28 ottobre 2011

 

Agricoltura biologica. Italia prima per superficie e produttori, ma pochi acquistano

Vendite bio in Europa (tabella) Quali sono i dati complessivi dell’agricoltura biologica in Italia? Il travolgente aumento, in pochi anni, delle aree destinate all’agricoltura biologica (“organic” nei Paesi anglosassoni, “ecologica” in quelli ispanici) in un Paese di solito lento nell’adeguarsi alle nuove esigenze del mercato e con un’agricoltura tradizionalmente frammentata in una miriade di piccole proprietà, con produzioni ad alti costi e perciò poco redditizia, appare a molti incredibile (qualcuno, malevolo, dice “sospetto”), anche perché di colpo siamo diventati il primo grande produttore in Europa e tra i primi nel Mondo.

Ma per alcuni aspetti è una naturale conseguenza delle caratteristiche dell’agricoltura italiana, perché fa di necessità virtù, trasformando abilmente un antico difetto dell’agricoltura italiana in un pregio.

Infatti, dai prodotti convenzionali e indifferenziati, ad alto costo di produzione e a basso prezzo, tipici di molte zone d’Italia, la conversione biologica porta a prodotti altamente differenziati, di qualità e alto valore aggiunto, che finalmente giustificano, almeno in parte, costi e prezzi maggiori sul mercato. Il che è un altro modo, intelligente, per reagire alla crisi economica.

Nel complesso il fenomeno è altamente positivo, un fattore che fa ben sperare in un ritrovato equilibrio ecologico tra Uomo e Natura, in un Paese in cui ambiente e antropizzazione sono sempre in collisione.

La prima conseguenza dell’estendersi dell’agricoltura biologica, infatti, è che campi agricoli coltivati in modo naturale si risolvono poi in humus, fossi e ruscelli, falde idriche, piantagioni, allevamenti circostanti, insetti e animali selvatici, molto più sani. Ancor più della già utile “agricoltura integrata” (che razionalizza e riduce l’uso di pesticidi, utilizza la lotta biologica tra insetti predatori e parassiti ecc), l’agricoltura biologica è fondamentale per la riconversione del territorio.

Certo, a spulciare tabelle e dati del rapporto sull’agricoltura biologica e la zootecnia biologica in Italia (“Bioreport 2011”) realizzato dal collegamento tra i più diversi enti e uffici specializzati pubblici e privati (“Rete rurale nazionale”) che va dal Ministero per le politiche agricole all’Istituto di economia agricola (INEA), all’Istituto di servizi per il mercato agricolo (ISMEA), all’associazione dei produttori (AIAB), si fanno interessanti scoperte.

Superficie Agricoltura Biologica Italia Germania Spagna Francia (BioReport 2011) L’Italia, tra i Paesi europei a maggiore estensione, è ora prima per rapporto tra superficie agricola convenzionale e biologica (v. tabella ad inizio articolo). Il che meraviglia coloro che ricordano bene come negli anni 80 e 90 fosse l’ultima in Europa.

Colpiscono le improvvise riconversioni di massa di produttori talvolta in difficoltà o marginali, anche nell’intento pienamente legittimo in economia di lucrare prezzi maggiori per prodotto.

Questo fenomeno economico è reso possibile dalla sempre più rapida e ampia diffusione dell’informazione alimentare e agricola (il problema dell’inquinamento del cibo è molto sentito in tutti gli strati della popolazione europea e italiana), il che ha determinato – inizia così il Rapporto – un “elevato ritmo di crescita” dell’agricoltura biologica in tutto il Mondo, e specialmente in Europa e in Italia, Paese che – è una nostra supposizione – avendo ereditato una agricoltura “povera”, cioè da coltivatori diretti, si è trovato paradossalmente più avvantaggiato nella conversione.

Ma che questa conversione sia fatta bene. Al riguardo, sarebbe auspicabile, per garantire una sicura depurazione ad opera dei fattori organici e inorganici operanti sul terreno, che il periodo di passaggio al biologico per convertire un campo agricolo convenzionale fosse portato ad almeno cinque anni, con vantaggio di tutti, consumatori e produttori.

Stupisce, poi, o forse non stupisce, che la maggior parte delle massicce conversioni abbia avuto luogo in Sicilia, ormai regione capofila in Italia, come si vede da un’apposita tabella. Tutto merito del clima e del terreno?

Fatto sta che il prezioso volumetto ricco di tabelle e statistiche molto leggibili del Bioreport 2011, presentato al SANA di Bologna il 9 settembre scorso e ora visibile e scaricabile anche sul sito web della Rete Rurale Nazionale (“rurale”? non potevano scegliere un termine meno desueto e… mussoliniano?) costituisce ora un punto di partenza obbligato per tutte le future valutazioni e per gli eventuali interventi sul fenomeno “bio” in Italia.

Un ottimo lavoro, insomma, sintetico come una ricerca anglosassone, presentato a nome del comitato della Rete che ha materialmente organizzato e prodotto il volume (Francesca Marras, Carla Abitabile e Laura Viganò, tutte e tre dell’INEA) dalla coordinatrice Marras. La ricerca del Bioreport 2011 – ha detto Francesca Marras – ha “l'obiettivo di tracciare un quadro conoscitivo della situazione del settore,  mettendo a sistema tutte le informazioni e i dati esistenti sul settore biologico, e approfondendo, tramite indagini qualitative, aspetti rilevanti non monitorati dalle fonti ufficiali. Consta di tre parti fondamentali che si dividono in numerosi capitoli molto interessanti che toccano tutti i principali aspetti della produzione e del mercato del biologico:

1. Dati complessivi dell’agricoltura biologica (Situazione strutturale delle aziende, Situazione economica delle aziende, Mercato, Mezzi tecnici, Zootecnia biologica).
2. Politiche per l’agricoltura biologica (Normativa del settore, Piano di azione nazionale, Agricoltura nei piani di sviluppo rurale delle Regioni, Ricerca).
3. Organizzazione e caratteristiche del settore (Controllo e certificazione, Etichettatura, Indicatori di sostenibilità, Commercio internazionale, Agricoltura biologica sociale).

Riguardo ai dati più salienti che si ricavano dal volume segnaliamo le tendenze dell’offerta e della domanda, i risultati economici delle aziende biologiche, un’analisi dei commercio internazionale, l’entità e le caratteristiche dell’agricoltura sociale svolta dalle aziende biologiche”.

E’ confermato che la superficie agricola destinata al biologico è in Italia in forte crescita, ormai stabilizzata (+10% nel 2009 e + 0,6% nel 2010), per un totale di 1,1 milioni di ettari coltivati. Nell’UE-15, l’Italia è prima per numero di aziende, la cui superficie agricola (SAU) media è in crescita (26ha contro 8ha dell’universo aziende). L’incidenza della SAU biologica sulla totale SAU è dell’8,6% secondo il 6° censimento dell’agricoltura ISTAT. Le aziende, pari a 47.663 nel 2010, rappresentano il 2,6% del totale aziende.

Sulla situazione economica delle aziende del settore – ha sintetizzato la Marras – i  risultati riportati si riferiscono alle aziende biologiche appartenenti al campione RICA (396 aziende su 11.036). Tali aziende sono fortemente orientate al mercato. Hanno una SAU media di 50 ha e presentano risultati produttivi e reddituali superiori a quelli delle aziende convenzionali. In particolare risultano superiori il fatturato, il valore aggiunto e il reddito netto. In quest’ultimo influisce la maggiore entità di contributi comunitari in favore del settore biologico, che incidono in misura pari al 40% contro il 36% di quello delle convenzionali. Maggiore risulta il costo del lavoro, perché le aziende biologiche sono ad alta intensità di lavoro. I risultati migliori si hanno negli orientamenti produttivi meno intensivi (seminativi e indirizzi misti).

Dati positivi – continua la relazione della coordinatrice del Bioreport 2011 – provengono dall’andamento del mercato bio negli ultimi anni. L’Italia si colloca al quarto posto in Europa per il fatturato al consumo con un valore complessivo di 1.500 milioni di euro. Ma permane nel nostro paese una bassa spesa pro capite (25 euro per anno). Il trend positivo dei consumi è stato di gran lunga più favorevole rispetto ai consumi alimentari complessivi. La crescita nel 2010 dei consumi dei prodotti confezionati nei canali non specializzati è pari a quasi il 12%, anche favorita da un calo dei prezzi del 4%.

Dai dati ISMEA si rileva anche il consumatore tipo dei prodotti biologici confezionati. Il biologico acquistato nella grande distribuzione si consuma maggiormente nelle famiglie poco numerose (70% dei consumi in famiglie con max 3 componenti), si tratta di consumatori non abituali dei prodotti bio, con responsabile degli acquisti di età giovane (34-44 anni), con reddito medio più elevato. Ai negozi specializzati fanno riferimento consumatori abituali, meno giovani, con famiglie più numerose (fonte: BioBank). Pur non essendoci dati ufficiali sulle vendite di canali specializzati, da alcune indagini qualitative emerge una tendenza alla crescita degli acquisti anche in questo canale. Crescono in modo rilevante i canali alternativi di vendita e quelli della filiera corta, soprattutto quella effettuata tramite i gruppi di acquisto solidale e la vendita diretta delle aziende.

Stupisce soltanto che gli Italiani acquistino ancora poco cibo biologico, come si vede in una apposita tabella. Rispetto alla Danimarca, il primo Paese per spesa biologica pro capite (euro 139 all’anno), la spesa in Italia è al 12.o posto: appena 25 euro all’anno per persona (2009). Il totale delle vendite “bio” vede prima la Germania, con 5800 milioni di euro all’anno. L’Italia è quarta, cioè l’ultima tra i quattro grandi Paesi, ma con un enorme distacco: solo 1500 milioni di euro (2009). Circa la metà di Francia e Regno Unito, un quarto della Germania. Le cifre dell’Italia, però, non comprendono le esportazioni – che sono importanti – ed il catering (fonte: FIBL-IFOAM).

Ne consegue, in carenza di un grande mercato interno, che il grosso della nostra produzione se ne va all’estero, soprattutto Germania, appunto, e Nord-Europa. Un’altra curiosità è nelle importazioni in Italia di prodotti “bio” dall’estero. Pochi avrebbero scommesso che il 61% dell’olio d’oliva biologico è importato dalla Svizzera, evidentemente Paese a sua volta importatore e commercializzatore. L’Italia, poi, è deficitaria di cereali biologici: ne importiamo per 6.651 tonnellate (Canada, Kazakistan, Thailandia, Olanda). Importiamo anche ortaggi e frutta in contro-stagione soprattutto dal Sud Africa, Nord Africa e Sud America.

Ma moltissime altre sono le scoperte e le notizia interessanti, non solo per gli operatori, ma anche per il comune cittadino-consumatore, contenute in questo Rapporto sulla bio-agricoltura.

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Comments:
Buono! IL bio è l'avvenire dell'agricoltura. Ottimo articolo.
 
Sì, ma ormai con l'agricoltura integrata oggi utilizzata perfino dalle catene produttive che forniscono molti supermercati, non c'è più grande differenza tra bio e non bio. O no?
 
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