insomma. Dimostra nulla. Oppure la nazionalizzazione dell'industria del panettone negli anni '80 dimostra che lo Stato dovrebbe fare il pasticcere?
Il punto e' semplice: non si puoì' imporre al proprietario di un benedi gestirlo come aggrada a qualcun altro. Troppo facile lamentarsi dello stato di abbandono di un bene,quando non si paga per mantenerlo; quando, poi, subito dopo si attacca il proprietario ch ecerca di ristrutturarlo.
Rimane il dubbio del generedi proprieta': il governo non ha mai dato prova di essere un amministrtore attento, forse allora un privato, impresa commerciale o senzascopo di lucro, potrebbe far meglio?
Questi sono i capisaldi delal discussione. Il resto e' melodramma.
Però ti devo fare un’appunto.Sull’articolo
“vendiamoci ,moglie sorelle,ecc”Dove si legge:
"Ebbene, vi posso assicurare che la vulgata recente della Destra sedicente "di mercato", in realtà solo anti-ambientalista, secondo cui il liberale dovrebbe svendere laghi, monti e parchi, e magari - perché no? - mogli, madri e figlie, se ancora in buono stato, con la scusa del liberismo e del mercato, è di un'inconsistenza, una volgarità, una superficialità concettuale unica. Non da ecologista, ma da liberale vero protesto scandalizzato per un infantilismo del genere.
Sei ancora
Alla donna oggetto di proprietà di qualcuno?!! Capisco il
Paradosso e la provocazione ,ma il paragone
È molto stridente e fa saltare i nervi anche
A chi non vuole professare un vetero femminismo !
In ricordo degli anni passati ti Prego di precisare
Meglio .Perchè anche un sedicente della destra di
"mercato" ha capito da tempo , che la moglie ,la
sorella e la madre non sono "cose di sua proprietà" e
che non si può "vendere" neanche lui. Per quanto riguarda
il liberale "vero" che protesta scandalizzato per la
volgarità..ecc... Quando un cittadino deve pagare per
custodire un bene pubblico per esempio Un Parco.Non vi
può accedere. E lo vede andare in disfacimento come tutte
le cose "pubbliche" nel nostro paese,cosa deve pensare
se non a fare un paragone con una proprietà privata ,ben
curata. Farà pagare un biglietto per vederlo ? costerà
senz'altro di meno ! Allora dovè lo scandalo ?!
marion
Non ho usato una sola parola di quelle che si inventa: come volgare, cretino, elitista ecc. Fa tutto lui, da quel frustrato provocatore che è. Ho anzi detto che si tratta di un "forte panphlet". Basta.
Il che dice tutto sulla tua personalità infantile (pro-contro, bianchi-neri, Milan-Inter), faziosa, estremistica e non liberale.
Non riesce ad argomentare un solo concetto: io invece ho elencate almeno sette ragioni.
Anch'io sono un ultrà del mercato, ma non della Natura che è un bene di tutti e inalienabile.
Ho ragione, no? Vedete che tipacci sono contro la Natura, con la scusa pelosa del mercato?
In quanto ai Parchi pubblici che vanno in rovina, sono d'accordo: ma lì la colpa è dell'ideologismo anti-naturalista della Sinistra finto-ecologista (che accusa noi naturalisti di essere dei fanatici). Tanto che le direzioni dei Parchi le affida solo a mezze figure, asgli amici, mai a veri esperti o naturalisti motivati... E anche il ministro di destra Matteoli si è comportato così. Infatti era d'accordo con la rossa Legambiente su quasi tutto il ministro di AN).
Destra e Sinistra hanno fatto dei Parchi pretesto elettorale, terreno di lotta politica o occasione di posti per loro raccomandati (amministratori locali o cooperative). E chiunque vada al governo d'un Parco vi apre strade, manda le camionette avanti e indietro, e fa entrare comitive di studenti svogliati, insegnanti e famigliole da picnic.
Per la Sinistra e per la Destra i Parchi devono essere aperti a tutti, altro che chiusi, come pensi tu. Troppo aperti, in pratica abbandonati, dico io. Io che a differenza di molti blogger vado nella natura selvaggia da tanti anni non trovo mai ostacoli. In certi parchi potrei con comodità entrare con l'auto, abbattere millennari muretti a secco, segare un faggio o una quercia di 400 anni, appiccare un incendio, senza incontrare controlli. Colpa di tutti i Governi, ma quello di Destra è stato ancora peggio di quello di Sinistra: ha ridotto i fondi alla Natura e ha aumentato a dismisura le specie cacciabili. Alla Destra interessano solo i cacciatori, perché...hanno il fucile, il che li avvicina molto ai militari. Pensa un po' che psicologia infantile. Non sanno che poi la stragrande maggioranza dei cacciatori sono di Sinistra... Un'altra delle tante stupidità della Destra, simile al voto agli Italiani all'estero.
Comunque un privato per guadagnarci con la natura dovrebbe davvero rovinarla, farvi costruire. I biglietti non basterebbero certo: da noi non è così popolare il trekking e il bird-watching. La Natura perciò è costosissima ma senza prezzo. Ma è la sola, vera identità, insieme alle opere d'arte, che ci resta. Ti venderesti le fotografie dei nonni e l'anello di matrimonio regalato dai genitori? Ti venderesti l'aria che respiri, i ruscelli che danno l'acqua che bevi? Io no. Eppure sono liberista e liberale ultrà.
Fammi un riassunto con le "sette ragioni", perchè non ne ho vista neanche una, dopo due o tre letture del post. E non mi risulta di essere stato il solo.
http://2909.splinder.com/post/9630653/
Sulle tue offese lascio perdere, ognuno ha il suo stile. Si fa per dire.
Spesso si tratta di beni unici. La costa di Sorrento, la visuale del mare da Ravello, le Dolomiti o l'Etna, ma anche una qualunque dorsale appenninica che fa da sfondo lontano al panorama del paesino, sono bellezze uniche, gioielli del Paesaggio irriproducibili, fondati su un equilibrio effimero.
Se si modifica qualcosa, p.es. piantando sulla cresta centinaia di alte torri eoliche di acciaio o scavando una cava sulle pendici o aprendo un'ennesima inutile strada solo perché lo chiedono i cacciatori locali, o permettendo l'uccisione di animali selvatici per futile scopo di passatempo (fosse per la fame... capirei), o lasciando che sui sentieri di montagna salgano le moto enduro fuoristrada, schizzando sassi e zolle da tutte le parti, o peggio permettendo case abusive, quel patrimonio unico fatto di wilderness, panorami, continuità di boschi e prati d'altura, e anche silenzio, è perduto per sempre. Una perdita secca per la nostra cultura e identità.
Nessun problema se in caso di privatizzazione, auspicata dal Papafava, il privato lasciasse tutto così com'è. Ma è risaputo che il proprietario per guadagnarci qualcosa deve modificare drasticamente l'ambiente. Così com'è, la Natura selvaggia non fa guadagnare un euro. E nessuno la comprerebbe.
L'inesperienza e la teoricità degli intellettuali che parlano di ecologia di mercato è provata anche dalla sottolineatura frequente della "manutenzione", della maggior "cura" da parte del proprietario privato, come se la Natura selvaggia fosse un giardino di città o un orto coltivato. Non sanno che in un Parco naturale è vietato perfino eliminare gli alberi caduti? Che cosa potrebbe fare il proprietario privato di diverso, se non rimetterci tutti i suoi soldi?
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