07 aprile 2009
Terremoto dell’Aquila. Chi ha distrutto vite e identità dei luoghi deve pagare
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E’ facile fare i razionali quando non si è coinvolti. Però, analizziamo a mente fredda la tragedia del terremoto dell’Aquila. Per un cinico paradosso della statistica, il punto più grave per la collettività non è il numero di vittime: oltre 250.
Non possiamo dimenticare, infatti, che più di 5000 morti e più di 300 mila feriti all’anno li fanno in Italia i soli incidenti stradali. Una media di 14 morti e 800 feriti al giorno.
Eppure – chissà com’è – queste morti a quattro o due ruote vengono viste come piccole tragedie individuali, legate quasi alla fatalità, allo stesso "rischio" insito nel mezzo meccanico.
In un terremoto, invece, l’ambientazione drammatica, il fattore sorpresa, la contemporaneità delle morti, la stessa perdita della casa – che per valore psicologico, economico e storico-famigliare non può certo equivalere ad un’automobile – amplificano la tragedia, rendendola collettiva e quindi "incommensurabile".
Invece, andrebbe commensurata. Se davvero gli Italiani tengono alla vita propria, dei propri cari, degli amici e dei vicini, come rivelano queste ricorrenti tragedia, come mai poi costruiscono case abusive, oppure si affidano a ingegneri-architetti progettisti o addirittura a geometri che non rispettano le leggi antisismiche, oppure non costruiscono a regola d’arte?
Come mai la gente d’Abruzzo (assai più dignitosa e decente nella catastrofe di quella del Sud), che come gente di montagna dovrebbe essere abituata alla schiettezza e alla tenacia, non controlla i propri tecnici, i propri amministratori locali, affinché vigilino severamente sulle concessioni, sulle ditte, sui lavori edili?
Eppure, non c’è da obiettare: se la torta non riesce ce la prendiamo col cuoco, se un articolo contiene errori critichiamo il cronista, perfino se un albero cade e fa danni passa i suoi guai il proprietario. Come mai, allora, solo ingegneri, architetti e geometri la passano liscia quando il loro manufatto crolla con un sisma che avrebbe dovuto superare?
Non è giusto. Anche perché, al di là delle morti, il danno sociale e antropologico della cancellazione di interi quartieri o paesi, è l’annullamento del tessuto sociale, del patrimonio comune. Insomma, la fine di una identità. Perché quei luoghi carichi di ricordi sono andati perduti per sempre.
Eppure si sapeva già da mesi dell'alto rischio di un nuovo sisma distruttivo. Perché la Protezione Civile non ha ordinato di rafforzare e mettere in sicurezza almeno gli edifici pubblici?
Anche questo terremoto, perciò, con 5,8 gradi Richter (e dunque di forza moderata), non è una fatalità, il frutto della forza del Destino, ma è colpa solo degli uomini, dell'ottusità, della furbizia o trasandatezza di certi uomini. Se pensiamo che i napoletani costruiscono inutili seconde case sul Vesuvio, i calabresi (e molti altri) sulle fiumare o torrenti disseccati, gli abruzzesi cementificano il letto dei ruscelli, e tutti edificano ovunque, perfino nei Parchi, in mancanza di controlli e repressione severa, vediamo che è proprio la bulimia del costruire e cementificare il primo male ambientale in Italia.
Perfino un profano si rende conto che se piloni ancora nuovi di cemento armato crollano (quasi intatti) è perché non sono stati collegati saldamente tra loro.
Dunque, responsabilità penali gravissime per progettisti o direttori dei lavori che hanno mal eseguito i progetti. Tertium non datur.
Anzi, sì: c’è la gravissima responsabilità dei controllori a tutti i livelli, che dovevano vigilare e non lo hanno fatto, tutti presi dalla droga della politica o dal superlavoro avido e stressante. O lo hanno fatto all’acqua di rose: all’italiana. Forse con inghippi e mazzette, forse per risparmi all’osso, forse per imperizia tecnica.
Ha fatto bene, quindi, la procura della Repubblica dell’Aquila ad aprire un’inchiesta, per ora contro ignoti. Ignoti di cui tutti gli abitanti dei luoghi sanno benissimo nome e cognome.
Etichette: disastri naturali, urbanistica
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