11 maggio 2011
Buste di plastica. Da dietro la lavagna, l’Italia sale in cattedra. E fa lezione.
Sempre a lamentarci, sempre a dire no, sempre a descrivere con evidente morboso compiacimento catastrofi, brutture e cattive notizie. E’ proprio un vizio sado-masochistico quello che unisce quattro categorie umane tipiche di questa sindrome della sofferenza e fascinazione del Male (con la scusa di dolersi che il Bene non c’è): i giornalisti, gli ecologisti, i cattolici e gli Italiani.
Ma basta col brutto, col negativo, vediamo finalmente il bello che accade, il lato positivo della realtà che è intorno a noi, insomma le buone notizie. Non ci sono? Inventiamole. Facciamo finta che ogni giorno sia il 1 aprile. Che so: il premio Italia Nostra quest’anno va alla Regione Calabria “per aver saputo porre il blocco definitivo dello scempio del territorio, vietando e reprimendo in modo duro ed efficace la piaga dell’abusivismo edilizio”. Oppure, il riconoscimento OMS-WHO delle Nazioni Unite al Comune di Napoli, “per aver garantito eroicamente la salubrità dell’ambiente urbano con una oculata ed esemplare gestione dei rifiuti e per aver fatto sorgere dieci parchi naturalistici sulle discariche attorno alla città”.
No, no, Ma perché inventare notizie di sana pianta? Non è meglio cercarne una davvero positiva, ma vera?
Ecco, l’ho trovata: era l’unica da dieci anni, e ci era sfuggita, era sfuggita a tutti, tanto che non ne parla ancora nessuno. Il che dice tutto dei nostri riflessi condizionati, appunto.
Anzi, se n’era parlato quando sembrava che fosse una notizia negativa, ma ora che con un inaspettato colpo della Fortuna la notizia rischia di diventare positiva, non ne parla più nessuno. Terrorizzati scaramanticamente dal Buono, giornalisti ed ecologisti la scartano. Se non è una cattiva notizia, che notizia è? E poi la gente non la leggerebbe: è noto che l’attenzione dei lettori è legata alla paura, al panico.
E invece la notizia merita di essere ripescata, perché la prossima buona forse verrà tra dieci o vent’anni. Approfittiamone, dunque.
Dunque, sapete che il Governo italiano, sorprendendo tutti, anche quei filo-governativi che conoscono quant’è poco amico dei cittadini consumatori e invece tanto “amico del giaguaro”, cioè i suoi legami con tutte le lobbies dei produttori possibili e immaginabili, soprattutto i più squallidi e inquinanti, aveva vietato dal I gennaio 2011 le buste di plastica non effettivamente biodegradabili. (Segno che una lobby, una sola, l’unica, non era riuscita a intessere rapporti con questo Governo? Fate voi). Bene, tutti a dire: vedrete quello che succederà ora a non tenere in alcun conto i tempi delle Direttive Europee. La UE ci farà tottò sul sederino, e magari comminerà all’Italia, per questa ennesima disobbedienza milioni di euro di multa. Notizia cattiva. Da buona che doveva essere.
E invece no. Il commissario europeo ha rigettato il ricorso dei produttori di materie plastiche, additando addirittura l’Italia a modello d’Europa. Una volta tanto. Insomma, da cattiva che era diventata, la notizia torna ad essere buona. E perciò nessuno l’ha data o commentata.
Lo facciamo noi, insieme a pochi altri: godetevi il collegamento a questa inusitata notizia.
IMMAGINE. La soluzione migliore per sostituire le famigerate buste di plastica per le piccole spese non è il sacchetto di plastica biodegradabile ottenuto dal mais (è poco resistente, e poi sottrae spazio prezioso all’agricoltura per uso alimentare), tantomeno la busta di carta (servono piantagioni apposite ed enormi spazi agricoli), ma la retina di canapa, cotone, juta o plastica, che quando non si utilizza si può comodamente nascondere in tasca o in borsetta, si adatta automaticamente agli oggetti che contiene, si può riutilizzare un numero infinito di volte, e si può anche lavare. Il modello sopra raffigurato è tratto dal sito di un retificio italiano. Il produttore assicura che può reggere fino a 30 kg. Gradiremmo sapere, però, dove si può trovare in vendita e quanto costa.
Etichette: anticonsumismo, consumatori, consumi
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