31 dicembre 2009

 

Ripa di Meana: “Su clima, energia e salvezza della Terra stanno sbagliando”

L'anno si conclude con il previsto fallimento del vertice sul clima di Copenhagen, la summa di tutti gli errori sul clima e sull'ambiente secondo Carlo Ripa di Meana, presidente del Comitato Nazionale del Paesaggio già commissario europeo per l'ambiente e presidente di Italia Nostra. Sul tema questo blog ospiterà prossimamente altre voci.
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"La Conferenza sul Clima di Copenhagen voleva salvare dal global warming gli orsi polari bianchi, ed è invece riuscita a far arrivare in Danimarca gli umani neri e incappucciati, i black bloc, che sfasciano le città storiche, concludendo così con un clamoroso fallimento. È stata una Conferenza partita male: preparata con atteggiamenti retorici e teatrali e, soprattutto, fondata su basi scientifiche controverse e manipolate, messe sotto accusa prima dell’inizio dei Lavori dai dati emersi con lo scandalo del climate-gate dell’Università dell’East Anglia, falsità confermate durante i lavori quando Al Gore, annunciando l’avanzato scongelamento del Polo Nord, ha citato una fonte che a distanza di poche ore ha smentito l’ex Vicepresidente americano di quanto gli aveva attribuito. La gestione della Conferenza da parte del Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon, dello stesso Al Gore, del Principe Carlo e del Consigliere del Premier Brown, Nicolas Stern, è stata demagogica e imprudente. Un forte contributo in questa direzione isterica e catastrofista è venuto anche per mesi e mesi dal Presidente Barack Obama. Così, è accaduto che una capitale europea bene organizzata è stata messa in ginocchio per dodici lunghi giorni concludendosi con un flop planetario.
Comunque, è preferibile un fallimento ad un cattivo compromesso. Le parole di Obama hanno fatto altre volte miracoli, ma mi pare che la sua capacità di illusionismo climatico si stia riducendo: nel caso global warming, infatti, il Presidente non ha avuto dalla sua il Senato, e dunque alla fine della recita Hillary Clinton ha annunciato cento miliardi di dollari ai paesi più poveri per abbattere le loro emissioni. Questa decisione priva di altri impegni fermi e vincolanti degli Stati Uniti si iscrive ancora nella politica dei doni salva coscienza che tentano, in questo caso, di occultare gli altri mancati impegni degli USA. Il problema non si risolve certo così. Non sono infatti le emissioni CO2 dei paesi emergenti a costituire il maggior problema. Se si vuole abbattere l’inquinamento antropico del pianeta bisogna cominciare col farlo negli USA, in Cina e, a seguire, in India, in Messico, in Brasile.
La Conferenza ha svelato molte cose importanti di cui si dovrà tener conto. Prima di tutto è emerso che non è all’ordine del giorno la fine della civiltà industriale basata sul carbone, che include la siderurgia, la metalmeccanica, la petrolchimica. La società contemporanea carbon-free non è pronta. Il potere politico, è un’altra constatazione dopo la Conferenza di Copenhagen, non ha imboccato la strada del nucleare che è il modo diretto, piaccia o no, per ridurre il CO2. Eloquente a tale proposito il silenzio della grande Russia nucleare. Si è inoltre visto che la green industry a oggi è molto esile: lo constatiamo con una punta di ironia proprio nel momento in cui ci propongono, con incorreggibile retorica, una nuova generazione di biciclette con pedalata assistita, messa a punto da un italiano negli Stati Uniti. Si deve riconoscere da parte di osservatori onesti e realisti che non si vive di reti digitali intelligenti, le smart grid, peraltro costosissime, che dovrebbero sostituire tutti gli elettrocondotti, le grandi reti energetiche, ecc. . Non basta che l’Enel abbia delle tecnologie per chiudere nelle miniere dismesse il CO2 in eccesso per parlare di una consistente green industry italiana.
La Conferenza di Copenhagen è nata su attese sviluppate in modo abnorme nelle opinioni pubbliche che, sulla base di una cattiva cultura e di dati scientifici manipolati per scolpire nel bronzo che l’uomo sta alterando il clima producendo il riscaldamento globale, e che a tal fine occorrono misure autoritarie e spese sovrumane per evitare l’Apocalisse, si attendevano la palingenesi onusiana. Al Gore e Ban Ki-moon hanno già proposto di fare un nuovo summit a fine 2010 in Messico, preceduto da un incontro preparatorio a Bonn verso la metà del 2010. Anche lì, a Bonn e poi in Messico, si rischia di non concludere alcunché di efficace e reale, se non verrà rimossa la premessa, oggi ancora indiscutibile, che è alla base della teoria del global warming: è l’uomo che governa il clima e che solo lo può modificare. Se si vuol fare davvero qualcosa per sbloccare lo stallo in cui la grande impostura climatica ha paralizzato le Nazioni Unite, come abbiamo visto a Copenhagen quando decine di migliaia di giovani giunti da tutto il mondo hanno vissuto la frustrazione dello scacco, e l’inutilità degli scontri ripetuti contro la polizia secondo il piano dei black bloc, si deve, credo, compiere uno scrupoloso approfondimento scientifico del problema, senza più consegnarci agli apocalittici di professione. Abbiamo veramente bisogno prima di tutto di buona scienza e non del piagnisteo, per giunta violento, come a Copenhagen, sulla ingiustizia economica come capro espiatorio di tutti i problemi. In questo quadro fatto di dure realtà l’Europa deve ripensare a chi affidarsi: non può continuare a mettersi nelle mani delle lobby apocalittiche che serrano il Primo Ministro Gordon Brown, con il maturo Principe ereditario, gli enarchi a Parigi, Legambiente, Greenpeace e Rifkin a Roma. Così si crea solo frustrazione, temporanea retorica e nulla di fatto.
In Italia, ad esempio, una opinione diversa esiste e si è rafforzata nel 2009, ma molti non la conoscono per il silenzio, non innocente, di una parte della Comunicazione ufficiale. Parole di verità, invece, hanno scritto in particolare Il Foglio e Liberal. Le analisi del Centro Bruno Leoni hanno offerto una consistente e accuratissima argomentazione contro gli scenari estremi dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change). Ci sono poi illustri scienziati e grandi divulgatori, come Antonino Zichichi, Franco Prodi, Franco Battaglia, Folco Quilici, che hanno anche loro detto e scritto parole pesate e autorevoli. Anche nel mondo politico non sono mancate posizioni scettiche e propositive. Scettiche verso i pareri adottati a maggioranza dall’IPCC e intrisi di previsioni catastrofiche, grandi città sommerse, i Poli geografici liquefatti, la fine dell’ecosistema. Basti pensare alla posizione, molto critica, assunta autorevolmente dal Presidente della Commissione Ambiente del Senato, Antonio d’Alì. Lo stesso Governo italiano è apparso tra i meno demagogici e dogmatici dell’Unione Europea: penso ad alcune obiezioni che all’inizio dell’anno 2009 vennero dal Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo e dallo stesso Presidente Berlusconi. Ciononostante, però, l’Italia a Copenhagen non ha giocato alcun ruolo. Non ha pesato.
Vorrei ricordare, poi, che sull’eolico (la carta preferita dalle lobby italiane per le energie rinnovabili) è scoppiato uno scandalo sovranazionale. Basti leggere l’Herald Tribune americano di lunedì 14 dicembre, dove si racconta in prima pagina che al seguito delle rinnovabili arrivano le frodi. E si citano i paesi dove sono avvenute prima che altrove queste illegalità: l’Italia guida il gruppo che comprende la Spagna e il Portogallo.
Non si può continuare a percorrere piste sbagliate. Ci si romperà la testa. Segnalo che il Presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klauss ha impostato con chiarezza il problema che ci attende, tra i maggiori del futuro, in materia di energia e clima. Quel parere merita di essere studiato.
L’Italia dovrebbe prepararsi ad una stagione di accertamento della verità scientifica affrontando il grande inganno che finora ha dominato la scena ufficiale. Dall’Italia dovrebbe venire una valutazione veritiera delle potenzialità della green economy, che al momento non sono quelle della sua supposta chimerica "travolgente espansione". Prima di Copenhagen alcuni di noi in Italia volevano organizzare, a Volterra, un incontro che ponesse la questione del futuro climatico e energetico del pianeta in modo diverso. Sì, volevamo invitare Vaclav Klauss, uomini politici aperti e problematici, come d’Alì, Casini, Bondi e Granata, numerosi grandi scienziati e tutti coloro che a livello internazionale non vogliono affidarsi solo alle vulgate terrorizzanti promosse anche da interessi non innocenti delle lobby economiche. Quel Convegno avrebbe dovuto riaprire le pregiudiziali scientifiche dell’IPCC, contestandone, dove vi sono, gli errori. Qualcuno ha pensato che non ce l’avremmo fatta a mettere in discussione i presupposti scientifici manipolati del Vertice sul clima, sostenuti ideologicamente e politicamente, senza riserve da una maggioranza dei paesi partecipanti. I fatti hanno dimostrato che avremmo fatto bene a organizzare quel Convegno, anche se è molto faticoso e stressante chiamare un incontro internazionale in controtendenza, libero, indipendente, razionale. Rimango del parere che quello che non abbiamo fatto sarà bene fare in vista delle due tappe di Bonn e del Messico, dopo Copenhagen. La grande impostura è visibile a occhio nudo. Lo stallo egualmente. Ma i molti profeti dell’apocalisse, quelli naif e quelli del business, ci riproveranno. Sarebbe bene che questa volta fossero piegati dalla conoscenza e dalla razionalità.
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CARLO RIPA DI MEANA, esponente di Italia Nostra, presidente del Comitato Nazionale del Paesaggio
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Un documento anticonformista e di buon senso, questo, che Ecologia Liberale in larga parte potrebbe condividere, se non ci fossero lodi o citazioni immeritate per alcuni scienziati, divulgatori e politici. E perché, poi, cercare personaggi da proscenio? La scienza anonima non basta? (NV)

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Comments:
Sì, sono d'accordo con le leggere obiezioni. Ripa di Meana non specifica quali sono le sue idee, ma allude e lascia intendere. Non è che anche lui fa "politica" ambientalista, sia pure di segno diverso, anziché limitarsi a divulgare la scienza dell'ambiente?
 
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