10 aprile 2011

 

Acqua: sprechi, inefficienza, corruzione. Non è solo il dilemma pubblico-privato

"Un punto di vista intelligente e trasversale sul problema italiano dell'acqua è nell'intervento di Sergio Rizzo che riportiamo qui sotto. Non basta reclamare il diritto dell'acqua, occorre anche meritarsela. La rete idrica italiana è un colabrodo perchè l'amministrazione pubblica è largamente carente quando non proprio schifosa. Nè il problema può essere risolto con le privatizzazioni clientelari che si vorrebbero fare. Riflettiamo su quanto viene esposto.
Il fatto che con la scusa dell'efficienza si intende privatizzare l'acqua e quindi trasformarla da un bene pubblico ad una merce con la quale ricavare possibili profitti, non deve far dimenticare tutta la penosissima questione dello spreco dell'acqua da parte delle istituzioni pubbliche in Italia. Poichè diritto acquisito che non porta voti o quatttrini, la corretta gestione del patrimonio idrico è stata ignorata e così un pò tutte le amministrazioni locali non hanno effettuato investimenti o manutenzioni dei sistemi di raccolta e distribuzione dell'acqua. Adesso allo stremo del sistema si inizia a riconoscere il grande valore dei beni comuni, tra cui, principe, l'acqua. E prima?
L'età dell'acqua pubblica è stata purtroppo una storia triste e squalida di negligenza e corruzione delle autorità locali. Non vi è oramai solo il problema della mancanza o dello spreco di acqua, accanto incombe il problema dell'avvelenamento progressivo delle acque a causa dell'inquinamento agricolo, industriale e urbano, della perdita delle sorgenti a causa del dissesto idrogeologico, e non ci inganna la potabilizzazione della acque con sistemi di depurazione o per decreti legge che innalzano (vera truffa alla collettività o già tentato omicidio) la soglia di inquinanti potabili.
Quindi è bene che sia riconosciuto come bene comune, ma l'importante è che non sia maltrattato come tutti gli altri beni comuni.
E' quindi una tipica illusione della cultura di sinistra pensare che la soluzione sia affidare un ambito alla sfera statale. Sotto questo discorso vi è l'incoscienza di quali interessi si muovono dietro le attività di stato e parastato, spesso al pari o peggio di quelle private. Come del resto è una tipica illusione della cultura di destra pensare che la soluzione sia affidare un ambito al privato. Sotto questo discorso vi è l'interesse di clientele e cordate imprenditoriali che cercano di sgraffignare qualcosa ancora.
E potrebbe essere benissimo che gli stessi personaggi e le stesse logiche si possano rintracciare con stessi gestori, una volta pubblici, un altra volta privati. Se la tutela del bene comune, naturale, culturale, sociale, economico, divenisse invece reale fondamento delle attività istituzionali e se i ceti politici pagassero caramente sorprusi, sprechi ed errori nella gestione del bene comune, se quindi i principi di diritto istituzionale fossero informati da una coscienza ecologista potremmo vedere finalmente, un giorno, una cura e attenzione appropriata o lodevole delle acque, della terra, dell'aria che respiriamo, della flora e della fauna e così via.
Ma andiamo a quanto esposto lucidamente da Rizzo nel suo blog "La Deriva" sul sito del Corriere della Sera.
MAURIZIO DI GREGORIO

"Niente accomuna oggi trasversalmente la sinistra e la destra come l' acqua. Se il «religiosissimo» (autodefinizione) governatore della Puglia Nichi Vendola azzarda un paragone blasfemo, dicendo che «privatizzare l' acqua è una bestemmia in chiesa», una liberista come Emma Bonino non esita a liquidare così la faccenda: «Mancano le condizioni». Mentre la Lega, che per lealtà ha dovuto ingoiare il boccone amaro, votando la legge che potrebbe trasferire in mani private la gestione delle risorse idriche, comincia a intuire quanto rischia di rivelarsi indigesto. E anche molti amministratori locali del Pdl storcono il naso.
Il paradosso è che niente, come l' acqua, divide gli italiani. Basta dare un' occhiata al Blue Book del centro di ricerca Proacqua per rendersi conto di come l' unità «idrica» del Paese non si sia mai realizzata. A Milano si pagano tariffe pari a un quarto di quelle di Terni, che sono appena più alte rispetto alle bollette di Latina. O di Agrigento, dove l' acqua è un bene raro e prezioso.
Per non parlare degli sprechi. Ogni anno, secondo un documento della Confartigianato, il 30,1% dell' acqua immessa in rete non arriva ai rubinetti: per fare un paragone europeo, in Germania le perdite non arrivano al 7%. Come se buttassimo dalla finestra 2 miliardi e 464 milioni, somma che basterebbe a compensare l' abolizione dell' Ici per la prima casa.
Chi è responsabile? Reti colabrodo, investimenti carenti, una gestione spesso sconsiderata. I colpevoli sono diversi, e tutti in qualche modo imparentati con l' azionista pubblico. Problemi così grandi che la buona volontà, senza i soldi, serve a poco. In tre anni l' Acquedotto pugliese, il più grande d' Europa con i suoi 20 mila chilometri di rete, è riuscito a recuperare 40 milioni di metri cubi di perdite. Le quali sarebbero così scese al 35% dal 37,7%. Bene. Anzi, benissimo. Ma se ai tubi rotti e agli allacci abusivi si sommano le perdite amministrative, calate comunque dal 12,8% all' 11,8%, l' emorragia economica dell' azienda sfiora ancora il 47%.
Tutto questo rende difficilmente comprensibile, al di là delle pur rispettabili opinioni ideologiche, la sollevazione bipartisan contro la privatizzazione del servizio, con la motivazione che ciò esproprierebbe i cittadini di un bene pubblico vitale a vantaggio di imprese che hanno il solo obiettivo del profitto.
Privatizzazione che peraltro in Italia, a dispetto di quello che si immagina, è ancora una illustre sconosciuta.
Prendiamo il caso di Agrigento, dove si pagano le tariffe fra le più alte d' Italia, con una media di oltre 400 euro l'anno a famiglia per un servizio, come ha dimostrato il bel servizio trasmesso da Presa diretta di Riccardo Iacona, di qualità inaccettabile. Ebbene, da tre anni la gestione è appaltata a una società «privata», la Girgenti acque, che opera in perdita. Ma di «privato» ha il nome e gli azionisti di minoranza. Perché il 56,5% è controllato dalla Acoset spa, società dei Comuni catanesi, e dalla Voltano spa, a sua volta di proprietà dei Comuni agrigentini. Che della Girgenti acque hanno anche la gestione: presidente e amministratore delegato sono infatti i manager delle due società comunali, Vincenzo Di Giacomo e Giuseppe Giuffrida.
In Acqualatina, società che gestisce le risorse idriche nell' area pontina, la gestione è invece nelle mani del socio privato. È la francese Veolia, che con il 49% delle azioni esprime l' amministratore delegato Jean Michel Romano e deve convivere con una situazione molto curiosa, per un azionista privato: gestire un' azienda di cui è presidente un senatore, Claudio Fazzone del Pdl. Nel 2008 Acqualatina ha perso 4,4 milioni e ha dovuto varare un piano di lacrime e sangue. Nonostante tariffe astronomiche. Dimostrazione che nemmeno i privati, in un sistema come il nostro, hanno la bacchetta magica.
Ecco perché prima di tutto sarebbe il caso di risolvere il problema della regolamentazione del Far West dell' acqua, affidando a un' autorità indipendente il compito di stabilire tariffe eque e imporre la decenza del servizio. Se anche qui si vuole aprire il capitolo dei privati, è uno strumento fondamentale per mettere al sicuro da ogni rischio l' uso di un bene vitale. C' è per il gas e l' elettricità. Perché non per l' acqua? O si vuole ripetere l' errore già compiuto in occasione di altre privatizzazioni?
SERGIO RIZZO

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Comments:
Siete i primi a mettere in evidenza che non è solo questione di pubblico-privato... Complimenti.
 
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