03 giugno 2007
Eco-affarismo. Il Bel Paese deturpato da migliaia di torri eoliche e nuove strade.
PAESAGGIO E SOLDI BUTTATI AL VENTO: ARRIVA L’ECOAFFARISMO
Il Bel Paese deturpato da migliaia di torri eoliche e strade. Con la scusa dell’ecologia
Panorami unici compromessi, la stessa bellezza del paesaggio italiano intaccata. Altro che “ecologia”, siamo al peggior inquinamento: quello estetico. Per motivi affaristici e di principio la lobby rosso-verde, col beneplacito di ministri, burocrati e sindaci, con la benedizione dell’Unione Europea, sta distruggendo pilone dopo pilone la skyline dei bellissimi paesini italiani. Un pezzo di storia e di identità italiana che se ne va. E non mancano “bustarelle” e “mazzette” legalizzate.
“Saluti dal castello di Scansano (Grosseto)”, “Panorama di Castiglione Messer Marino (Chieti)”, “Veduta di Minervino Murge (Bari)”, “Buone vacanze dalla Val di Vara, passo della Cappelletta (La Spezia). Avete presenti queste e altre centinaia di belle cartoline italiane? Dimenticatele: sono superate, vecchie, confinate ormai nei nostri ricordi. Bisognerà farne delle nuove, e dentro ci saranno a far da sfondo decine di orribili torri d’acciaio con enormi pale rotanti, alcune alte come il Duomo di Milano o San Pietro, altre come grattacieli di 40 piani. Sono le centrali eoliche, e sono già 1500 in tutt’Italia.
“Uno scempio ambientale e una perdita di identità” ha tuonato Carlo Ripa di Meana, presidente di Italia Nostra. “Gli olivi secolari che tutti ci invidiano e ci rubano, il simbolo della nostra provincia, dovranno cedere il posto a fredde strutture metalliche? Non ci stiamo”, hanno lamentato gli abitanti di Montecalvello (Foggia)
Noi cittadini ce ne accorgiamo solo quando andiamo in vacanza o viaggiamo in auto, specie al Centro-sud. Il paesaggio dell’Appennino, uno dei più selvaggi e pittoreschi al mondo, punteggiato di paesini che sono il volto segreto e sorprendente del Bel Paese, ma anche i bei panorami di Puglia, Sicilia e Sardegna, sono già oggi intaccati da migliaia di nuove grandi strade di montagna, profondi scavi, colate di calcestruzzo, centraline, elettrodotti e costruzioni al servizio di mostruose strutture metalliche alte dai 30 ai 150 metri, poste a grappolo (“parchi” eolici), a captare quegli scarsi refoli di vento che spirano sulla Penisola, sui luoghi più visibili ed esposti, sui valichi, sulla dorsale delle colline, proprio dietro i paesi. Un disastro paesaggistico che non ha eguali. Il panorama, il paesaggio italiano, la sua immagine, stanno irrimediabilmente cambiando.
Goethe, Stendhal ed Hemingway si rivoltano nella tomba. Loro che nel rituale “viaggio in Italia” restarono a bocca aperta di fronte ai nostri borghi storici, ai villaggi incastonati tra le rocce, che spiccano sugli sfondi azzurrini delle nostre colline, alle torri, ai campanili, alle abbazie, che sembrano rotolati giù dalle montagne, che cosa vedrebbero oggi?
“È una perdita secca di memorie storiche, paesaggistiche e di grandi beni ambientali, insomma di cultura. Ed è anche la cancellazione di quella prospettiva di turismo delle aree interne che è una delle speranze per salvare la vita dei centri minori», denuncia Oreste Rutigliano, coordinatore del Comitato nazionale del paesaggio ed esponente di Italia Nostra, in prima fila tra i difensori del paesaggio e dell’ambiente italiano, accanto a Club Alpino, Altura, Mountain Wilderness, Lipu, Coldiretti, e il gruppo Biodiversità di Mezzatesta e Borlenghi che riunisce i “naturalisti doc”, tollerati ma ignorati dai dirigenti Verdi, tutti filo-eolici. E anche gli agricoltori protestano. Le torri eoliche? «Ecomostri, capaci di modificare e violentare paesaggi millenari. Chiediamo una "moratoria" dichiara il portavoce della Coldiretti, Massimo Gargano.
Contadini, sindaci, industriali e politici verdi uniti
“E’ l’ecologia, bellezza”, dice qualcuno. “Avete voluto le energie alternative? Eccovi serviti”. No, non è l’ecologia ma l’ottusità o furbizia di certi politici. Anzi, diciamola tutta, sono i grossi finanziamenti che l’industria dell’eolico versa a sindaci, mediatori finanziari e finti-ecologisti, il vero movente della scelta della "energia del vento" che sta distruggendo il nostro paesaggio. Un contadino proprietario d’un terreno montano, come può resistere se un’azienda eolica gli versa da 1000 a 20 mila euro all’anno? Gli investitori hanno condizioni di favore, le aziende elettriche hanno l’obbligo di immettere subito nel circolo l’energia prodotta dalle torri eoliche, pagandola molto più di quella ordinaria.
“Un kilowattora di lusso” ha scritto ad agosto l’insospettabile Espresso, che pure ha il proprietario Debenedetti tra gli industriali interessati. “Sui 17,8 centesimi riconosciuti al produttore, solo 7 rispecchiano la quotazione di Borsa. Il resto, 10,8 centesimi, sono soldi garantiti dal “certificato verde”. Sui 340 milioni di euro di fatturato eolico dell’anno scorso, ben 193 erano incentivo. “A carico della collettività. Senza alcun rischio di impresa”. Un profitto netto calcolato dal Rie dell’ex ministro Alberto Clò nel 60 per cento. Un Bengodi. E i faccendieri (“developer”) che si lavorano i burocrati amici, incassano le autorizzazioni e se le rivendono a 150-200 mila euro a Mw. A seconda di come spira il vento.
“Un Comune che accetta di vendere il proprio panorama alle spalle dei propri cittadini e di tutti gli italiani guadagna in media da 100 mila a 200 mila euro all’anno per torre eolica”, rivela Fabio Borlenghi. Chi resiste a questo scandaloso Paese dei balocchi pagato dai contribuenti è un eroe.
Ma al cittadino ogni pilone eolico costa da 1 a 2 miliardi di vecchie lire: e così si produce solo dallo 0,1 allo 0,6 per cento dell’elettricità. E sono solo svantaggi: spese, rumore, disturbo devastante sugli uccelli e agli altri animali (molti i casi di rapaci uccisi dalle pale), oltre all’insanabile "inquinamento estetico". Ma l’Italia è un paese poco ventoso (1950 ore su 8760 ore annue, pari a 81 giorni su 365) e perfino con le 6000-8000 torri previste in futuro l’energia prodotta dal vento sarà sempre minima.
Insomma, una “bolla” speculativa. Gli industriali che si stanno buttando a pesce sull’affare dell’eolico, in fondo sono i meno colpevoli: fanno solo il loro mestiere. Il rischio è zero e i guadagni molto alti. Altro che “il sogno dell’energia per tutti”, come intitolava il Corriere della sera il 6 settembre, qui chi ci guadagna sono i soliti poteri forti. Tutti gli altri ci perdono.
“L’inchiesta dell’Espresso ci rivela la vera natura della corsa all’affare eolico, forse seconda solo alla speculazione immobiliare”, ha commentato Rutigliano. Con l’aggravante – ha aggiunto Ripa di Meana – che quando finiranno gli incentivi di Stato migliaia di torri eoliche verranno lasciate arrugginire sulle montagne, come è già accaduto ad Altamont in California dopo la rivolta dei cittadini capitanati da Ted Kennedy. Allora per smontarle e ripristinare almeno in parte i luoghi nessuno troverà i soldi, tantomeno eliminerà le strade di alta quota, e i basamenti in calcestruzzo con plinti d’acciaio e cemento profondi decine di metri.
Il sacco dell’Italia, insomma. Si svendono i panorami, l’immagine stessa dell’Italia, il turismo, che è la nostra unica ricchezza. Per colpa dell’opportunismo venale dei sindaci e il cinismo dei politici verdi, sia per nobili motivi ideologici, sia per meno nobili ragioni di finanziamento. Il tutto con la scusa del protocollo di Kioto sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Che si potrebbe rispettare in modo pulito e indolore con la riduzione degli sprechi e col solare fotovoltaico. “Basterebbe coprire – ha proposto Ripa di Meana – i capannoni industriali italiani di cellule fotovoltaiche per ottenere il 20 per cento di energia pulita senza rovinare il paesaggio”.
E perfino i parchi sono stati attaccati con sfrontatezza: l’Aspromonte, il Pollino, il Cilento, le Murge, l’Abruzzo. Monumenti e aree storiche: Fossanova, Saepinum, Castel del Monte, il castello Montepò di Scansano. Città d’arte come Perugia e Gubbio, Agnone e Otranto si sono dovute difendere con i denti. Cosa che non è riuscita a Castiglione Messer Marino (Chieti), deturpato da ben 90 altissime torri metalliche proprio dietro il paese, che ne hanno ormai compromesso l’habitat e ogni possibile futuro turistico.
Il settimanale tedesco Der Spiegel, vicino alla sinistra e ai Verdi, in un’inchiesta che ha fatto scalpore in Europa (ma non in Italia, dove è stata ignorata) ha strappato la maschera "virtuosa" dell’energia eolica su vasta scala, definendola "una distruzione del paesaggio altamente sovvenzionata" da regioni, stati e Unione Europea, in cui gli interessi, le speculazioni e le petizioni di principio dei politici Verdi prevalgono di gran lunga sul "risparmio" energetico. E la Germania, con le sue 15 mila torri, è il paese di punta nel mondo per l’eolico.
Ma ora, vista la devastazione dell’ambiente provocata dalle vere e proprie “foreste” di torri eoliche, e dai loro alti costi, perfino il paese del verde Fisher ci sta ripensando. “Si tratta degli orrori più spaventosi dalla guerra dei trent’anni“, ha detto Hans-Joachim Mengel, professore di Scienze Politiche a Berlino che ha fondato nel Brandeburgo l’iniziativa “Salvate la provincia dell’Uckermark“. I paesani prima lo prendevano in giro, ma poi hanno capito tutto, quando hanno visto torri d’acciaio in tutte le direzioni, alte come grattacieli, l’orizzonte cambiato, e persino di notte con le lampeggianti luci rosse di segnalazione (“effetto discoteca”), hanno cominciato a protestare.
Anche il ministro dell’economia, Wolfgang Clement, è contrario: ha in mano una perizia esplosiva sull’eolico che dimostra come la distruzione del paesaggio non sia neanche bilanciata, almeno, da seri vantaggi economici. Il vento è poco e sporadico e le pale dei rotori eolici sono per lo più ferme. Le misurazioni dell’ente elettrico Eon - ha riferito Der Spiegel - hanno rilevato che, “per l’intera durata dell’anno 2002, il vento ha soffiato soltanto 36 giorni. Pale ferme. Quando non girano a vuoto, per “fare ore” consumando paradossalmente quell’elettricità che dovrebbero risparmiare. E in più centinaia di centrali elettriche sono adibite a sopperire e compensare i deficit delle centrali eoliche. Con milioni di euro di spesa ogni anno. Il bluff politico dell’eolico.
Ma anche in Italia, finalmente, enti, uomini di cultura, scienziati, politici, amministratori locali d’ogni tendenza, hanno intrapreso la battaglia contro i nuovi, inutili “mulini a vento”. Italia Nostra ha chiesto una moratoria nazionale per l’eolico in Italia: non è contro l’energia eolica in sé, ma solo se deturpa il paesaggio e danneggia l’ambiente. Il Comune di Perugia ha rinunciato ad installare due centrali di 22 torri alle porte della città, sul Monte Tezio; il presidente della Basilicata, Bubbico, ha deciso lo stop alle centrali nella regione; il presidente della Sardegna, Renato Soru (Centro-sinistra), si è pronunciato contro l’eolico e ha sfidato il Governo: “C' è una lobby che approfitta della povera gente. Bisogna fare chiarezza: l' energia eolica è spesso un paravento, c' è molta speculazione a danno delle piccole comunità”. E Galan (Centro-destra): “Il Veneto dice no. Questi moderni mulini a vento rovinano il paesaggio”.
«Multe per il nostro no? Non pagheremo» In Puglia, regione leader in Italia, a Minervino Murge, in parte entro i confini del Parco dell’Alta Murgia, erano stati previsti 350 rotori eolici. Per fortuna il Parco si è costituito e ora solo alcune decine (30-40) sono state approvate. “Ma faremo opposizione, ci sono delle irregolarità nella procedura”, ha annunciato Enzo Cripezzi, animatore della protesta. Sono tanti i paesi deturpati irrimediabilmente, come Roseto Valfortore e Volturino (Foggia). Lì vicino, ad Alberona, un paese bello e pittoresco «bandiera arancione» del Touring club, dove già operano ben 60 torri, sindaco e speculatori dell’eolico in cambio di nuovi impianti avevano visto e promesso l’Eldorado: bilanci comunali risanati, tasse sugli immobili e sui rifiuti abolite, canone della bolletta Enel rimborsato, e persino un contributo di mille euro per ogni figlio nato in paese ai genitori che decidessero di non emigrare. E invece l’assessore regionale all’Ambiente e alle politiche energetiche, Michele Losappio (Centro-sinistra), incurante dei colleghi Verdi della coalizione, ha detto no. Ma qualcuno dei “poteri forti”, qualche grosso imprenditore, si è precipitato in Puglia per ammorbidire l’assessore. E ci sono riusciti. Ma il grave – aggiunge Cripezzi - è che le 1050 torri eoliche approvate in Puglia (500 già in opera) non hanno seguito la valutazione di impatto ambientale (Via), essendo i funzionari degli assessorati esentati dalla procedura.
E gli scienziati? La Levi Montalcini è contraria. Come il premio Nobel Carlo Rubbia, esperto di energia: “Si dimentica che la frazione del tempo in cui l’eolico è operativo è solamente dell’ordine del 20 per cento. E poi fatti i calcoli, il contestato progetto eolico italiano da 3.000 megawatt coprirebbe solamente 0,43 per cento delle emissioni di CO2 in Italia. Una piccola goccia nel vasto mare!” Kyoto è solo una scusa.
Insomma, nessun altro impianto tecnologico tra quelli già inseriti nelle aree montane (tralicci elettrici, ripetitori televisivi, antenne per telefonia mobile, impianti sciistici) ha un impatto paesaggistico paragonabile per pesantezza a quello delle torri eoliche, conferma Rutigliano. “E la stessa collocazione sui crinali, l'altezza e la composizione in serie, introducono nel paesaggio scenari assolutamente inusuali che irrompono con la forza delle dimensioni gigantesche, fuori scala rispetto all’abituale visione paesaggistica. Grandi macchine, potenti, dominanti, spesso in movimento. L’impatto psicologico di chi le vede quotidianamente da vicino è di inquietudine e turbamento nell’osservare i luoghi familiari della propria vita radicalmente mutati e sconvolti”. Per questo, alcuni Comuni a rischio come S. Bartolomeo in Galdo (nella Val Fortore) che si dichiarano con delibera ufficiale "deolizzati" ed altri, come Agnone (Isernia) che chiedono alla Regione Molise di fermare le pale eoliche, prima che distruggano il loro patrimonio storico e paesaggistico.
“Si rompe tra l'altro la continuità degli ambienti naturali, aprendo gli ambienti più incontaminati all’antropizzazione, al bracconaggio, alle discariche, ai rally di mezzi motorizzati, senza escludere la possibilità di ulteriori cementificazioni e speculazioni edilizie. Non parliamo, poi, dei danni per la fauna selvatica. I crinali dell'Appennino, della Sicilia e della Sardegna sono le aree dove ancora sopravvivono alcune specie di aquile, di avvoltoi e di altri rapaci, altrove quasi scomparsi. E come dimostrano i più accreditati studi in materia – conclude Rutigliano – le pale eoliche costituiscono un pericolo mortale per questi rapaci, con percentuali di perdite così alte da vanificare anni di lavoro per la loro reintroduzione e protezione”.
E ha fatto scandalo che gli ecologisti abbiano permesso tutto questo. A differenza di Legambiente, però i Verdi sono spaccati. "E' stupefacente che i Verdi abbiano fatto un accordo con la multinazionale Gamesa sullo sviluppo dell'eolico in Italia, senza tener conto di quanto sottoscritto dal loro Gruppo Conservazione natura e biodiversità” ci ha dichiarato Fabio Borlenghi, segretario di Altura. “In quel documento noi naturalisti 'doc' evidenziammo i gravi rischi di impatto ambientale che un uso selvaggio dell’eolico può portare al nostro territorio".
Ma la più rossa delle associazioni rosso-verdi, Legambiente (ex Arci-Pci) è addirittura stata scoperta in flagrante a trescare con gli industriali dell’eolico, e per vil denaro. Maurizio Bolognetti, coordinatore del Comitato Nazionale del Paesaggio in Lucania, ha reso nota a Potenza una esplosiva lettera, a lungo tenuta segreta, che documenta come già nel 2003 il presidente di Legambiente Basilicata Gianfranco De Leo chiedeva all’Amministratore delegato ing. G. Vetere, del gruppo industriale eolico Friel, l’industria che ha realizzato e gestisce in Basilicata centrali eoliche, di «facilitare rapporti stabili e durevoli con le comunità locali…, avviando un processo comunicazionale sistematico orientato ad ottenere fiducia sociale e, nel caso, massima riduzione della percezione del rischio…, con un ampio programma di azioni mirate… e attività di accompagnamento e facilitazioni delle iniziative imprenditoriali sul territorio… per un importo complessivo di Euro 57000,00 (oltre IVA)». Papale, papale, e con tanto di iva.
Non solo, ma in Toscana sembrerebbe addirittura che Legambiente le centrali eoliche…se le costruisca e gestisca da sola. Infatti, come ha rivelato in conferenza stampa e a Radio Radicale Vittorio Giugni, coordinatore toscano del CNP, due visure camerali sul gruppo Eneco Geie di Livorno (amm. unico Lorenzo Partesotti), che ha come scopo sociale “la costruzione, la gestione e la commercializzazione di impianti e centrali eoliche”, e sulla Eolis srl di Livorno (eguale amministratore unico) Lorenzo Partesotti, via Grande 73 Livorno, con scopo sociale “la costruzione, la gestione e la commercializzazione di impianti per la produzione, trasporto, distribuzione e utilizzazione di energia elettrica”. Nella stessa conferenza stampa vengono consegnati ai presenti due articoli giornalistici di Lorenzo Partesotti, della fine di novembre del 2003, con la sua qualificazione di Responsabile energia di Legambiente Toscana. Un conflitto d’interessi rosso-verde: verde d’invidia, rosso di vergogna.
IMMAGINE. Torri eoliche a ridosso della contrada Carmasciano (Avellino).
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