16 luglio 2009

 

Alda Croce. Oltre all’archivio del padre, coltivava tre grandi passioni: il paesaggio, l’arte e gli animali.

E’ bello sapere, e far sapere, che la custode più esperta delle opere di Benedetto Croce, la figlia Alda, che è scomparsa in questi giorni (esattamente l’11 luglio 2009) all’età di 91 anni, è stata anche una tenace sostenitrice dell’integrità del Paesaggio e delle bellezze della Natura. Il culto, anche pratico, dell’estetica e della bellezza, ovunque fosse, le battaglie civili per l’ambiente, in tempi in cui quasi nessuno se ne occupava e a nessuno era ancora venuto in mente di confonderli con la politica e di farne una professione ben retribuita, fosse pure con un seggio in Parlamento, hanno accomunato nei decenni l’intera famiglia Croce, confermando il legame inscindibile (da molti negato, per ignoranza) tra Liberalismo e Ambiente.
      Infatti, solo chi conosce il valore della libertà, e per le varie libertà particolari è capace di entusiasmarsi e battersi, si sforza poi di ricercare e far riconoscere i più diversi e nuovi diritti di libertà, primo tra tutti quello di vivere in armonia con la Natura, il Paesaggio e con l’ambiente circostante, che poi è il diritto stesso alla vita. Primum vivere, è il presupposto di ogni uomo libero, come dicevano gli Antichi.
      Il padre di Alda Croce, il filosofo "don Benedetto", fu il propugnatore del primo parco nazionale in Italia, quello d’Abruzzo, iniziato come illuminata donazione di alcuni proprietari organizzata in ente privato. Un’altra figlia, Elena Croce, fu nel 1955 tra i membri fondatori delle benemerita associazione Italia Nostra, accanto ad altri esponenti delle cultura liberale.
      E tutta la famiglia Croce metteva entusiasmo e passione per la conservazione del bello, non solo l’arte e gli edifici storici, ma perfino gli alberi. Lo stesso Croce aderì al comitato romano per la difesa di Villa Borghese minacciata dalla speculazione edilizia nel primo Novecento. E a Napoli – ricorda Marta Herling, figlia di Silvia e nipote di Benedetto Croce – le zie Elena e Alda pensavano a un museo in Palazzo Penne, unico esempio di '400 napoletano. Ma il restauro non è mai cominciato. «Mia nonna confessò di aver comprato la casa di via Crispi – racconta Marta – "per pietà di quei poveri alberi", distrutti poi dal palazzone eretto di fronte. Ma lei e mia zia Elena vinsero la battaglia facendo abbattere due piani abusivi di quell'edificio».
      Ma pochi sanno, tra il largo pubblico, che anche la seconda figlia di Croce, Alda, "vestale" e curatrice del grande Archivio, delle ristampe e delle edizioni postume del padre, l'unica indiscussa conoscitrice di biografia e aneddoti, e perfino dell'illeggibile scrittura del filosofo, aveva il paesaggio, l’arte, la natura e gli animali nel cuore.
      "Promotrice di battaglie civili per la difesa dell'ambiente, per la messa in salvo di monumenti e palazzi napoletani, e per la protezione degli animali – ha scritto il quotidiano napoletano Il Mattino - è stata una protagonista centrale e discreta della cultura italiana del Novecento e della vita culturale della sua città. Nel corso della sua vita ha ricevuto anche il Premio Cortese per la cultura e per l'ambiente"."Da lei ho tratto esempio, è stata l'ispiratrice di molte delle cose che ho scritto", ha dichiarato lo storico Piero Craveri, figlio di Elena Croce. "Ho vissuto con lei 25 anni - ha detto - Alda è stata una donna colta, con una profonda formazione umanistica". "Mi univa a lei - ha aggiunto - anche l'impegno per la difesa dell'ambiente e del paesaggio". "Dopo mia madre - ha concluso - è stata l'esperienza familiare più profonda che abbia avuto".
      Fu liberale, certo, ed anzi con qualche simpatia radicale. "Ma il suo impegno politico più forte fu quello per l'ambiente, il paesaggio, i beni culturali, l'ecologia", ha scritto Giuseppe Galasso in un articolo sul Corriere della Sera del 13 luglio. "In questo campo ebbe per decenni una presenza ininterrotta quanto meritoria e apprezzata, continuando il filo della tradizione a cui era legata. Per suo conto, più che modesta, era spartana.       Le sue prodigalità erano per i suoi innumerevoli gatti, e per segrete e sorprendenti opere benefiche".
      Alda Croce si era battuta a lungo per la sua città. Ambientalista impegnata, aveva fondato un Comitato per la difesa del centro storico cittadino, che poi anche per suo merito fu riconosciuto come Patrimonio dall’Unesco. Tra le sue campagne quella per la salvaguardia della Costiera amalfitana e l’abbattimento del "mostro di Fuenti". "Con il suo grande interesse per la tutela del paesaggio e dei beni storico-artistici della città", ha ricordato il Presidente dell’Istituto per Studi Filosofici, Gerardo Marotta, convinse il Governatore della regione ad acquisire Palazzo Penne per procedere alla sua ristrutturazione ". "È stata una guida per quanti come lei avevano a cuore i problemi di Napoli e del suo centro storico", spiega Mario De Cunzo, e la ricorda con rimpianto anche il presidente di Italia Nostra, Guido Donatone: "Per decenni Alda è stata membro e animatrice del direttivo della nostra associazione".
      "Fu in fondo l'eroina di una doppia battaglia, quella crociana e quella civile della cultura e dei suoi beni e dei suoi valori. Due battaglie combattute entrambe all'insegna del più strenuo disinteresse, e non come cause particolari, ma come legate alle ragioni superiori della storia e della civiltà. Le dobbiamo tutti qualcosa", ha concluso Galasso.

AGGIORNATO IL 5 APRILE 2016

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06 luglio 2009

 

Nere anche le facce di ministri ed esperti per le bugie sulle centrali a carbone

Ma è proprio vero che hanno un impatto ecologico modesto, grazie alle "nuove tecnologie", le centrali italiane a carbone? E’ stato calcolato che le 12 centrali finora in attività producono il 14 per cento del totale dell’energia elettrica, di fronte all’emissione del 30 per cento dell’anidride carbonica liberata per la produzione complessiva di elettricità. Il che vuol dire 42,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, cioè 3,7 milioni di tonnellate in più rispetto ai limiti dalla direttiva europea ETS (Emission trading scheme), nel 2007.
Se poi dovessero partire anche i nuovi impianti già autorizzati o in corso di valutazione, avremmo in più altri 38,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica CO2, quasi il raddoppio.
Questi dati aggregati sembrano dimostrare che a tutt’oggi aumentare l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica, come previsto dalla politica energetica del Governo, è ancora una scelta sbagliata e controproducente, come si legge nel dossier di Legambiente "Stop al carbone 2009". Contrariamente a quanto si ripete spesso, il carbone non ha ancora risolto il suo problema principale, cioè le notevoli emissioni di CO2.
Eh, ma ora ci sono le centrali "di seconda generazione", si obietta. Macché. Anche la moderna centrale di Civitavecchia non riescono a scendere al di sotto dei 770 g di CO2 per kilowattora, quasi il doppio di quello che emette una moderna centrale a ciclo combinato alimentata a gas naturale.
Nel frattempo, le altre centrali a carbone in funzione in Italia continuano a inquinare superando le quantità di CO2 consentite in base alla direttiva europea ETS entrata in vigore nel 2005. La conseguenza è che per coprire gli 8,7 milioni di tonnellate di CO2 emessi oltre ai valori consentiti sono già stati scaricati in bolletta 100 milioni di euro.
Gli oppositori all’uso del carbone, in altre parole, fanno notare che quella del "carbone pulito" è una favola propagandistica. Il suo utilizzo non solo non migliorerà la sicurezza energetica dell’Italia, ma neanche ridurrà i costi e le bollette.
Si dice che il carbone costa poco. Costava poco. Oggi il prezzo del carbone sul mercato internazionale è in aumento, dato che di fronte alla domanda è in calo l’offerta. Nel periodo tra il 2000 e il 2007 il prezzo sul mercato europeo ha avuto un incremento del 141 per cento, e la disponibilità è scesa da 230 a 133 anni. Il suo prezzo è destinato ad aumentare, anche per la fine a partire dal 2010 degli aiuti di Stato, pari nel 2007 a 3,4 miliardi di euro.
"L’Italia sta portando avanti una politica di assoluta retroguardia nella lotta al cambiamento climatico, in direzione opposta a quella fissata dalla Unione Europea con il pacchetto clima energia, e a quella recentemente tracciata dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Obama", ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente.
Non solo: "Nuove centrali a carbone – aggiunge Ciafani – aumenterebbero
il nostro ritardo nel contrasto al Global Warming, condannandoci a pagare pesanti sanzioni per il mancato rispetto delle scadenze dei protocolli internazionali e ostacolando gli investimenti in quelle tecnologie verdi che potrebbero invece rilanciare oggi la nostra economia per metterle a disposizione, domani, dei nuovi mercati internazionali".
Tra gli impianti a carbone, attivi oggi in Italia, i più inquinanti per emissione di CO2 sono quelli di Brindisi Sud, di proprietà Enel (14,2 milioni di tonnellate di CO2, rispetto ad un limite ETS di 13,4), la centrale ex Endesa, oggi Eon, di Fiume Santo (SS) (4,3 milioni di tonnellate, cioè più 0,7 rispetto al limite ETS) e l’impianto Enel di Fusina (VE) (4,2 milioni di tonnellate, ovvero meno 0,6 rispetto al limite ETS).
Per una stima complessiva delle emissioni di CO2, al contributo di questi impianti va aggiunto quello che proverrà dalla centrale di Civitavecchia, di imminente avvio (circa 10 milioni di tonnellate) e degli altri progetti già autorizzati o in corso di valutazione presso la Commissione di Valutazione dell’Impatto Ambientale: 4,1 milioni di tonnellate per i nuovi gruppi a carbone della centrale Tirreno Power di Vado Ligure (SV) e di quella Eon di Fiume Santo; 7,5 milioni di tonnellate della centrale progettata ma non ancora autorizzata a Saline Joniche (RC); 10 milioni di tonnellate per quella di Porto Tolle, la cui riconversione è in corso di valutazione; 6,7 milioni di tonnellate per quella ipotizzata a Rossano Calabro.
Se tutte queste centrali a carbone entrassero in funzione si arriverebbe ad un contributo aggiuntivo di 38,9 milioni di tonnellate di CO2, rispetto ai 42,5 emessi nel 2007, da parte della produzione termoelettrica da carbone. Quasi un raddoppio. In perfetta e inquietante controtendenza con le direttive UE del pacchetto 20-20-20: tra il 2013 e il 2020 tutti gli impianti industriali europei, comprese le centrali termoelettriche, dovranno ridurre le loro emissioni del 21 per cento rispetto a quelle del 2005.

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