28 novembre 2007

 

Ecologisti. Nascono le Liste Verdi, come i Grünen in Germania. Ma in Italia non c’è spazio politico.

Vignetta mio art. su nascita Verdi (Domenico, Astrolabio 1983)  ECOLOGISTI

IL PARTITO VERDE È MATURO 

La « gaffe » politica di presentare Liste Verdi autonome nelle prossime elezioni amministrative. Perché non è vero che il partito degli ecologisti oggi è prematuro: i nostri Verdi hanno l'età di quelli europei. Solo, non c’è spazio politico.

NICO VALERIO
L'Astrolabio, n.3, 13 febbraio 1983

Ciò che non era riuscito ai luddisti dell'800 – frenare gli eccessi disumanizzanti della civiltà delle macchine – riuscirà un secolo dopo ai naturisti degli anni '80? Il milione e duecentomila voti avuti in Francia da Brice Lalonde con una lista « ecologista » (ma il termine è improprio, perché l'ecologia come la cristallografia è solo una piccola e specialistica branca della storia naturale, nient'affatto operativa sul piano sociale e politico: meglio sarebbe parlare di « naturismo » e di « naturista »), e il successo dei Grünen tedeschi di Petra Kelly, col 5-8% dei voti, pongono anche in Italia il problema se siano maturi o no i tempi per un Partito Verde.

Intanto, non un partito ma liste « verdi » autonome sono state proposte per le prossime elezioni amministrative dai radicali Amici della Terra a Pdup, Dp e Pr, ai due clubs protezionisti più moderati e apolitici, Italia Nostra e WWF, oltre alla Lega per l'ambiente dell'Arci, vicina alla sinistra storica. Una simile gaffe politica – porre a contatto di gomito gli ecologisti più borghesi o più prudenti con i contestatori più scamiciati della sinistra di classe – non poteva che far fallire l'iniziativa radicale. Italia Nostra ha subito detto no a liste verdi: continuerà a sensibilizzare i partiti, nessuno escluso, dall'esterno. Anche il WWF, in teoria d'accordo perfino sul partito verde, ha espresso per bocca di Fulco Pratesi e Arturo Osio molte perplessità sui compagni di strada assegnatigli, ritenendoli poco rappresentativi per una battaglia di massa.

Così, privo dei « verdi », il convegno sul « Partito Verde in Italia » tenuto a Trento a dicembre dalla Neuer Link di Alex Langer, dopo le analisi politologiche e gli invidiosi accenni alle belle realtà d'oltralpe, ha dovuto mestamente concludere che da noi non si andrà oltre qualche lista verde in città, come Ancona, in cui è più stridente il contrasto tra guasti ambientali e pigrizia di amministratori (Bettini). Tra i tanti se e ma, anche quelli del politologo Baget Bozzo (Psi) e di Testa (Pci), della Lega per l'ambiente, per cui il partito verde sarebbe oggi prematuro, ma i verdi col loro modo nuovo di far politica dovrebbero svecchiare e cambiare la cultura e le strategie dei partiti di sinistra.

Capita l'antifona? Certo, il riconoscimento della scarsa rappresentatività dei partiti è oggi un argomento irresistibile a favore del partito verde, come ieri è stata la prima ragione del successo della Lega per il divorzio e del movimento femminista. E allora, perché ripetere l'errore e il ritardo?

Tanta cautela non deve meravigliare. A Trento non era stato invitato nessun esponente dei 150 gruppi di base, autofinanziati e non certo ben organizzati come l'Arci o il WWF, ai quali si deve la diffusione anche in Italia delle tematiche della natura. Altro che « troppo giovani » come ha detto Testa. I verdi nostrani, sia pure divisi, hanno la stessa età dei verdi europei e dopo anni di maturazione sono in grado di assumersi le responsabilità della gestione della cosa pubblica.

Non mancano di base « ideologica »: manifesti che toccano l'economia, lo sviluppo industriale, il tempo libero, l'artigianato, l'agricoltura. Il più recente è quello fatto firmare dalla rivista Nuova Ecologia. In genere ci si rifà a Ivan Illich e alla sua distinzione tra « tecno-fascismo » e "opposizione conviviale », a Barry Commoner e al suo Citizen's Party, a Hirsch e ai limiti sociali dello sviluppo, allo Schumaker della tecnologia del « piccolo », alle Burgeninitiativen tedesche, al completo programma dei francesi ecc. Al partito verde, insomma, non manca una base filosofica, politica e tecnologica. Manca invece quel vasto spazio politico per una terza forza alternativa che c'è in paesi a bipartitismo integrale o corretto. Manca inoltre quella sintesi tra le varie componenti che è già compiuta in Germania, Francia e Olanda.

Con sufficienza e individualismo da noi gli antinucleari convivono con zoofili e ecologisti in senso stretto; naturisti con igienisti, nudisti, vegetariani ed escursionisti; pacifisti antimilitaristi e non-violenti con attivisti politici, molti dei quali sospetti simpatizzanti dell'ultim'ora. Come amalgamare questi settori? Ora poi il tema della pace (il movimento naturista, fin dal suo apparire, nell'800, è sempre stato pacifista) rischia di balzare al primo posto, sbilanciando l'intera collocazione del movimento che già è in equilibrio precario. Non è un mistero che i gruppi zoofili e protezionisti sono contrari o impreparati a parlare di missili Cruise o Mx-20, di Nato e Patto di Varsavia. Lasciarli fuori in attesa di una loro « maturazione » sarebbe un errore: vorrebbe dire abbandonare una parte storicamente e numericamente cospicua del movimento verde. Ecco perché è inutile in un movimento sui generis, distinguere tra « ecologisti interclassisti » e « pacifisti di classe », politici e apolitici. I verdi vanno presi così come sono; è l'interprete politico, semmai, che deve adeguarsi. E allora?

Va probabilmente ripensata la pressione sociale dei Grünen italiani, indirizzandola ad un'ampia sinistra laica (perché di sinistra si tratta, sia ben chiaro, come rivela la discriminante antinucleare) pre-partitica ma non certo pre-politica, fondata sulle scelte filosofiche, culturali, economiche, urbanistiche, tecnologiche, proprie del naturismo, più che sull'adesione banale e di breve momento a questa lista o a quel partito. E' ciò che accade all'estero, dove liste e partiti verdi sono solo comitati elettorali, ambigui quel tanto che basta a raccattare voti, mentre la vera azione culturale e politica dell'alternativa è alimentata giorno dopo giorno dalla creatività dei vari clubs di base, come ha testimoniato l'operaio Willy Hoss dei verdi di Stoccarda. Indeterminatezza ideologica con cui il partito verde potrebbe pescare a piene mani al centro e a sinistra, come un tempo i radicali, portando alla fine voti utili all'alternativa di sinistra.

In futuro, quindi, niente « consiglieri del Principe » e lobby privilegiate, tipo Italia Nostra, ma un compatto e articolato gruppo popolare di pressione, un movimento federativo dai cento rivoli e perciò a contatto con partiti e istituzioni, industrie e sindacati, enti locali e culturali.

L'osmosi deve essere reciproca e non a senso unico. I verdi, cioè, devono poter influenzare e modificare i partiti, specie quelli di sinistra, aiutandoli a capire i nuovi bisogni popolari. Solo in questa prospettiva possono essere considerate positive e non sospette certe improvvise aperture di forze politiche che fino a poco fa, per incultura, denunciavano nel naturismo fantomatiche presenze regressive. E' un bene, per esempio, che l'Unità e l'Avanti! e il sindacato diano spazio al tema dell'inquinamento, che il Manifesto tenti una coraggiosa interpretazione en marxiste dell'intero fenomeno naturista (anche se poi si scopre che è solo una questione di titoli). Tutti fatti impensabili solo tre anni fa. E allora, chi aveva ragione?

Vuol dire che, dopo gli insuccessi di Pannella, i partiti della sinistra in crisi di idee e di rappresentanza, come tutti, proveranno a egemonizzare i verdi? Non sarà così facile. Né è pensabile che la sinistra faccia proprie in toto le istanze ecologiste, rendendo inutile un partito verde. La vicenda della legge Merli, le leggi sulla caccia e sui parchi, la mancata legislazione sull'ambiente, sugli alimenti, i farmaci e i cosmetici, le sanatorie demagogiche dell'abusivismo edilizio, l'apertura di nuove inutili strade e il taglio dei boschi (con conseguente dissenso idro-geologico), il costruttivismo sfrenato e paleo-capitalista (altro che «stasi dell'edilizia»!), purtroppo non imputabili solo alla DC, rendono più che mai necessaria, accanto ai partiti, la presenza del movimento dei verdi organizzati, anche se non necessariamente come partito verde, vista la crisi della forma partito. Sapranno le sinistre italiane, mentre più reale appare l'ipotesi dell'alternativa di governo, valutare come dati immediatamente politici i segnali pressanti che vengono dal basso, dalla palude dell'arcipelago verde? E' quello che ci auguriamo. .

Identikit verde

Partito in ritardo, il movimento ecologista italiano stenta a riguadagnare il tempo perduto, per la forte opposizione – per tutti gli anni '60 e '70 –dell'intero sistema economico e politico all'alternativa anticonsumistica proposta dai « verdi ». Ancora nel 1967 per i sindacati, ancorati all'unico obiettivo dei pieno impiego, costi quel che costi, l'ecologia è « un lusso che l'Italia non può permettersi ». Sembra di sentire il vecchio Costa, « falco » della Confindustria. E infatti per decenni gli operai delle fabbriche più inquinanti continuano a morire di cancro.

Solo nel 1976, appena sei anni fa, con un'azione provocatoria della neonata Lega Naturista contro la riapertura dello zoo di Roma, nasce il movimento dei « verdi » così come lo intendiamo oggi, coi suo modo sconcertante, spontaneo e pragmatico di « fare politica » con obiettivi limitati, proponendo alternative concrete, all'anglosassone. Il progresso vero, dicono i « verdi », non può essere un dato quantitativo né la violenza sulla natura e sull'uomo: cerchiamo un nuovo modello di sviluppo. Utopie, ingenuità da « buon selvaggio » alla Rousseau, provocazioni pauperistiche e antindustriali: queste le accuse di tutti i partiti, i sindacati e gli industriali al nascente movimento naturista. Perfino i radicali, all'inizio, tacciano di futilità e impoliticità quello che loro chiamano in modo sprezzante « il partito degli uccellini e dei vegetariani ».

Neanche due anni dopo è l'inizio dei cambiamento. Intuìto da buon animale politico il potenziale elettorale e aggregativo della « rivolta » naturista, Pannella decide di cavalcare la tigre e, ignorando tutto dell'ecologia, sorprendendo la buona fede dei francesi, apre e finanzia una sezione italiana degli Amis de la terre. Con scarsissimi risultati, però. Gli ecologisti sfuggono alla scoperta strumentalizzazione dei radicali e appaiono diffidenti delle furberie di Pannella, ritenuto uno « sponsor » troppo infido e pasticcione.

Intanto la base sociale dei "verdi" cresce. Mettendo a frutto l'esperienza delle lotte comuni a Montalto di Castro, agli sgoccioli degli anni '70 un centinaio di gruppi, dagli antivivisezionisti della Lav al nudisti dell'Anita, con oltre un milione e mezzo di voti potenziali, scatenano in Italia una grande battaglia contro la caccia indiscriminata, l' inquinamento e l'energia nucleare. Ma i vecchi clubs tradizionali, fondati molti anni prima dell'esplosione ecologista, si defilano o s'impegnano parzialmente. Italia Nostra si ritira, WWF e Cai sembrano non crederci troppo.

Abbinata con un colpo di mano di Pannella ad un velleitario e inutilmente provocatorio pacchetto di dieci referendum abrogativi (incompreso dai cittadini e in realtà destinato solo a umiliare la classe politica), la battaglia contro la caccia e il nucleare, data ormai per vincente – quasi il 70% degli italiani è d'accordo, secondo la Makno e la Doxa – fa registrare invece una imprevista battuta d'arresto. Il « partito dei cacciatori », finanziato dalle potenti associazioni venatorie, feudi elettorali dei maggiori partiti, e la lobby degli industriali armieri, che ricatta con la minaccia di licenziamenti il sindacato, le maestranze e il parlamento, riescono ad impedire il referendum, malgrado l'alto numero di firme. La Corte Costituzionale, con una interpretazione restrittiva, decide di non accettare i due referendum.

Per molti ecologisti italiani è la fine delle speranze in una nuova aggregazione politica; per tutto il movimento « verde » è uno smacco politico che porta disorganizzazione e crisi di identità. Una crisi da cui i "verdi" di casa nostra non si sono ancora pienamente riavuti, che insegna a diffidare d'ora in avanti di compagni di strada così poco affidabili e ingombranti come i radicali. Che avverrà ora con gli altri partiti della sinistra?

L'Astrolabio, n.3, 13 febbraio 1983

IMMAGINE. Disegno di “Domenico”, l’anonimo disegnatore dell’Astrolabio.


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