14 maggio 2009

 

Oceano e ora anche Mediterraneo: tonno e grandi pesci inquinati dal mercurio

Il tonno, specialmente il "tonno rosso" (Tunnus thynnus) è una specie ormai a rischio di estinzione, per colpa soprattutto dei giapponesi e della loro mania per il sushi. Per loro viene allevato e ingrassato in apposite gabbie galleggianti con enormi quantità di alici e sardine, la cui distruzione massiccia pone ulteriori problemi ecologici.
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Sani come pesci? Se le carni di terra sono inquinate da farmaci, antibiotici e ormoni somministrati negli allevamenti intensivi, se i pesci di allevamento di acqua dolce sono condizionati dalla qualità dei mangimi e degli additivi, anche i pesci spontanei pescati negli Oceani sono inquinati da sostanze chimiche estranee. Per esempio, il tonno, il pesce spada, e tutti i pesci carnivori di grossa taglia, a causa della lunga catena trofica (pesce grande mangia pesce piccolo), contengono notevoli quantità di metalli pesanti non eliminabili dal metabolismo animale, primo tra tutti il neurotossico mercurio.
Pensiamo a quanti milioni di persone mangiano sempre più spesso tonno come alternativa alla carne di manzo, e ai tanti pigri - quanti ne conosciamo! - che al massimo della creatività gastronomica si limitano a rovesciare il contenuto di una scatoletta di tonno, liquido di conserva compreso, sul piatto di pastasciutta (tempo di preparazione totale: 7 minuti).
Il sito americano BioEd Online, del Baylor College di Medicina di Houston (Texas) ha pubblicato un interessante articolo di sintesi sul problema. "Il mercurio sta aumentando nelle acque e nei pesci dell’Oceano", dà l’allarme Naomi Lubick. Una ricerca di E. Sunderland e colleghi dell’Università di Harvard ha anche ipotizzato un meccanismo probabile d’azione. Il mercurio potrebbe provenire per lo più dall’inquinamento atmosferico (prova ne sia che nelle acque superficiali è più abbondante), sarebbe metilato dal plancton e poi, reso in tal modo assimilabile, riconsegnato al mare e alla catena alimentare marina.
Tra gli studi recenti citati c’è anche quello di Nicola Pirrone, direttore dell'Istituto sull'Inquinamento Atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Cnr, nel numero di maggio della rivista scientifica Limnology and Oceanography, ripreso da "Nature". Ebbene, dallo studio italiano emerge che anche il Mediterraneo è inquinato da mercurio, anche se meno di altri mari. Nulla di comparabile, per esempio, ai mari dell'Estremo Oriente (dice niente il "morbo di Minamata"?). E come se non bastasse l’inquinamento dei residui di lavorazioni industriali, si è scoperto che hanno grande importanza i giacimenti naturali sul fondo marino del minerale mercurico cinabro, nell’Antichità usato per creare il colorante rosso.
Sul quotidiano ecologista Terra, F. Tulli ha anticipato il 16 aprile questo studio rivelando lo strano paradosso che pur essendo il mare Mediterraneo tra i relativamente meno inquinati da mercurio, i suoi pesci risultano tra i più ricchi di tracce di questo metallo. Come mai?
L’anomalia, che emerge in particolare nella comparazione con la fauna ittica atlantica, è stata oggetto di uno studio di Nicola Pirrone, direttore dell’istituto sull’Inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr), i cui risultati sono stati pubblicati sul numero di maggio della rivista scientifica Limnology and Oceanography. "L’intento della ricerca - spiega Pirrone - è stato quello di capire in che modo il mercurio si accumula nei pesci e in che misura, riducendo le emissioni, viene intaccato questo meccanismo".
Dalle analisi è emerso che gran parte del mercurio che si trova nel nostro mare proviene dall’atmosfera, ed è ovviamente prodotto dall’uomo. Le principali fonti sarebbero le discariche, tramite le quali si inquinano le falde acquifere, e le emissioni delle centrali termoelettriche a carbone, degli inceneritori, delle acciaierie e delle industrie produttrici di vari metalli. Quando il mercurio arriva nel mare, una parte si sedimenta, una seconda resta disciolta, una terza si accumula nei pesci e una quarta porzione torna nell’aria.
Ad aggravare la situazione per la fauna ittica del Mediterraneo sono i cambiamenti climatici che influenzano in modo determinante i tempi di residenza in atmosfera del mercurio. La forte irradiazione solare, le elevate concentrazioni di ozono e di particolato atmosferico creano una "miscela" che provoca la formazione di mercurio reattivo, ossia più facilmente trasferibile dall’atmosfera alle acque marine superficiali. Una tesi, questa, che Pirrone aveva illustrato già nel 2005 in occasione della presentazione del volume di cui è stato curatore: Dynamics of mercury pollution on regional and global scales - Atmospheric processes and human exposures around the world (Springer Verlag).
Ma un ruolo in questa storia - continua Terra - è da assegnare anche al mercurio presente in natura. Lungo i fondali di tutto il Mediterraneo corre infatti un giacimento di cinabro, minerale ricco del metallo incriminato. Non a caso un altro obiettivo delle analisi effettuate dalla nave laboratorio Urania del Cnr è stato quello di verificare quanto mercurio deriva da questi giacimenti e quanto è quello di origine antropica.
Principale artefice della dispersione di questo veleno, l’uomo è anche la vittima del mercurio al pari dei pesci. I pericoli sono molto gravi: problemi al sistema nervoso centrale, con alterazioni motorie e neuronali, problemi renali, cardiovascolari, insorgenza di forme cancerose, soprattutto al sistema immunitario: sono questi i principali rischi che corre chi è esposto ad alte concentrazioni di mercurio.
E quali sono a livello mondiale le zone più pericolose? "I dati sull’inquinamento atmosferico in Europa non preoccupano quanto quelli di alcune regioni della Cina o del Vietnam", osserva Pirrone. È qui che il mercurio si trova in miniere a cielo aperto ed è qui che viene usato come amalgama per l’estrazione dell’oro.
Secondo studi del 2005, riportati nel libro curato dal ricercatore dell’Iia Cnr, su scala globale ogni anno vengono rilasciate in atmosfera circa 4.500 tonnellate di mercurio, di cui 2.250 derivanti da attività industriali e il resto da sorgenti naturali. In definitiva sono i Paesi asiatici, che contribuiscono per il 40 per cento delle emissioni mondiali, a determinare l’impatto più evidente sulla catena alimentare. Ciò non toglie – conclude Tilli – che anche dalle nostre parti per evitare rischi alla salute è preferibile consumare pesci di piccola taglia. Nella fauna ittica di grandi dimensioni, infatti, l’accumulo di mercurio può risultare pericolosamente tossico.
Sulla salute dell'uomo il mercurio ha effetti devastanti: può danneggiare le funzioni cerebrali, il Dna e la riproduzione. Un duro colpo per i tanti pigri in cucina, che spesso si limitano ad un facilissimo piatto unico: spaghetti al tonno.

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Comments:
Penso ai milioni di persone che mangiano tonno quasi ogni giorno...
 
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