06 luglio 2009

 

Nere anche le facce di ministri ed esperti per le bugie sulle centrali a carbone

Ma è proprio vero che hanno un impatto ecologico modesto, grazie alle "nuove tecnologie", le centrali italiane a carbone? E’ stato calcolato che le 12 centrali finora in attività producono il 14 per cento del totale dell’energia elettrica, di fronte all’emissione del 30 per cento dell’anidride carbonica liberata per la produzione complessiva di elettricità. Il che vuol dire 42,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, cioè 3,7 milioni di tonnellate in più rispetto ai limiti dalla direttiva europea ETS (Emission trading scheme), nel 2007.
Se poi dovessero partire anche i nuovi impianti già autorizzati o in corso di valutazione, avremmo in più altri 38,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica CO2, quasi il raddoppio.
Questi dati aggregati sembrano dimostrare che a tutt’oggi aumentare l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica, come previsto dalla politica energetica del Governo, è ancora una scelta sbagliata e controproducente, come si legge nel dossier di Legambiente "Stop al carbone 2009". Contrariamente a quanto si ripete spesso, il carbone non ha ancora risolto il suo problema principale, cioè le notevoli emissioni di CO2.
Eh, ma ora ci sono le centrali "di seconda generazione", si obietta. Macché. Anche la moderna centrale di Civitavecchia non riescono a scendere al di sotto dei 770 g di CO2 per kilowattora, quasi il doppio di quello che emette una moderna centrale a ciclo combinato alimentata a gas naturale.
Nel frattempo, le altre centrali a carbone in funzione in Italia continuano a inquinare superando le quantità di CO2 consentite in base alla direttiva europea ETS entrata in vigore nel 2005. La conseguenza è che per coprire gli 8,7 milioni di tonnellate di CO2 emessi oltre ai valori consentiti sono già stati scaricati in bolletta 100 milioni di euro.
Gli oppositori all’uso del carbone, in altre parole, fanno notare che quella del "carbone pulito" è una favola propagandistica. Il suo utilizzo non solo non migliorerà la sicurezza energetica dell’Italia, ma neanche ridurrà i costi e le bollette.
Si dice che il carbone costa poco. Costava poco. Oggi il prezzo del carbone sul mercato internazionale è in aumento, dato che di fronte alla domanda è in calo l’offerta. Nel periodo tra il 2000 e il 2007 il prezzo sul mercato europeo ha avuto un incremento del 141 per cento, e la disponibilità è scesa da 230 a 133 anni. Il suo prezzo è destinato ad aumentare, anche per la fine a partire dal 2010 degli aiuti di Stato, pari nel 2007 a 3,4 miliardi di euro.
"L’Italia sta portando avanti una politica di assoluta retroguardia nella lotta al cambiamento climatico, in direzione opposta a quella fissata dalla Unione Europea con il pacchetto clima energia, e a quella recentemente tracciata dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Obama", ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente.
Non solo: "Nuove centrali a carbone – aggiunge Ciafani – aumenterebbero
il nostro ritardo nel contrasto al Global Warming, condannandoci a pagare pesanti sanzioni per il mancato rispetto delle scadenze dei protocolli internazionali e ostacolando gli investimenti in quelle tecnologie verdi che potrebbero invece rilanciare oggi la nostra economia per metterle a disposizione, domani, dei nuovi mercati internazionali".
Tra gli impianti a carbone, attivi oggi in Italia, i più inquinanti per emissione di CO2 sono quelli di Brindisi Sud, di proprietà Enel (14,2 milioni di tonnellate di CO2, rispetto ad un limite ETS di 13,4), la centrale ex Endesa, oggi Eon, di Fiume Santo (SS) (4,3 milioni di tonnellate, cioè più 0,7 rispetto al limite ETS) e l’impianto Enel di Fusina (VE) (4,2 milioni di tonnellate, ovvero meno 0,6 rispetto al limite ETS).
Per una stima complessiva delle emissioni di CO2, al contributo di questi impianti va aggiunto quello che proverrà dalla centrale di Civitavecchia, di imminente avvio (circa 10 milioni di tonnellate) e degli altri progetti già autorizzati o in corso di valutazione presso la Commissione di Valutazione dell’Impatto Ambientale: 4,1 milioni di tonnellate per i nuovi gruppi a carbone della centrale Tirreno Power di Vado Ligure (SV) e di quella Eon di Fiume Santo; 7,5 milioni di tonnellate della centrale progettata ma non ancora autorizzata a Saline Joniche (RC); 10 milioni di tonnellate per quella di Porto Tolle, la cui riconversione è in corso di valutazione; 6,7 milioni di tonnellate per quella ipotizzata a Rossano Calabro.
Se tutte queste centrali a carbone entrassero in funzione si arriverebbe ad un contributo aggiuntivo di 38,9 milioni di tonnellate di CO2, rispetto ai 42,5 emessi nel 2007, da parte della produzione termoelettrica da carbone. Quasi un raddoppio. In perfetta e inquietante controtendenza con le direttive UE del pacchetto 20-20-20: tra il 2013 e il 2020 tutti gli impianti industriali europei, comprese le centrali termoelettriche, dovranno ridurre le loro emissioni del 21 per cento rispetto a quelle del 2005.

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Comments:
Abbiamo bisogno di fonti diverse per un mix energetico. Se per ora non possiamo affidarci alle sole rinnovabili, dobbiamo cercare di migliorare quanto abbiamo: carbone e riaprire la partita sul nucleare. E valutare anche tutti i pro che derivano dalla conversione a carbone di Civitavecchia (sviluppo urbano, più lavoro, riqualificazione del porto).. http://www.diggita.it/story.php?title=Civitavecchia_risanamento_e_investimenti_grazie_anche_ad_Enel-1
 
Quello riportato era il Comunicato di Legambiente. Penso anch'io che in questo stadio arretrato in cui versa l'Italia per colpa di tutti i Governi le energie rinnovabili non possano sostituire del tutto quelle convenzionali. E neanche si parla di risparmio.
Comunque l'energia non può essere un modo come un altro per
"modernizzare", "rilanciare", "riqualificare" ecc. Non è una merce qualsiasi: c'è di mezzo la qualità dell'aria e l'ambiente. Possibile che non si colga la differenza tra il produrre un nuovo modello di auto o attrezzare un porto già esistente, e produrre elettricità da carbone?
 
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